
L’Europa ragiona su un piano da 800 miliardi e intanto vota per una maggiore sicurezza: inevitabilmente quei fondi verranno sottratti alle vere emergenze.
L’economia della Spagna era uscita malconcia dalla pandemia. Ora ha la migliore performance d’Europa grazie alle sue politiche progressiste.
Se c’è un’economia a cui guardano tutti con interesse oggi è quella della Spagna. Era così anche prima della grande crisi finanziaria del 2007-2008, quando l’economia spagnola sembrava poter essere la grande promessa europea per gli anni a venire. Poi è arrivato il crollo e nessuno, o quasi, ne ha subito le conseguenze in un modo così dirompente. Eppure negli ultimi anni, con una breve pausa nel momento della pandemia, la Spagna guidata dal centrosinistra ha fatto registrare performance economiche che non hanno eguali altrove, quanto meno tra i paesi occidentali.
Il 2024 si è chiuso con un incremento del Pil del 3,2 per cento, sopra ogni aspettativa e ben oltre gli altri paesi che vivono un buon momento economico, come gli Stati Uniti. Anche la disoccupazione è in calo, mentre i redditi sono in crescita. Sono tanti i motivi dietro a questi numeri positivi. C’entrano l’immigrazione e le politiche di porte aperte, ma anche i forti investimenti in rinnovabili e tecnologia, che hanno ridotto la dipendenza dall’estero favorendo gli investimenti esteri nel paese. Un modello di sviluppo economico lontano anni luce da altri di cui si è parlato tanto in questi mesi, come quello dell’ultraliberista Javier Milei in Argentina. Se lì persistono e anzi si accentuano le difficoltà e il paese sprofonda nella povertà, in Spagna l’economia vola. Ma restano molte sfide per il futuro.
Quando nel 2007 è scoppiata la bolla immobiliare, dando vita a una delle peggiori crisi finanziarie della storia contemporanea, la Spagna è stata tra le nazioni a subirne maggiormente gli effetti. La sua economia, che fino a quel momento era in grande crescita, si basava proprio sul mercato immobiliare e sul settore edilizio e da quel momento sono iniziati anni molto difficili per il popolo spagnolo.
Nel decennio successivo la Spagna ha saputo riprendersi, facendo registrare tassi di crescita economica superiori ad altri paesi particolarmente colpiti dalla crisi, come Italia e Grecia. Questo è avvenuto attraverso le misure adottate dal 2012 dal governo di centrodestra guidato da Mariano Rajoy, che ha riformato il mercato del lavoro in una chiave di maggiore flessibilità per le imprese e ha favorito una diversificazione dell’economia. Ma sotto molti aspetti la Spagna è rimasta su un terreno fragile, tra debito pubblico alle stelle, salari fermi e una disoccupazione ancora elevata. Quando nel 2020 il mondo è stato investito dalla pandemia Covid-19, la Spagna è stato uno dei paesi europei a subirne le peggiori conseguenze economiche e sociali. L’economia spagnola si è ridotta dell’11 per cento nel 2020, il peggior risultato tra i paesi Osce e il paese si è ritrovato punto e da capo, in quella stessa situazione critica successiva alla crisi del 2007-2008. Oggi però, a cinque anni dallo scoppio della pandemia, l’economia spagnola è fiorente come non mai.
Il 2023 si è chiuso con una crescita economica del 2,7 per cento e nel 2024 la Spagna è riuscita a fare pure meglio, con un 3,2 per cento ben superiore alle aspettative di inizio anno e migliore di altri paesi che stanno vivendo una grande stagione economica, come gli Stati Uniti. Il tasso di disoccupazione si è abbassato dall’11,8 al 10,6 per cento, mentre il debito pubblico ha perso oltre tre punti percentuali nel corso del 2024, scendendo al 101,8 per cento. Oggi quella spagnola è l’economia avanzata con le migliori performance al mondo, tanto che il giornale britannico The Economist l’ha incoronata “Economia dell’anno” a fine 2024. Questi buoni risultati sono in parte conseguenza della naturale ripresa degli anni successivi alla pandemia, ma decisive sono state anche le politiche del governo di centrosinistra di Pedro Sánchez, che governa il paese dal 2018 e oggi è al suo secondo mandato.
Uno degli elementi trainanti dell’economia spagnola è l’immigrazione. Mentre l’estrema destra ha preso il potere in numerosi stati europei, adottando politiche sovraniste e di chiusura dei confini, la Spagna governata dal centrosinistra ha adottato una filosofia delle porte aperte che ha compensato l’invecchiamento della popolazione e la denatalità, dando slancio all’economia.
“La Spagna deve scegliere tra essere un paese aperto e prospero o un paese chiuso e povero”, ha sottolineato qualche tempo fa il premier Sánchez. Su 468mila posti di lavoro creati in Spagna nel 2024, circa l’85 per cento è stato occupato da persone migranti o con doppia nazionalità, che oggi rappresentano circa il 13 per cento della forza lavoro del paese. Queste persone hanno trovato occupazione in settori meno considerati dalla popolazione locale, come l’agricoltura e l’edilizia, ma anche nel settore dei servizi. Oggi il welfare spagnolo sta in piedi grazie all’apporto dato da questo tipo di manodopera e secondo un’analisi della Banca di Spagna i lavoratori migranti hanno contribuito per il 20 per cento alla crescita del Pil superiore al 3 per cento dello scorso anno.
