I social network sono luoghi sempre più frequentati dai minori. Guidati da psicologi esperti, scopriamo rischi, i lati positivi e le competenze utili per poterli accompagnare nella loro crescita in un mondo digitale.
Viviamo sempre più connessi. Il world wide web non è più soltanto una piattaforma accessibile a oltre quattro miliardi di persone (come riportato dall’indagine Global digital report 2019 di We are social e Hootsuite, piattaforma leader nel settore del social media management), ma piuttosto un luogo “famigliare”, che accompagna quasi ogni attività del nostro quotidiano e che riguarda i nostri figli fin dalla più tenera età. Sono loro i veri protagonisti dell’era digitale, con tutte le conseguenze positive e negative che ciò comporta. Se da una parte l’evoluzione tecnologica rappresenta un’opportunità estremamente stimolante, dall’altra costituisce un contesto immenso e talvolta incontrollato che nasconde al suo interno una serie di pericoli e rischi. In questo scenario diventa, dunque, fondamentale acquisire una digital & media literacy (una conoscenza dei linguaggi e dei meccanismi digitali) per poter tutelare ed educare al meglio i più giovani.
Terreno particolarmente delicato è quello dei social network: luoghi virtuali, frequentati da 3,4 miliardi di persone al mondo (dati Global digital report 2019) e sempre più anche dai minori, che spesso sono tecnicamente in grado di utilizzarli alla perfezione, ma al tempo stesso privi degli strumenti adeguati per poterli frequentare in modo sano e sicuro. A giocare un ruolo fondamentale in questa sfida è, come in tutti gli ambiti educativi, il compito dei genitori, coadiuvato da quello degli educatori e degli insegnanti.
Social network, privacy e limiti di età
Per poter affrontare il vasto tema dei rischi e delle opportunità offerte ai più giovani dai social network è necessario prendere coscienza delle dimensioni e delle “misure” del fenomeno. Innanzitutto va detto che l’età minima per iscriversi a un social network, come Facebook, Instagram e Whatasapp, è di 13 anni. Dai 13 ai 16 anni l’uso è consentito con il consenso dei genitori (o tutori). In tutti i casi però non son previsti sistemi di controllo e, dunque, non esistono dati ufficiali che dicano se tali limiti siano sempre rispettati o meno. È però possibile segnalare profili di minori attraverso moduli specifici, messi a disposizione dai social come Facebook. In materia di privacy e utilizzo dei dati personali, dal 25 maggio 2018 è entrato in vigore il nuovo regolamento europeo Gdpr che affronta la questione da un punto di vista legislativo, a tutela anche dei minori.
Quante persone usano i social nel mondo e in Italia
Secondo il rapporto prima citato, gli utenti attivi sui social network nell’arco del 2018 sono stati 3,484 miliardi nel mondo (il 45 per cento della popolazione mondiale e il 9 per cento in più rispetto al 2017). Di questi, il 7 per cento (considerando gli utenti di Facebook, Instagram e Facebook Messenger) sarebbero ragazzini tra i 13 e i 17 anni. Restringendo il campo al nostro paese, il rapporto indica che 35 milioni sono gli italiani attivi sui social (il 2,9 per cento in più del 2017) e che di questi il 4 per cento (pari a 1 milione 400mila individui) è rappresentato dai giovani in questa fascia d’età,sempre considerando le stesse piattaforme prima citate. Capolista tra quelle più visitate in assoluto è peròYouTube,frequentato dall’87 per cento degli utenti attivi, seguito da Whatsapp, Facebook e Instagram. Avendo chiaro questo quadro (seppur in continua evoluzione) è possibile contestualizzare meglio le dinamiche in atto e i rischi a cui prestare attenzione, che riguardano soprattutto i più indifesi: i minori.
L’alterego virtuale,cercasi like disperatamente
Nati come strumenti di condivisione e socializzazione, i social network hanno rivelato nel tempo tutte le conseguenze connesse alle loro logiche di comunicazione. Una delle prime è che più che un racconto di sé, quello che spesso Facebook, Instagram, Snapchat e gli altri social finiscono per creare è una spettacolarizzazione della propria vita attraverso un’immagine filtrata ad hoc per ottenere consensi. Un meccanismo che, sulla personalità ancora in piena evoluzione di un adolescente può avere effetti e conseguenze significativi.
