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La storia delle spezie, un viaggio per il mondo tra deserti, mari, soprusi e profumi. Dal commercio in Estremo Oriente alla nouvelle cuisine.
Dalla Cina al Medio Oriente verso i porti europei, poi le Indie, l’America. Ripercorriamo la via delle spezie, da secoli fatta di carovane di cammelli tra le oasi del deserto, casse profumate imbarcate in porti esotici, velieri tra le onde e i venti dei monti d’Oriente, fino ai giorni nostri, con la possibilità di sceglierle di provenienza equosolidale.
Le civiltà del Vicino ed Estremo Oriente conoscevano le spezie fin dall’antichità. Le usano Sumeri, Egizi, Fenici, Assiro-babilonesi, Cinesi, Persiani, antichi greci e romani sia per riti sacri che come medicine e profumi. India, Indonesia, Malesia e Cina le esportano in Assiria ed Egitto. Ve ne sono testimonianze in diversi libri antichi, dalla Bibbia a Erodoto di Alicarnasso.
Ai tempi dell’Impero romano, che aveva stazioni commerciali e militari in Asia e sul Mar Rosso, si spendono carriole di denaro per averle in tavola o farne profumi e unguenti, soprattutto durante il regno di Augusto. Sul mare i tragitti si compiono sottocosta e con scali frequenti; soltanto nel I secolo d.C. si cominciano a sfruttare i monsoni, che soffiavano su una stessa rotta in direzione opposta ogni sei mesi, per accelerare la navigazione. Frequenti sono gli attacchi di pirati o, in terraferma, di predoni. Pedaggi di ogni genere vengono imposti dai sovrani dei regni attraverso i quali i mercanti transitano, e questo ovviamente contribuisce a innalzare il costo delle merci. Come le gemme e la seta, il prezzo delle spezie si paga in oro.
I Romani importano quantità talmente vaste di pepe da dover costruire speciali depositi (horrea pipearia) per custodirlo. Al pepe è attribuito un valore così elevato che Alarico, re dei Goti, dopo avere messo Roma a ferro e fuoco, chiede come tributo ingenti quantità d’oro e d’argento, ma anche una tonnellata di pepe.
Gli arabi detengono una sorta di monopolio su queste mercanzie, alimentato da racconti terrificanti sui luoghi di provenienza delle spezie, che sarebbero state custodite da draghi, uccelli giganteschi e popolazioni feroci. Le zone geografiche di provenienza delle spezie si nascondono nel segreto per non perdere l’esclusiva del loro commercio.
Carlo Magno emana un editto (Capitulare de villis vel curtis imperii) recante un elenco di almeno cento piante medicinali, alimentari e aromatiche (tra cui senape, papavero, cumino, coriandolo, carvi, nigella, aneto) che dovevano essere obbligatoriamente coltivate sulle terre imperiali e nei monasteri, talmente è diffuso e ritenuto indispensabile il loro utilizzo.
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Inizia la lunga avventura delle crociate, protrattasi fino al XIV secolo. Con il ritorno dei soldati alle loro case si diffonde l’impiego alimentari degli aromi esotici dei Paesi arabi. Acquista prestigio il lavoro degli speziali, riceve nuovo impulso la navigazione.
Gli aromi sono copiosamente utilizzati, sia per insaporire i cibi sia come antisettici per preservare la carne e coprire il gusto di putrefatto che probabilmente assumeva, dati i modi di conservazione dell’epoca. I trattati di medicina e i ricettari di quei tempi dedicano tutti alcune pagine a decantare le virtù delle spezie più in uso nella cucina, il modo di prepararle, di usarle, di conservarle. Dopo decenni di conflitti tra le Repubbliche marinare, è la Venezia di Marco Polo ad affermarsi come dominatrice degli scambi con l’Oriente, governando per 130 anni il traffico delle spezie.
Le flotte commerciali viaggiano in convogli scortati da navi da guerra pronte ad attendere l’arrivo delle carovane in qualsiasi porto del Vicino Oriente. Le spezie venivano spedite da Alessandria d’Egitto, dai porti della Siria, specialmente da Beirut e, prima della conquista turca, dai porti del Mar Nero, in prima linea da Trebisonda e dalla Tana, fin verso l’Inghilterra e nelle Fiandre, dove potenti organizzazioni provvedevano poi a distribuirle nel Nord Europa.
