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Condannate a essere stuprate. Firma la petizione per cambiare il destino di due sorelle indiane
Il consiglio degli anziani di Baghpat, nell’Uttar Pradesh, uno stato dell’India settentrionale, ha condannato Meenakshi Kumari, 23 anni, e sua sorella, 15 anni, a essere violentate e fatte sfilare nude per il villaggio con il volto dipinto di nero. Le due sorelle appartengono alla ceto sociale dalit, ovvero il più basso nel sistema
Il consiglio degli anziani di Baghpat, nell’Uttar Pradesh, uno stato dell’India settentrionale, ha condannato Meenakshi Kumari, 23 anni, e sua sorella, 15 anni, a essere violentate e fatte sfilare nude per il villaggio con il volto dipinto di nero.
Le due sorelle appartengono alla ceto sociale dalit, ovvero il più basso nel sistema delle caste hindu. Sono nel mirino della “giustizia” del villaggio di Baghpat perché un loro fratello, anche lui dalit, ha sposato una donna jat, cioè membro della casta più alta. I due sono scappati per unirsi in matrimonio dopo che la donna era stata costretta a sposare un uomo appartenente alla sua stessa casta.
Secondo l’Hindustan Times, il fratello è stato arrestato, accusato falsamente di un crimine legato alla droga. La sua famiglia era già fuggita da Baghpat a causa della situazione che si era creata già a maggio, rifugiandosi a New Delhi per paura che la rabbia degli abitanti potesse trasformarsi in violenza. La sentenza contro le due sorelle è stata proclamata il 30 luglio da parte del khap panchayat del villaggio, un consiglio non eletto e composto da soli uomini appartenenti alle caste più alte.
Meenakshi Kumari e la sua famiglia si sono rivolti alla Corte suprema indiana e a organizzazioni nazionali per la tutela dei diritti umani affinché la condanna non venga eseguita. Vogliono poter ritornare a casa, ma temono per la loro sicurezza e quella della donna jat, che si pensa sia incinta.
Discriminazioni su basi religiose o di casta sono illegali sotto la costituzione indiana, e lo sono anche i khap panchayat, le cui sentenze, però, dettano ancora legge in alcune zone rurali del paese.
Anche Amnesty international si è opposta alla condanna con una petizione che ha già raccolto quasi 200mila firme. L’organizzazione per la difesa dei diritti umani dichiara:
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