“Non sono i social network a essere pericolosi di per sé ma il modo con cui vengono usati”, spiega la dottoressa Stefania Sedini, psicologa clinica che dal 2012 fa parte del progetto Massere, nato con lo scopo di sensibilizzare i ragazzi e gli adulti (genitori, insegnanti, educatori) all’utilizzo consapevole di internet, con programmi mirati per le scuole medie inferiori. “In generale, il rischio che chiunque può incontrare, utilizzando i social, è quello di arrivare a non poterne farne più a meno. L’eccessiva dedizione nell’aggiornare i propri profili, in cerca di un like (mi piace, ndr), porta i ragazzi a non rendersi conto di quanto tempo passano su internet. Questo viene incentivato, perché sul web ognuno può crearsi la propria personale identità virtuale, abbellita, falsata e modificata per poter piacere ai propri follower (seguaci, ndr)”. Un rischio di cui il 33 per cento dei ragazzi è consapevole secondo la ricerca svolta da Telefono Azzurro-Doxa Kids.
Relazionarsi online, opportunità e rischi
È interessante capire come l’uso dei social network abbia modificato il modo di comunicare e relazionarsi tra le persone e quindi anche tra i più giovani. “Paradossalmente i social hanno da una parte avvicinato e aperto – spiega la dottoressa Sedini –, superando i limiti dello spazio e del tempo, ma dall’altra hanno chiuso e allontanato, trasformando anche i momenti di socializzazione, come può essere un pranzo o una cena con amici e familiari, in un momento di silenzio dove tutti sono intenti a ‘relazionarsi online’. Questo perché il mondo di internet ha una sua vita che è attiva 24 ore su 24 e, se non si è aggiornati all’istante, ci si sente tagliati fuori”.
A supportare queste parole anche i dati raccolti dalla ricerca Telefono Azzurro-Doxa Kids, secondo cui il 43 per cento dei giovani fra i 12 e i 18 anni, e addirittura il 53 per cento delle ragazze, ammette di sentirsi “ansioso, agitato o perso” se privato per una settimana dei social. Una sorta di dipendenza vera e propria, che scaturisce (per poi degenerare) dal desiderio di restare in contatto costante con famigliari e amici.
Dietro lo schermo, le dinamiche nascoste dei social network
“Non è che non si possano portare avanti relazioni con l’utilizzo dei social, ma sicuramente non possiamo togliere quella parte di contatto ed empatia che solo una relazione faccia a faccia può consentire. Il punto della questione credo sia sempre il senso e il modo con cui li si usa e che ruolo giocano nelle nostre relazioni”, aggiunge la psicologa.
A spiegarci il meccanismo che può innescarsi è la dottoressa Nicole Ventura, psicologa del team Massere, esperta di dinamiche psicologiche e relazionali come il cyberbullismo e di aspetti psicoeducativi: “Negli incontri con i ragazzi noi chiediamo sempre: ‘È più facile dire mi piaci e ti voglio bene di persona o via messaggio?’; ‘È più facile dire una cattiveria di persona o via messaggio?’. Si apre sempre un dibattito tra loro che oscilla tra i temi della sincerità, del coraggio, della timidezza, della paura del rifiuto, del timore delle conseguenze, del vedersi in faccia e gestire le emozioni. Questo è un piccolo esempio di come uno schermo possa veicolare in modo nettamente diverso un mondo emotivo e relazionale che si sta formando, che si sta modellando e si sta sperimentando. Spesso avere uno schermo permette di godere di quel distacco che ci fa fare quel passo in più specialmente se si è timidi o imbarazzati; consente di buttarsi, ma sentendosi in qualche modo protetti. Altre volte invece ci permette di fare gesti, belli o brutti, che dal vivo non riusciremmo a reggere, perché dovremmo confrontarci col dolore e il dispiacere dell’altro, che con uno schermo davanti non traspare e quindi è come se non esistesse”.
Oltre alle dinamiche relazionali ed educative cui prestare grande attenzione è bene conoscere anche quali siano le derive più pericolose di un uso incontrollato dei social da parte degli adolescenti. Tra queste c’è il cyberbullismo: si tratta di una forma 2.0 del bullismo, che necessita un discorso a sé rispetto al suo antenato, in quanto portatore di caratteristiche strettamente connesse alla realtà virtuale. A fare chiarezza sulle modalità e le conseguenze deflagranti che questo comportamento può avere nel mondo reale è la dottoressa Ventura: “Il cyberbullismo si inserisce in un aspetto relazionale, è privato e pubblico allo stesso tempo, è incessante, perché continua anche offline, e molto spesso può sfruttare l’anonimato. Attraverso chat, foto, commenti negativi i cyberbulli, forti dell’approvazione del pubblico e talvolta poco consapevoli delle conseguenze di quello che fanno, prendono di mira il ragazzo in genere più timido, indifeso e insicuro, andando a peggiorare la sua situazione anche nella vita ‘reale’. Infatti come la cronaca ci mostra, sono ancora molti i casi di emarginazione, chiusura, dispersione scolastica e, nei casi più gravi, suicidio”.