L’esigenza dei vari regni europei di approvvigionarsi direttamente dai mercanti dell’Est spezzando il monopolio veneziano contribuisce all’enorme incremento d’interesse, durante il 1400, per la navigazione in alto mare. Nel 1418 il re del Portogallo Enrico il Navigatore apre una scuola nautica proprio allo scopo proprio di scoprire nuove rotte verso l’Oriente.
Le flotte commerciali viaggiano in convogli scortati da navi da guerra pronte ad attendere l’arrivo delle carovane in qualsiasi porto del Vicino Oriente. Le spezie venivano spedite da Alessandria d’Egitto, dai porti della Siria, specialmente da Beirut e, prima della conquista turca, dai porti del Mar Nero, in prima linea da Trebisonda e dalla Tana, fin verso l’Inghilterra e nelle Fiandre, dove potenti organizzazioni provvedevano poi a distribuirle nel Nord Europa.
Vasco da Gama approda a Calcutta. Una delle prime cure del fortunato esploratore è quella di stipulare con i sultani di Cochin e Cananor un trattato che assicura ai mercanti portoghesi i carichi delle varietà più pregiate di spezie. In seguito a quel viaggio e alla fondazione delle colonie portoghesi sulle coste dell’India il monopolio del commercio delle spezie passa a Lisbona, sancendo il declino di Venezia che non era in grado di navigare per l’Atlantico. Nel 1500 Cabral scopre il Brasile e nel 1520 Magellano raggiunge le Molucche, chiamate “Isole delle spezie” perché ricolme di noce moscata e chiodi di garofano. Nasce l’impero coloniale portoghese.
La Spagna penetra in Centro e Sud America, continenti che fanno conoscere al Vecchio Mondo vaniglia, peperoncino e pimento.
Nascono le Compagnie di Inghilterra, Olanda e Francia, che strappano il predominio al Portogallo, anche con gravi soprusi. Nasce il colonialismo. Gli olandesi, unendo cinque compagnie commerciali, arrivano a creare la più potente organizzazione del mondo che commercializza praticamente in esclusiva le spezie dai principali luoghi di produzione: India, Ceylon, Malesia, Molucche, Cina e Giappone. Batavia e Amsterdam diventano i due mercati estremi della nuova corrente del traffico delle spezie. Gli olandesi pagano il re delle Molucche per sradicare gli alberi di noce moscata, allo scopo di concentrarne la produzione nei propri territori e far salire i prezzi. I francesi trapiantano nei loro possessi tropicali noce moscata, garofano e pepe. Alla corte francese è di moda servire carni infarinate con polveri odorose decorate con fiori e frutta.
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Nel 1824 viene stipulato un trattato che regola gli interessi di Olanda e Inghilterra in India e nell’Asia sud-orientale. Da qui in poi, nessuna città può più definirsi la capitale del commercio delle spezie, il cui commercio è però soppiantato, in quantità, dalla rapidissima ascesa dello zucchero, del cacao, del caffè, del tè, di pigmenti e materie tessili, dei legni preziosi che finiscono per assegnare alle spezie una posizione sempre più marginale nel commercio coloniale.
Il valore e la mole di scambi commerciali sono in calo, si parla infatti di tramonto delle spezie in gastronomia. Oggi buona parte degli aromi prodotti in climi tropicali è in disuso, e soltanto alcuni di questi sapori vengono usualmente impiegati per cucinare. Qualcosa però in questi tempi sta cambiando; si ritorna a scoprire i sapori e gli aromi del passato con la diffusione da una parte della cucina indiana e cinese e dall’altra della nouvelle cuisine che ama molto usare e osare sapori inconsueti.
Dal curry al carcadè, dallo zenzero al tè verde, i colori e gli aromi di tutto il mondo sono oggi presentati al vasto pubblico anche con le certificazioni del commercio equo, così da poter conoscere e degustare sapori lontani e allo stesso tempo di scoprire le storie di giustizia e dignità che raccontano i prodotti del commercio equo e solidale.
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