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César Acevedo. Gli interessi economici calpestano le persone e ciò che ci nutre
Slow Food Italia patrocina Un mondo fragile, titolo originale La tierra y la sombra, film esordio del regista colombiano César Acevedo che ha vinto la Camera D’Or al Festival di Cannes lo scorso maggio. La vicenda è ambientata nella terra natale del regista, Valle del Cauca, una regione meridionale della Colombia dominata dalla coltivazione e
Slow Food Italia patrocina Un mondo fragile, titolo originale La tierra y la sombra, film esordio del regista colombiano César Acevedo che ha vinto la Camera D’Or al Festival di Cannes lo scorso maggio. La vicenda è ambientata nella terra natale del regista, Valle del Cauca, una regione meridionale della Colombia dominata dalla coltivazione e dalla lavorazione della canna da zucchero. La casa della famiglia protagonista, infatti, è accerchiata da monocolture di questa pianta.
Alicia e sua nuora Esperanza sono costrette a fare il lavoro duro e sottopagato di tagliatrici di canne da zucchero per sopravvivere. Gerardo, figlio di Alicia e marito di Esperanza, non lavora perché ha una grave malattia polmonare causata dalle ceneri: i campi vengono regolarmente bruciati perché i tagliatori, o corteros, possano raccogliere le canne senza ferirsi sulle foglie aguzze della pianta. Benché le ceneri minaccino di uccidere Gerardo, né lui né sua madre vogliono lasciare la loro casa. Alfonso, padre di Gerardo, ritorna dopo anni di assenza per accudire il nipote Manuel.
Un mondo fragile esce il 24 settembre nei cinema italiani. César Acevedo racconta come il suo film tratta della lotta dei corteros per non perdere il legame con la terra.
La Colombia è una delle principali economie emergenti a livello mondiale, e la coltivazione della canna da zucchero è una delle sue industrie agricole più importanti. Perché i corteros non beneficiano di questo sviluppo?
Il lavoro dei corteros è presente fin dai tempi della schiavitù. Quella della canna da zucchero è un’industria molto potente che genera grandi profitti che vanno in tasca solo ad alcune famiglie. Tutti i problemi che causa, la distruzione del paesaggio e del suolo, la povertà, le malattie sono state legittimate non solo dallo stato e le raffinerie di canna da zucchero, ma da noi cittadini. Volevo riscattare i sentimenti dei contadini, i loro valori, la loro resistenza.
Crescendo nel Valle del Cauca ha avuto modo di vedere come le monocolture di canna da zucchero hanno distrutto la biodiversità?
Da bambino viaggiavo per la regione in macchina con mio papà e lui mi raccontava i paesaggi che aveva visto in gioventù, mentre a me sono sempre toccate solo le piantagioni di canna da zucchero. Così è cresciuto dentro di me un senso di perdita. Attorno al 90 per cento del suolo è dedicato a questa monocoltura e con il film ho voluto dare visibilità a questa situazione perché viene accettata come qualcosa di inevitabile, una condizione che si vive con rassegnazione.
Perché crede che Slow Food Italia abbia scelto di patrocinare un film colombiano?
Perché credo si avvicini alla loro filosofia, cioè la dignità legata a ciò che ti alimenta, al valore della terra. Un mondo fragile parte dal microcosmo della casa, l’albero, la famiglia e i campi che si vedono nel film, mostrando i rischi che si corrono quando si distrugge la terra.
Dunque bisogna dare peso a quello che sta succedendo in Colombia anche a livello internazionale?
Sì, perché benché il film sia radicato nella nostra cultura tratta temi universali. Quello della terra, il valore di mantenere il vincolo con essa. Come l’idea di progresso e gli interessi economici calpestano le persone e distruggono ciò che ci nutre.
In passato ha parlato di “cinema umano”. Cos’è e perché Un mondo fragile è un esempio di questo?
Un buon film mi fa sentire umano nel senso che mi arricchisce permettendomi di avvicinarmi ad altre realtà. Il cinema ti offre l’opportunità di condividere qualcosa con gli altri. È un linguaggio potente perché aiuta a riflettere e costruire una memoria collettiva.
Nel film i “capi” che dettano le condizioni di lavoro dei tagliatori di canne da zucchero non vengono raffigurati. Chi o cos’è questa forza invisibile che controlla la vita dei contadini?
Nel film chi controlla le coltivazioni di canna da zucchero non ha faccia perché volevo trasmettere l’idea che non ci sono figure concrete a cui i contadini possono fare appello perché i propri diritti vengano rispettati, e anche lo stato è assente. La gente cerca di conquistare la propria libertà e la propria dignità attraverso il lavoro onesto. Però a volte questo non basta e il film mostra la situazione che queste persone affrontano.
Dunque il film racconta delle verità scomode?
Le grandi raffinerie e lo stato sono responsabili per le condizioni di vita dei contadini. Nel creare il film non abbiamo avuto l’appoggio delle raffinerie perché non volevano che venissero mostrate le condizioni di lavoro dei corteros perché tengono queste persone in un stato di quasi-schiavitù. Infatti avevo paura che in Colombia nessuno vedesse il film dato che i proprietari terrieri hanno in mano anche i canali televisivi e i cinema. Per fortuna, aver vinto diversi premi ha reso impossibile frenare la sua diffusione.
La famiglia ne Un mondo fragile vive una vita dura. Per costruirsi un futuro migliore è meglio che resti o lasci la sua terra?
Il film propone un conflitto tra il rimanere o lo sradicarsi dalla propria terra. A volte quando questa è stata distrutta e non c’è più niente da fare la cosa migliore è cercare un futuro migliore altrove. Però c’è anche chi, come il personaggio di nonna Alicia nel film, non può lasciare la propria terra perché questo metterebbe in discussione il senso della sua esistenza e la sua lotta. Questo è qualcosa che si vede spesso nelle zone rurali del mio paese. Alcuni vogliono resistere perché la loro storia e la loro memoria sono legate al luogo dove sono cresciuti.
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