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Spagna, un punto di rifermento per i diritti civili e sociali in Europa
Mentre la Spagna aggiorna le leggi che tutelano i diritti civili delle persone trans, l’Italia si limita a singoli interventi legislativi.
La Spagna lo scorso 16 febbraio ha approvato un pacchetto di leggi che permettono di ampliare i diritti delle persone trans e delle donne: dalla libera autodeterminazione di genere, all’aborto e il congedo mestruale.
La prima è un’importante legge sui diritti delle persone trans, chiamata ‘ley trans’. La normativa introduce la possibilità di chiedere la modifica del proprio sesso a partire dai sedici anni: mentre prima servivano due anni di trattamento ormonale e una diagnosi di disforia di genere, con l’introduzione della legge oggi è sufficiente una dichiarazione della persona interessata, senza certificati medici o psicologici, o autorizzazioni giudiziarie.
Cosa stabilisce la Ley trans in Spagna
La ‘Ley trans’ si estende anche ai minorenni dai dodici ai quattordici anni, previa autorizzazione di un giudice, mentre dai quattordici ai sedici viene richiesto il consenso dei genitori. Promossa da Irene Montero, ministra delle Pari opportunità di Podemos, la legge è stata varata dopo un tortuoso iter parlamentare, che ha visto non solo attacchi dall’opposizione, ma anche tensioni interne alla stessa maggioranza. Dubbi sono stati espressi anche da parte di alcuni movimenti femministi. Nella stessa giornata è stata approvata anche la legge sull’aborto, che introduce, e reintegra, diversi principi.
Questa sancisce anzitutto la possibilità alle ragazze che abbiano compiuto sedici anni di abortire senza il consenso dei genitori, una norma precedentemente soppressa dalla destra. Oltre a eliminare i tre giorni di riflessione obbligatoria, la legge sancisce che in “tutti gli ospedali pubblici” ci sia personale disponibile per l’interruzione volontaria di gravidanza: oltre ad introdurre un registro degli obiettori di coscienza, la norma prevede la distribuzione in scuole, carceri, centri civili e sociali, di prodotti per l’igiene intima e assorbenti.
Con questa riforma viene previsto un congedo di malattia dopo l’interruzione di gravidanza, e la distribuzione gratuita della pillola del giorno dopo in tutte le strutture ospedaliere pubbliche. Inoltre, la legge introduce l’obbligatorietà dell’educazione sessuale nelle principali fasi educative, e la maternità pre-parto dalla 39esima settimana di gravidanza. Infine, la Spagna è diventato il primo Paese a livello europeo a introdurre un congedo per i cicli mestruali ‘invalidanti’, che potrà durare da tre a cinque giorni a discrezione del medico, e che verrà coperto integralmente dallo Stato.
E l’Italia?
Mentre la Spagna diventa un punto di rifermento in materia di diritti civili e sociali in Europa, l’Italia fa i conti con una legge vecchia quarant’anni, dove il problema dell’applicazione è l’ultimo dei nodi da sciogliere: la legge 194, dal titolo “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”. Con differenze sostanziali nella direttiva, e diverse criticità insite alla base, non si può non fare un confronto anche con la legge 164, “Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso”, che in Italia regola il percorso di transizione. Furono la determinazione e le proteste delle persone trans, che alla fine degli anni ’70 costituirono il Movimento italiano transessuale (Mit), oggi Movimento identità trans, che portarono all’approvazione della norma il 14 Aprile 1982.
Tuttavia, anche questo è un iter non solo molto complesso, ma anche lungo, che intreccia oltre ad un percorso medico, psicologico, e chirurgico – su volere del cittadino –, anche una prassi giudiziaria. Secondo Roberta Parigiani, portavoce politica del Mit, “la Spagna con questa normazione consente di fare un percorso di affermazione di genere completamente autodeterminato, senza che sia necessario tutto quel background di diagnosi e di relazioni psicodiagnostiche da parte di professionisti”. In Italia, il Mit si occupa di accompagnare e supportare le persone che decidono di intraprendere il percorso di transizione, offrendo supporto giudiziario e anche psicologico.
Per Parigiani, la norma spagnola può essere un’ispirazione “che ci può aiutare a ricostruire, rivedere e a rileggere, l’intero aspetto dell’ordinamento. Quello che auspichiamo non è tanto una riforma della 164 che tolga dalle aule dei tribunali i procedimenti delle affermazioni di genere”, ma piuttosto un allineamento delle leggi, perché “come si fa a pensarci autodeterminate e autodeterminati, quando magari su un piano si avanza, e sull’altro si arretra?”. In Veneto, lo scorso 7 marzo, il presidente della regione Luca Zaia ha istituto con delibera un Centro regionale per i disturbi dell’identità di genere, all’interno del Policlinico universitario di Padova. “Non una gentile concessione”, ma un diritto riconosciuto: “Il cambio di sesso è un Lea, un livello essenziale di assistenza prescritto dalla legge”, ha dichiarato al Corriere della Sera. Tuttavia, per Parigiani “non si può pensare di fare dei singoli interventi legislativi, se poi non si pensa complessivamente al disegno dell’ordinamento”. E allora “l’auspicio è che i servizi proliferino, e che si diffonda anche una cultura di superamento rispetto ai vincoli medicalizzanti”. Ma l’Italia è davvero pronta?
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