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Spaccapietre, il film che scava negli abissi del caporalato
La vicenda umana di un padre e un figlio e lo sfruttamento dei braccianti nel film Spaccapietre, in concorso alle Giornate degli Autori e in sala da oggi.
Da una parte il realismo dello sfruttamento dei braccianti agricoli. Dall’altra la storia struggente di un padre e di un figlio, protagonisti di un’epopea tragica e personale. È la cronaca che si intreccia alla fiction nel film Spaccapietre, unico film italiano presentato oggi in concorso alle Giornate degli Autori, nell’ambito della 77esima Mostra del Cinema di Venezia dai gemelli Massimiliano e Gianluca De Serio.
“Un film d’amore paterno in cui affiorano puri i temi della morte, della violenza, della paura, dell’amore, della vendetta”.
I registi torinesi tornano così con il loro secondo lungometraggio di finzione, dopo svariati documentari e l’apprezzato Sette opere di misericordia (2011).
“Spaccapietre e Conference”, ha commentato Gaia Furrer, responsabile artistica delle Giornate, riferendosi anche a un altro titolo in concorso, “sono film che attraverso il racconto di strazianti vicende private indagano e mettono in luce drammi sociali e politici nazionali. Il dramma del caporalato pugliese, nel caso dei De Serio e quello dell’attacco terroristico al Teatro Dubrovka nel caso di Conference. Due opere molto importanti affinché la collettività non dimentichi.”
La trama di Spaccapietre
Protagonisti di Spaccapietre sono Giuseppe (Salvatore Esposito, diventato celebre con il suo Genny Savastano in Gomorra) e suo figlio di dieci anni Antò (Samuele Carrino). L’uomo è disoccupato da quando un incidente sul lavoro in cava lo ha reso cieco da un occhio, mentre il bambino sogna di fare l’archeologo. La loro storia inizia quando Angela (Antonella Carone), moglie e madre amatissima, perde la vita stroncata da un malore durante il lavoro di bracciante sui campi. Una tragedia che li costringe a lasciare la propria casa, in in paesino pugliese non specificato, e a cercare lavoro e asilo proprio presso i padroni della masseria in cui la donna ha perso la vita.
I due finiscono così a vivere ai margini dei campi e a intraprendere un viaggio, sia fisico che spirituale che li costringe a scendere sempre più in basso. Dall’alto geografico del loro paesino arroccato e di una condizione famigliare modesta ma serena, i due si trovano nei bassifondi di una baraccopoli infernale, dove immigrati e disperati sopravvivono in condizioni disumane e di semi schiavitù. Gli unici appigli diventeranno un cane affettuoso e Rosa (Licia Lanera), una donna che riporterà loro un po’ di calore e umanità.
Una clip esclusiva del film Spaccapietre dei fratelli De Serio mostra Giuseppe e il figlio Antò al lavoro nei campi.
Un ritratto crudo che interroga
Il film è un pugno allo stomaco e non risparmia quasi niente alla vista dello spettatore. L’avidità, la perversione e gli insopportabili paradossi che governano le azioni del padrone (Vito Signorile) e dei caporali prendono forma, in un crescendo di spietatezza. Una disumanità che stride profondamente con la tenerezza del rapporto padre-figlio, costruito e interpretato in modo commovente.
Attraverso gli occhi innocenti del piccolo protagonista e lo sguardo “a metà” del padre, sprofondiamo negli abissi della criminalità e dello sfruttamento che governano la filiera agroalimentare. Un viaggio scandito dalla morte di vittime sacrificali e dalla disumanizzazione degli innocenti. Attraverso le immagini, più che le parole, i registi scavano nell’anima dei personaggi, costringendoci a fare lo stesso e a interrogarci, fino alla scena finale, sul confine tra giusto e sbagliato. Uno scavare che è richiamato nella passione per l’archeologia di Antò e che è scolpito in un’immagine emblematica e difficile da dimenticare, in cui un cinghiale viene svuotato delle sue viscere.
“Il film si muove tra politica e spiritualità in un movimento che a noi piace definire archeologico. È come scavare in una realtà straziante, posta sotto la superficie della nostra società”.
Una “fatale coincidenza”
La scelta dell’ambientazione di Spaccapietre è venuta da una combinazione di fattori. “La vicenda al centro del film prende spunto da un fatto di cronaca di qualche estate fa, la morte sul lavoro della bracciante pugliese Paola Clemente, e dall’assurda coincidenza con la morte di nostra nonna paterna, deceduta lavorando negli stessi campi nel 1958. Il film è innanzitutto il tentativo di riappropriarci di un’anima, quella di nostra nonna mai conosciuta, attraverso la storia e il corpo di un’altra donna”.
Anche il lavoro di spaccapietre è legato alla storia di famiglia: “Come il padre di Giuseppe nel film, anche nostro nonno paterno, prima di partire per Torino negli anni Sessanta, faceva lo spaccapietre”.
Il passato, dunque, s’intreccia con il presente e la storia personale si fonde con una questione sociale. Proprio la morte di Paola Clemente, morta a 49 anni il 13 luglio 2015, ad Andria, mentre raccoglieva l’uva sotto al sole, per due euro l’ora. Una vicenda che ha permesso di portare all’attenzione della cronaca una piaga che da anni affliggeva il settore agroalimentare e di approdare nel novembre 2016 alla legge sul caporalato. Una norma resasi necessaria per contrastare il fenomeno del lavoro nero e dello sfruttamento in agricoltura, che tutt’oggi non è bastata a estirpare un crimine tanto odioso quanto anacronistico.
In contemporanea alla presentazione alle Giornate degli Autori a Venezia, Spaccapietre esce oggi, 7 settembre, in alcune sale italiane, per poi aumentare la distribuzione dalla prossima settimana. Un ottimo motivo per tornare al cinema, dopo questi lunghi mesi lontani dalle sale.
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