Cinque morti, tra i quali due gendarmi, decine di feriti e duecento persone fermate e interrogate. È questo il bilancio delle sommosse popolari che dà lunedì 13 maggio non si arrestano in Nuova Caledonia, insieme di isole e arcipelaghi francesi situato nell’oceano Pacifico meridionale.
Le autorità hanno dichiarato lo stato d’emergenza, e da Parigi il governo ha disposto l’invio di un migliaio di uomini delle forze dell’ordine, il che fa arrivare il totale degli agenti presenti sul posto a 2.700. Un intervento che punta in primo luogo, secondo l’esecutivo transalpino, a “porre in sicurezza i porti e l’aeroporto”. Nel frattempo, nei centri urbani gli abitanti hanno cominciato a costruire barricate.
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Come si è arrivati agli scontri in Nuova Caledonia
A scatenare le proteste è stato in particolare un progetto di riforma costituzionale che allarga il corpo elettorale in Nuova Caledonia e che è fortemente contestato da una parte della popolazione. Una riforma costituzionale del 2007 aveva disposto che le liste elettorali per le elezioni provinciali nell’arcipelago fossero “congelate” rispetto a quelle del 1998. In termini concreti, ciò significa che non possono essere riviste di anno in anno in funzione dei cambiamenti di residenza della popolazione (come accade per le elezioni presidenziali, legislative o europee, nonché per le amministrative in Francia).
Si tratta di una regola che, evidentemente, limita il diritto di voto a coloro che vivevano in Nuova Caledonia prima del 1998. Chi è arrivato nei successivi 26 anni non può esprimere le proprie preferenze, e si tratta oggi del 20 per cento della popolazione. In particolare, secondo il progetto di legge, a partire dal 1 luglio 2024 sarebbero inclusi coloro che sono nati sul posto e coloro che vi risiedono da almeno 10 anni. Complessivamente, si tratta di 25mila persone.
La divisione tra lealisti e indipendentisti
Nei giorni scorsi, l’Assemblea nazionale francese ha adottato per questo una nuova riforma che consente di allargare nuovamente la base elettorale. E il presidente Emmanuel Macron ha fatto sapere di voler completare l’iter entro la fine di giugno. La popolazione locale, però, è divisa tra i lealisti rispetto a Parigi, che sostengono il testo, e gli indipendentisti kanak, che chiedono venga ritirato.
Questi ultimi, infatti, ritengono che il loro peso elettorale possa essere in questo modo talmente diluito da marginalizzare la presenza nelle istituzioni della popolazione autoctona (che nell’arcipelago è nettamente maggioritaria). Si tratta di una questione estremamente sensibile per loro, dal momento che dalle elezioni dipende la composizione di tre assemblee territoriali, del congresso e del governo della Nuova Caledonia. Che dal 2021 è presieduto proprio dagli indipendentisti.
Inoltre, questi ultimi ritengono che il congelamento del corpo elettorale rappresenti un pilastro dell’Accordo di Numea (dal nome del capoluogo amministrativo locale). Tale documento fu firmato nel 1998 dall’allora primo ministro francese Lionel Jospin e dispone un trasferimento di competenze e poteri dichiarato “irreversibile” a favore delle istituzioni della Nuova Caledonia. Tale dicitura, tuttavia, non deve essere considerata in modo letterale: è possibile infatti immaginare un passo indietro, a condizione che esso sia approvato con un referendum e una modifica costituzionale.
Tre consultazioni referendarie in Nuova Caledonia sull’indipendenza
Da allora, sono State indette tre consultazioni referendarie sull’indipendenza della Nuova Caledonia, nel nel 2018, 2020 e 2021. Nei primi due casi il voto è stato negativo. il terzo è stato segnato da un altissimo tasso di astensione, poiché gli indipendentisti hanno chiesto di boicottare lo scrutinio.
Nel frattempo, la riforma legata al corpo elettorale è andata avanti. Il testo è stato già approvato al Senato il 2 aprile e all’Assemblea nazionale il 13 maggio. Ora, affinché venga definitivo, occorre un ulteriore via libera da parte del Parlamento riunito in forma di Congresso a Versailles. Parigi ritiene infatti che la promessa di congelare il corpo elettorale sia ormai caduca, poiché è passato il periodo di transizione di venti anni entro il quale avrebbe dovuto essere approvato un referendum sull’indipendenza.
La disputa parallela sulle riserve di nichel
Ma a pesare è anche un altro progetto di legge, legato in questo caso alle risorse energetiche. Come riportato dal quotidiano ecologista Reporterre, sul territorio della Nuova Caledonia è presente tra il 20 e il 30 per cento delle riserve mondiali di nichel, elemento essenziale per la fabbricazione di batterie e dunque per la transizione energetica.
Le gouvernement français espère imposer à Nouméa un accord pour bénéficier de ses ressources en nickel et fabriquer davantage de voitures électriques.
Une attitude vécue par les indépendantistes comme une « recolonisation » de leur territoire.https://t.co/hDxmD0SB7Z
— Reporterre | Le média de l'écologie (@Reporterre) May 17, 2024
Per questo, nel novembre del 2023, il ministro dell’Economia Bruno Le Maire aveva presentato un progetto di “patto sul nichel”. In breve, si trattava di risollevare le sorti di tre fabbriche locali specializzate proprio nello sfruttamento della materia prima. In cambio, però, della possibilità da parte della Francia di sfruttare tali risorse. Un atteggiamento che è stato definito da esponenti dei partiti locali “colonialista”.
I partiti locali chiedono di mantenere la calma. La Francia “spegne” TikTok
Tutto ciò, appunto, ha provocato la protesta, che dapprima ha preso la forma di numerose manifestazioni, quindi degli scontri con le forze dell’ordine. Macron ha proposto una videoconferenza con i parlamentari della Nuova Caledonia, ma essa è stata annullata. Secondo l’Eliseo poiché “i diversi attori non desiderano dialogare gli uni con gli altri, al momento”. Tuttavia, cinque formazioni politiche locali hanno chiesto ufficialmente alla popolazione di “mantenere la calma e la ragione”.
Le autorità francesi hanno quindi deciso di bloccare il social network TikTok in tutto il territorio. Fatto che ha suscitato forti critiche da parte dell’opposizione di sinistra, che ritiene si tratti di una scelta “inedita in una democrazia europea”.
All’alba di venerdì, però, l’Alto commissario francese in Nuova Caledonia, Louis Le Franc, ha spiegato che il controllo in numerose aree dell’arcipelago “non è più assicurato”. Lo stesso dirigente ha parlato della necessità di “riconquistare” alcuni quartieri, utilizzando un vocabolario da stato di conflitto aperto.
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