Drogata e stuprata per anni, Gisèle Pelicot ha trasformato il processo sulle violenze che ha subìto in un j’accuse “a una società machista e patriarcale che banalizza lo stupro”.
Oltre 350 morti per un attacco terroristico, ma nessuno si ricorda della Somalia
La Somalia non trova pace, da decenni. Di recente, un attentato ha colpito 642 persone uccidendone 358. Il governo di Mogadiscio non controlla il paese e la comunità internazionale è avara di solidarietà.
Si aggrava il bilancio del terribile attacco terroristico che ha sconvolto la capitale della Somalia, Mogadiscio, il 15 ottobre scorso, quando due camion bomba sono stati fatti saltare in aria in una zona altamente frequentata della città. Se in un primo momento il numero di morti era stato indicato in 276 – facendo già parlare della “peggiore strage terroristica mai avvenuta nella nazione africana”, ora la cifra indicata dalle autorità parla di almeno 358 morti. E si tratta di un dato che potrà ancora essere ritoccato, dal momento che i feriti sono 228, di cui alcuni in gravi condizioni.
La Somalia ha inviato decine di feriti all’estero
Il ministro somalo della Comunicazione, Abdirahman Osman, ha indicato il totale delle persone colpite in 642: oltre ai morti e alle persone finite in ospedale, si contano infatti anche 56 dispersi. Lo stesso governo della nazione africana ha reso noto che 122 feriti sono stati inviati in aereo in Turchia, Sudan e Kenya per essere curati.
La radio francese Rfi, a giorni di distanza dall’attentato, riferisce dello shock ancora vivo nella popolazione. “Dopo aver assistito ad un attacco come questo – ha spiegato Mohamed Ibrahim, giornalista che vive a Mogadiscio – è difficile passare oltre. Si tratta di qualcosa che ha segnato tutti i somali. Abbiamo visto morire numerose persone sotto i nostri occhi, i feriti sanguinare, le case crollare e bruciare. Per tutti noi al trauma fisico si accompagna quello psicologico”.
Un nuovo attentato a Mogadiscio il 29 ottobre provoca altri 29 morti
L’attentato del 15 ottobre per ora non è stato rivendicato ufficialmente, ma numerose fonti indicano come probabile la paternità del gruppo jihadista al-Shabab. Lo stesso che si è reso già protagonista di numerose stragi in passato. È però certamente attribuibile all’organizzazione terroristica un secondo attentato, avvenuto il 29 ottobre, quando la sede dell’hotel Nasa Hablod, in un quartiere settentrionale della capitale, è stata assaltata da un commando di terroristi. “Cinque uomini armati sono penetrati nella struttura: due di loro sono stati uccisi, altri tre catturati vivi”, ha dichiarato alla stampa un portavoce del ministero della Sicurezza. L’attacco, che ha provocato non meno di 29 morti (anche in questo caso il bilancio è provvisorio) è cominciato con due esplosioni nei pressi dell’albergo.
Somalia sacks security chiefs as hotel attack toll rises to 27 https://t.co/eMp84hOD1S pic.twitter.com/wR0FgACwCL
— AFP news agency (@AFP) 29 ottobre 2017
La Somalia non trova pace dal 1991
La situazione politica in Somalia, d’altra parte, è da tempo fortemente instabile. Dopo la caduta del dittatore Mohamed Siad Barré, nel 1991, sotto il peso della corruzione dilagante, il paese è finito in molti casi in mano a bande armate. Un anno dopo, è stata lanciata un’operazione militare internazionale, a guida americana, che però si è rivelata un autentico fiasco: tanto da convincere i soldati ad abbandonare la nazione africana dopo pochi mesi.
A partire dagli anni 2000, poi, gli islamisti hanno cominciato ad incrementare la loro presenza. Il movimento al-Shabab (“i giovani”, in arabo) è stato fronteggiato da una forza militare africana che è riuscita a cacciare gli jihadisti da Mogadiscio, nel 2011. Ciò nonostante, la strategia terroristica del gruppo non ha accennato a placarsi. Dal febbraio 2017, poi, la Somalia è guidata da Mohamed Abdullahi Farmajo. Il leader può contare su 22mila soldati e sul sostegno occidentale. Ma ciò si sta dimostrando chiaramente insufficiente per garantire pace e stabilità alla nazione africana.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
I ribelli che hanno preso il potere in Siria stanno smantellando la produzione di captagon, la droga che arricchiva il regime di Assad.
Il 15 dicembre una petroliera russa si è spezzata a metà e un’altra è rimasta incagliata, riversando combustibile nello stretto di Kerch.
Nel campo profughi di Burj al-Barajneh, le donne palestinesi preparano pasti e distribuiscono aiuti alle persone in difficoltà nella città di Beirut.
Israele ha approfittato della caduta di Assad in Siria per espandere la sua occupazione del Golan, altopiano dove è presente illegalmente dal 1967.
Un’offensiva dei ribelli in Siria ha rovesciato nel giro di 11 giorni il regime di Assad. Ora si cerca una transizione pacifica del potere.
La scarcerazione di Narges Mohammadi è avvenuta per motivi di salute e durerà tre settimane. Cresce la pressione sul regime dell’Iran per renderla definitiva.
Migliaia di persone sono scese in strada contro la decisione del governo di sospendere i negoziati per l’adesione all’Unione europea fino al 2028. Violenta la reazione delle forze dell’ordine. La presidente della Georgia rifiuta di lasciare il mandato finché non verranno indette nuove elezioni.
Il 28 novembre a Nuuk è atterrato il primo volo diretto internazionale. Un evento storico che ha acceso un dibattito sui rischi del turismo di massa.