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Sono molte le difficoltà emotive che i soldati sono costretti ad affrontare. Il dolore nascosto è raccontato attraverso la storia dei veterani ucraini.
Mentre in questi giorni l’avanzata russa in Ucraina diventa sempre più feroce, tra le centinaia di morti e feriti la pressione psicologica e il morale della popolazione ucraina registra uno dei momenti più difficili e pesanti degli ultimi otto anni.
Allontanandosi dal centro di Kiev diventa difficile mantenere dei punti di riferimento che non siano gli innumerevoli edifici presenti. Il loro stile funzionalista è inscrivibile in un’architettura uniforme che si staglia palazzo dopo palazzo, alternata solo da strade e cumuli di neve. Continuando questo percorso a ritroso nel tempo i palazzi lasciano spazio ad una foresta silenziosa e grigia che nasconde al suo interno il Lisova poliana veterans hospital.
La storia del primo centro di riabilitazione mentale per veterani in Ucraina parte alla fine del 2019 grazie all’intuizione della neurologa Kseniia Voznytsina e da un team di psicologi, medici e avvocati, che hanno creduto nelle potenzialità di questo vasto complesso grigio che ha a disposizione degli spazi comuni, strutture ricreative e una piacevole cornice naturale tutt’intorno.
In questo ambiente così organicamente isolato e protetto, i veterani vivono il loro ricovero partecipando a sessioni di terapia individuale e di gruppo e ricevendo assistenza legale per assicurarsi di avere quanto dovuto dal governo in termini di sostegno economico e di riconoscimento della malattia.
Secondo gli operatori del centro, infatti, sono stati molti i casi in cui i dottori militari non si sono resi conto del carico emotivo che gravava sulle vite dei soldati che dopo alcuni giorni passati a tremare, gestire e combattere sensi di nausea, dormire poco, venivano rispediti al fronte ignorando la gravità delle loro condizioni. Dall’ingresso principale si accede a una grande sala comune con tavoli da gioco, biliardi, scacchiere.
Quest’enorme spazio è interrotto solo da scale e corridoi che come in un quadro di Escher creano dei movimenti ciclici all’interno della struttura dentro la quale il passo svelto del personale in camice si alterna al ritmo lento e incerto dei pazienti presenti. La dottoressa Kseniia Voznitsyna è una donna determinata e solare, si sistema i capelli mentre prende dalla sua scrivania una copia del suo libro Le ferite invisibili.
“Purtroppo, nella nostra società, il problema della salute mentale rimane qualcosa di cui non si parla ad alta voce. E la comunità dei veterani non fa eccezione in quest’ambito. Il nostro obiettivo è sviluppare un meccanismo chiaro per fornire supporto psicologico a tutti i militari e volontari che sono tornati dalla guerra, per introdurre e creare standard e metodi comuni”.
Il suo lavoro racconta di un conflitto che per otto anni ha cercato di nascondere le ferite più difficili da guarire, quelle della mente. Migliaia di veterani non riescono infatti a riadattarsi alla vita civile, molti sprofondano nell’alcolismo, altri si suicidano senza aver neanche saputo che esiste un aiuto per il loro disagio. Voznitsyna gestisce la struttura attraverso una rigorosa politica di divieto di alcool, fumo e un programma fitto di appuntamenti. Ha lavorato con i soldati di ritorno dalla prime linee fin dal 2014 e non è stato difficile per lei riuscire a prevedere i problemi causati dalla sovraesposizione agli spari, all’artiglieria pesante, alla paura di non far più ritorno a casa.
“Nel 2014-2016, abbiamo avuto molti traumi legati alle lesioni cerebrali ma non c’erano programmi o metodologie che ci dicessero come lavorare per mitigare questi sintomi e come trattare queste persone”, dice con un dispiacere che sembra voler nascondere la responsabilità del governo ucraino nella malagestione di questa tematica. “I problemi principali riguardano i traumi come il Ptsd (Post traumatic stress disorder, il disturbo da stress post traumatico) il Tbi (Traumatic brain injury, lesione cerebrale traumatica), ma anche ansia, attacchi di panico e problemi legati al sonno”.