Un altro pericolo in agguato è il sexting. “Si tratta dell’invio di foto, messaggi e video connotati sessualmente. Di per sé è una forma 2.0 della sperimentazione affettiva e sessuale adolescenziale, ma assume sensi e forme distruttive e degradanti se associato ad atti di cyberbullismo. In molti casi, infatti, una foto nata come messaggio tra due fidanzati, finisce per circolare in tutta la scuola, senza poterne più controllare la diffusione”.
I social sono terreno fertile anche per crimini veri e propri commessi dagli adulti ai danni dei più giovani, come l’adescamento di minori. “L’adescamento si nutre del ‘posso essere chi voglio’ dei social – spiega la dottoressa Sedini –: si creano profili falsi, si chiede amicizia su grande scala sperando che funzioni il metodo ‘è suo amico magari lo conosco pure io’ e così facendo si studiano abitudini, passioni e stati d’animo della vittima prescelta e l’aggancio diventa più semplice del previsto. Sempre di più, vista la grande diffusione di videogiochi online, altro fenomeno che sta prendendo piede è il grooming, dove i malintenzionati, con la scusa di parlare dei videogiochi, contattano i bambini attraverso le chat”.
Le opportunità dei social network
Se approcciati nel modo giusto i social network dimostrano di avere anche aspetti molto utili e positivi. “Come esseri umani se facciamo qualcosa è perché quel qualcosa in fondo ci fa bene”, spiega la dottoressa Ventura. “Internet e i social hanno incontrato un bisogno profondo dell’uomo che è proprio quello social, quello di condividere, di avere dei feedback (riscontri, ndr) e dei riconoscimenti da parte dell’altro, meglio se positivi e gratificanti. Il tutto e subito, l’idea di avere il controllo sulla propria vita e su quella altrui, il mostrare e mostrarsi, il curiosare, l’esserci sempre, l’essere pensati sono tutti bisogni, modalità relazionali insiti dell’essere umano e in ognuno di noi si articolano in modo diverso. I benefici quindi possono esserci, se i social e i nostri bisogni si intersecano in un equilibrio creativo e non distruttivo, se aprono e non chiudono, se danno possibilità e non le negano.”
A confortare questa visione anche i dati emersi dalla ricerca di Telefono Azzurro-Doxa Kids che ha evidenziato come il 75 per cento dei ragazzi intervistati riconosca i social come un’opportunità per “restare connessi con amici e famiglia, trovare persone nuove o che ci assomigliano, fanno sentire meno soli, connettono con abitudini eculture di tutto il mondo”. Per il 51 per cento, “il web consente anche di trovare informazioni e di imparare cose nuove”, o di “svolgere attività sociali come confrontare opinioni o chiedere aiuto” (33 per cento).
Educazione digitale, il ruolo degli adulti
In questo contesto un ruolo cruciale è giocato (come in tutti i contesti di crescita) dall’educazione e dall’esempio impartiti dagli adulti. Se genitori e insegnanti restano distanti e “analfabeti digitali“, sarà molto più difficile per loro guidare figli e studenti verso una comprensione e un uso corretto di social e web. “Il grado di competenza digitale degli adulti incide molto, perché consente loro di parlare la lingua dei ragazzi”, spiega la dottoressa Sedini. “In questi temi i ragazzi sono informatissimi e sempre un passo avanti, però il vedere che la figura educativa ci sta provando, sta facendo un passo verso il suo mondo apre tantissimo e permette di avvicinare le parti. In questo modo è più facile tutelarli e trasmettere quella consapevolezza che un adulto può avere ma che in loro si deve ancora formare”.
In quest’ottica si capisce come ogni divieto perentorio o la demonizzazione possa solo peggiorare le cose: “Il no netto o la privazione servono a poco nel mondo di internet e dei social. Primo perché sono ovunque e quindi in un modo o nell’altro i ragazzi ci entrano in contatto, e poi perché volenti o nolenti, il mondo è questo e anche in un futuro lavorativo è difficile se non si hanno competenze informatiche. Purtroppo si è arrivati al punto che se non hai uno smartphone o un pc sei fuori dai giochi. Prendendo atto di questo credo che l’unica via sia quella di educare. Per farlo occorre conoscerli, avere cioè delle nozioni di base; non si possono dare regole o aprire un dialogo su qualcosa che non si sa cosa sia e di cui non si conoscono potenzialità e rischi”.
La responsabilità quindi ricade, come è giusto che sia, sugli adulti, che sono chiamati ad aprirsi in modo lucido e realistico al mondo dei ragazzi per accompagnarli e guidarli attraverso i pericoli e le opportunità del mondo digitale, tanto quanto quelli del mondo reale.
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