Il piano della Spagna è di attirare 25 milioni di nuove persone migranti nei prossimi 30 anni, una ricetta per continuare a tenere questi ritmi di crescita. A fine 2024 è stata approvata una legge per regolarizzare centinaia di migliaia di persone migranti attraverso una semplificazione delle procedure e un allentamento dei requisiti, mentre il governo sta investendo anche nell’integrazione, con misure volte tra le altre cose a evitare che la manodopera migrante si concentri in occupazione a bassa qualifica e bassi salari.
L’economia spagnola ha fatto registrare numeri record grazie al peso della manodopera con background migratorio, ma non c’è solo questo. Negli ultimi anni il turismo è tornato a crescere a ritmi ben superiori a quelli della pandemia, anche grazie a un costo della vita inferiore rispetto ad altri paesi simili come l’Italia. Nel 2024 sono arrivati 94 milioni di turisti in Spagna, un numero superiore del 10 per cento a quello del 2023, che hanno speso circa 126 miliardi di euro e contribuito alla creazione di nuovi posti di lavoro, spesso occupati dalle persone migranti.
Il governo spagnolo ha poi adottato una serie di misure che hanno reso il terreno fertile per l’arrivo di investimenti stranieri, con grandi multinazionali come Amazon che proprio in Spagna hanno trasferito gran parte della propria operatività e nuove startup, soprattutto in campo tecnologico, che hanno arricchito il tessuto industriale locale. Sullo sfondo il paese ha visto incrementare anno dopo anno le proprie esportazioni, soprattutto relative all’industria alimentare. Oggi il trend positivo è in controtendenza rispetto alle difficoltà degli altri principali paesi europei. Il governo spagnolo ha anche riformato il mercato del lavoro, riducendo la precarizzazione, mentre lo sviluppo è stato garantito anche dal fatto che la Spagna è la seconda principale beneficiaria dei fondi del Next Generation EU, con quasi 150 miliardi di euro da spendere entro il 2026, di cui una buona parte già erogati.
Infine c’è un altro elemento da non sottovalutare, che ha a che fare con la transizione energetica. La Spagna negli ultimi anni ha sviluppato una politica aggressiva in questa direzione, che ha portato nel 2024 a produrre oltre il 56 per cento dell’energia elettrica attraverso eolico e solare, contro una media europea inferiore di 10 punti percentuali. Oltre a creare nuovi posti di lavoro e portare nuovi investimenti stranieri, soprattutto per quanto riguarda i grandi parchi eolici, tutto questo ha fatto abbassare di parecchio il costo dell’energia per le famiglie e per le imprese spagnole tenendo bassa l’inflazione, con tutte le ricadute positive del caso per l’economia nazionale.
L’apertura senza fronzoli all’immigrazione, una riforma del mercato del lavoro attenta ai lavoratori e gli investimenti nella transizione energetica sono tra le misure del governo Sánchez che più contribuiscono a spiegare il grande momento economico della Spagna. Questo però non significa che tutte le sfide siano già state vinte.
Il problema forse più grande resta quello della casa. L’emergenza abitativa è una delle principali difficoltà sociali nell’Europa di oggi e in questo senso la situazione spagnola, in particolare a Madrid e Barcellona, è critica. I prezzi continuano ad aumentare e nell’ultimo decennio l’incremento degli affitti è stato dell’80 per cento, con gli affittuari che sono arrivati a spendere il 40 per cento delle loro entrate mensili per l’alloggio, contro il 27 per cento del decennio scorso. La crisi è molto sentita dalla popolazione e nel paese si ripetono manifestazioni e presidi di protesta, in particolare contro quell’overtourism che arricchisce l’economia ma non i residenti. A inizio 2025 il governo Sánchez ha predisposto un piano di sgravi fiscali per chi affitta a prezzi uguali o inferiori all’Indice dei prezzi di riferimento e un incremento della tassazione per chi destina le proprie case al turismo, mettendole per esempio su Airbnb.
Le sfide relative alla casa vanno poi di pari passo ad altre problematiche, in qualche modo tutte connesse tra loro. Se è vero che la disoccupazione è in calo anno dopo anno, il suo 10.6 per cento resta tra i valori più alti in Europa e il dato è ancora più critico per quanto riguarda i più giovani. Stesso discorso per il reddito pro capite, che non riesce a tenere il passo delle crescite del Pil nazionale, anche perché molti dei nuovi posti di lavoro sono stati creati in settori a bassa produttività e bassi salari.
Il governo Sánchez negli ultimi anni ha saputo ridare slancio a un’economia che era uscita con le ossa rotte dalla pandemia Covid-19 , raggiungendo risultati impensabili. Ma il lavoro non è terminato.
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