In Somalia un gruppo di giornaliste ha dato vita ad una redazione tutta al femminile che sfida gli stereotipi.
Il progetto multipiattaforma parlerà di violenza di genere, di pari opportunità in termini di diritti e di imprenditoria femminile.
Le scelte editoriali saranno prese di comune accordo tra le giornaliste della redazione, con lo scopo di raccontare storie inedite finora taciute dai media locali.
Tante storie da raccontare, ma soprattutto troppi pregiudizi da abbattere. È questo l’obiettivo diBilan, il progetto multipiattaforma lanciato in Somalia per dar voce ad un gruppo di giornaliste somale che hanno deciso di aprire una redazione composta da sole donne.
Bilan, che in somalo significa brillante e chiaro, avrà sede presso il Dalsan Media Group, una delle più grandi organizzazioni media del paese a Mogadiscio, nella capitale. Sei donne, professioniste del settore, produrranno contenuti radiofonici, televisivi e media online a 360 gradi. All’interno della redazione si parla di pari opportunità in termini di diritti, di sviluppo e consolidamento delle imprese guidate da donne e di violenza di genere, da quella psicologica e fisica a quella sessuale, fornendo una formazione da parte di giornalisti somali e internazionali affermati: come Lyse Doucet e Razia Iqbal della Bbc, Lyndsey Hilsum di Channel 4 e Mohammed Adow ad Al Jazeera. I fondi stanziati dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp) coprono un anno di lavoro, ma per Joceyln Mason, rappresentante dell’Undp, le premesse fanno già pensare ad un ampliamento del progetto che potrebbe comprendere altre regioni del paese.
In Somalia le donne sfidano la società
“Vogliamo affrontare questi problemi e sfidare le convinzioni della società secondo cui le donne dovrebbero rimanere a casa”, ha affermato la caporedattrice, Nasrin Mohamed Ibrahim, giornalista da 12 anni e fondatrice della Somali women journalist organisation.
La redazione è composta da sole donne, ma parlerà a tutti: il pubblico di riferimento di Bilan, infatti, è la società nel suo insieme. Tutti i componenti della redazione sono liberi di prendere decisioni editoriali per raccontare storie, finora taciute, di donne straordinarie che profumano di rivoluzione. Della squadra, infatti, fanno parte due donne che hanno deciso di rischiare tutto e cambiare vita: Shukri Mohamed Abdi e Kiin Hasan Kakat. La prima ha deciso di lasciare la sua comunità per dedicarsi alla carriera mentre Hasan Kakat, cresciuta in uno dei campi profughi di Dadaab, in Kenya, vuole sfruttare a pieno questo spazio per combattere le discriminazioni di genere.
All’interno della nuova redazione saranno offerti anche stage semestrali alle migliori studentesse di giornalismo dell’ultimo anno in due università di Mogadiscio.
Bilan, la nuova redazione combatte la violenza di genere
Mai prima d’ora alle giornaliste somale era stata data l’opportunità e il potere di decidere quali storie raccontare e come raccontarle. La Somalia, infatti, oltre ai problemi umanitari e a quelli strettamente legati alla politica governativa, continua ad essere il paese africano più pericoloso per chi fa informazione.
A dirlo è stata l’ong francese Reporter senza frontiere (Rsb) nel suo bilancio annuale sulla libertà d’informazione.LaSomalia, infatti, occupa ad oggi il 161esimo posto su 180 paesi presi in esame,secondo l’Indice globale sulla libertà di stampa.
Sembra che la rivoluzione femminista somala sia cominciata e abbia al centro la lotta contro la violenza di genere, nel modo più intelligente possibile: a colpi di parole. Solo una società istruita e formata sarà pronta a rompere gli schemi e a lottare per i propri diritti, anche quelli apparentemente irraggiungibili.
Numerose ong hanno sottolineato la situazione drammatica della popolazione palestinese a Gaza, chiedendo a Israele di rispettare il diritto umanitario.
Vida Diba, mente di Radical voice, ci parla della genesi della mostra che, grazie all’arte, racconta cosa significhi davvero la libertà. Ed esserne prive.
L’agenzia delle Nazioni Unite per la salute sessuale e riproduttiva (Unfpa) e il gruppo Prada hanno lanciato un programma di formazione per le donne africane.
Il Comune di Milano lo faceva già ma smise, attendendo una legge nazionale che ancora non c’è. Non si può più rimandare: si riparte per garantire diritti.