È importante ricordare tra l’altro come non sia la prima volta che l’Ucraina fa i conti con il disturbo da stress post-traumatico, una condizione che ha letteralmente spezzato un’intera generazione di veterani ucraini che avevano combattuto la guerra sovietico-afgana tra il 1979 e il 1989. Lo stigma di poter “crollare” dopo la guerra diventando un criminale, un assassino o un senzatetto è un ricordo ancora molto presente in un paese che vive negando la necessità di un sostegno neurologico e psicologico. Dalle prime ricerche condotte al Lisova poliana veterans hospital su quasi millecinquecento veterani presenti nel centro, oltre il 56 per cento ha subito un trauma cranico. Parliamo in molti casi di volontari che formarono i primi battaglioni nel 2018 quando si sono contate circa 80mila esplosioni tra le regioni di Luhansk e Donetsk. Questo ci fa capire che sebbene i sintomi possano sovrapporsi in molti casi, la commozione celebrale successiva al trauma cranico rimane la problematica più presente.
Il Ptsd si manifesta invece in modi più subdoli. I sintomi intrusivi associati all’evento traumatico possono essere costituiti da ricordi ricorrenti, involontari e intrusivi, oppure da incubi ricorrenti in cui il contenuto e le emozioni oniriche sono in qualche modo collegati all’evento traumatico. Nella maggior parte dei casi, vengono messi in atto comportamenti che puntano ad evitare qualsiasi stimolo associato all’evento traumatico come luoghi, conversazioni, oggetti. In alcuni casi è presente una vera e propria forma di amnesia post-traumatica condita dai sentimenti di colpa, vergogna, rabbia, paura e depressione. Alcuni veterani soffrono inoltre di problemi di concentrazione e atteggiamenti di ipervigilanza, difficoltà nel controllo degli impulsi, irritabilità ed esplosioni di rabbia.
Tra le attività offerte dall’ospedale troviamo laboratori di arte-terapia, sport, fisioterapia, e l’uso della pet therapy come facilitatore dei processi di accettazione del disagio. Kostantin rimane in disparte mentre gli altri ospiti del centro si dispongono in cerchio intorno a una partita di biliardo che sembra avere l’importanza di una sfida mondiale. Oggi ha 26 anni ed è andato a combattere nel 2014 quando ne aveva 19. Kostantin è originario della regione di Donetsk e si è arruolato in uno dei tanti gruppi di volontari che in quel periodo affiancavano le forze regolari, incapaci di sostenere lo sforzo bellico da sole.
Non avevo nessun addestramento, dovevamo imparare velocemente o morire
“Non avevo nessun addestramento, dovevamo imparare velocemente o morire”. Nel 2018 fu colpito alla testa da una scheggia di metallo riportando una ferita che gli ha causato conseguenze fisiche e psicologiche. Come la maggior parte dei pazienti del centro anche lui è restio a parlare, portando con sé oltre al dolore una sorta di sconfitta personale legata al senso di smarrimento che vive.
Il suo compagno di stanza ha almeno trent’anni più di lui, di nascosto fuma una sigaretta sul balcone mentre scherza sull’ambiente circostante: “È tutto bianco e pieno di neve, potremmo essere ovunque no?”. Era il 2019 quando l’onda d’urto di un’esplosione lo ha reso temporaneamente sordo, ha avuto molta paura ma dopo qualche giorno insonne era nuovamente sul campo di battaglia, come tutti. Le statistiche lo includono nei tanti veterani in cui il sintomo si evidenzia dopo anni dal trauma, portandolo a una battuta d’arresto improvvisa e che può risultare terrificante in mancanza di una consapevolezza su ciò che sta accadendo. “Un veterano attivo, di successo e in salute è la chiave per la sicurezza nazionale del nostro paese”, ha sottolineato Yuliia Laputina, ministra degli affari dei veterani dell’Ucraina.
La situazione d’altronde si è esacerbata con la pandemia, dove molti soldati si sono trovati a fare i conti con loro stessi, faccia a faccia con un dolore nascosto e difficile da accettare. Con la speranza che il conflitto termini quanto prima possiamo solo immaginare il costo psicologico che l’Ucraina dovrà affrontare negli anni a seguire, feriti invisibili di una guerra che molti non trova una giustificazione apparente.
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