Ha 300 anni e può essere visto persino dallo spazio. È stato scoperto nel Triangolo dei Coralli grazie a una spedizione della National Geographic society.
Spiritus mundi, la storia dei ragazzi che sognano di mostrare ai figli i boschi dei nonni
Vogliamo raccontarvi il sogno di una giovane squadra che sta restituendo al Veneto i boschi che ha perduto nel corso del tempo. Abbiamo incontrato il fondatore di Spiritus mundi, Christian Marcolin.
Le piante sono ancorate al terreno, quindi non possono fuggire di fronte ai problemi. Noi, invece, lo facciamo spesso: prendiamo un aereo, cerchiamo posti lontani dove trovare una risposta o, forse, dove dimenticare quella che già conosciamo e non vogliamo accettare. La fuga non è però la strategia che hanno scelto Christian Marcolin e i suoi amici, che invece hanno voluto restare nella propria terra per salvare loro: le piante.
Nel 2016 è nata Spiritus mundi, letteralmente “Spirito del mondo”, con l’obiettivo di tornare indietro nel tempo, ovvero piantare nuovi alberi e riportare così i boschi del Veneto al loro antico splendore, quando l’uomo ancora non aveva interferito con la loro esistenza e deciso che fosse meglio abbatterli per fare spazio ad allevamenti intensivi e coltivazioni su larga scala, quando ancora il vento soffiava tra le foglie e l’aria profumava di resina. Anche perché, come ci racconta Christian, basta un pizzico d’amore per far lievitare i benefici che le foreste sono in grado di regalarci.
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Com’è nata Spiritus mundi?
L’idea, a livello embrionale, è nata parecchi anni fa, successivamente ho capito che per un confronto efficace con le istituzioni fosse necessario creare un’associazione, quindi ho cominciato a lavorare giorno e notte e ho stilato, coinvolgendo anche qualche amico, l’atto costitutivo e lo statuto; poi li abbiamo presentati agli enti competenti e nel 2016 Spiritus mundi è stata approvata come onlus.
Eravamo un gruppo di amici che condividevano una passione ed erano anche coscienziosi, direi, perché ci siamo posti il problema di quello che stava accadendo e che coinvolgeva, nello specifico, i nostri territori. Abbiamo voluto dare una riposta dal basso, un po’ di speranza per migliorare quello che ci circondava. Ora il progetto sta crescendo, quindi siamo davvero orgogliosi.
Quante persone lavorano per l’associazione?
Abbiamo circa una ventina di iscritti, però ci sono tantissimi simpatizzanti e molte persone che vorrebbero tesserarsi. Dobbiamo capire come muoverci in tal senso perché l’idea di rimanere un piccolo gruppo è stata privilegiata nei primi anni per dare una direzione genuina all’associazione. Non sempre chi arriva dall’esterno ha la stessa spontaneità e voglia di fare del bene, noi invece ci siamo imposti dei diktat; siamo apolitici e non ci facciamo né inibire né ammaliare dai diversi partiti. Se vediamo che le amministrazioni offrono consenso e disponibilità, siamo i primi ad apprezzarlo a prescindere da come la pensiamo individualmente.
Quali sono i vostri obiettivi?
L’obiettivo primario è quello di cercare di ricostituire il bosco planiziale nella pianura padano-veneta, a partire dal nostro territorio. Cerchiamo di recuperare, collaborando con l’amministrazione, terreni inutilizzati dove attuare progetti di rimboschimento. In questo modo vorremmo capillarizzare nei nostri paesi dei piccoli polmoni verdi, che possano in qualche modo restituire il maltolto.
Plinio il vecchio scrive, nella Naturalis historia, che qui c’era un’infinita selva; lo stesso testimoniano Tito Livio, Strabone, Tacito. C’erano dedali di fiumi, zone paludose e boschi planiziali che erano costituiti soprattutto da querce, salici, alberi tipici della pianura. Con l’avvento dell’agricoltura intensiva, abbiamo assistito ad un progressivo disboscamento che ha portato, nel 1980, alla scomparsa di quasi tutte le foreste che si sono ridotte del 99,99 per cento.
Quello che è rimasto è stato salvato, con un po’ di lungimiranza, da alcune istituzioni tra cui Veneto agricoltura, un ente regionale che ha creato un vivaio a Montecchio Precalcino, in provincia di Vicenza, dove ha coltivato le piante che sono figlie di quegli antichi boschi rimasti. Noi le acquistiamo in modo da privilegiare specie autoctone e ricreare esattamente le foreste che c’erano un tempo; in questo modo si va a ripristinare anche il patrimonio culturale.
Sono piantine giovani – da uno a tre anni – e questo a volte scoraggia il cittadino perché si aspetta il bosco già fatto, vuole tutto e subito, invece la natura ha altri tempi. Devono essere così piccole perché le radici attecchiscono meglio, crescono più in fretta e diventano più robuste; il tasso di mortalità si abbassa, i costi di acquisto e manutenzione sono inferiori.
Quali sono i vantaggi che derivano dalla riforestazione?
Non c’è solo l’amore per l’albero, ma anche un’esigenza dal punto di vista sanitario, dietro il nostro progetto: disturbi a carico dell’apparato respiratorio e malattie neurodegenerative sono attualmente in crescita, soprattutto in pianura Padana che, lo ricordo, è il posto più inquinato d’Italia e tra i primi in Europa. Si tratta di patologie come l’Alzheimer, la demenza o il Parkinson che vengono stimolate dall’inquinamento. La diffusione della sclerosi multipla, ad esempio, solo qui a Padova è cresciuta di quasi 7 volte negli ultimi 40-50 anni e la distribuzione della malattia è esattamente coincidente con le zone più inquinate del territorio. Noi quindi cerchiamo di proporre questi boschi sia per dare un plusvalore al territorio, sia perché crediamo che gli ecoservizi che forniscono siano essenziali per migliorare la salute dei cittadini oltre che quella dell’intero ecosistema.
I costi di creazione e manutenzione del bosco sono infimi rispetto ai vantaggi che ne derivano; quando l’albero cresce ha un potenziale incredibile. Assorbe le polveri sottili, la CO2 – gas serra che in questo momento è a livelli storici altissimi – produce ossigeno, mitiga il clima permettendo di risparmiare energia, drena e filtra le acque andando a ridurre il rischio idrogeologico, porta all’aumento della biodiversità; gli insetti impollinatori come le api vi trovano un habitat dove svilupparsi. C’è uno studio dell’Onu del 2016 che che esamina il caso di Central Park a New York: costa circa 22 milioni di dollari l’anno, ma consente il risparmio di oltre 120 milioni.
Una volta piantati gli alberi, chi si occupa della gestione del bosco?
Il nostro primo bosco si trova a Polverara, in provincia di Padova. Per ora comprende 1.400 piante che abbiamo messo a dimora nel corso di due eventi aperti ai cittadini che hanno partecipato alla piantumazione; l’obiettivo è arrivare, al termine del prossimo anno, ad avere circa 2.220 alberi e arbusti. Nei successivi cinque anni saremo noi ad occuparci della manutenzione, garantendo la sostituzione degli esemplari che dovessero ammalarsi, lo sfalcio, l’irrigazione, tutto quello che serve per garantire l’attecchimento e la crescita ottimale delle piante. Quando il bosco verrà consegnato al paese come patrimonio collettivo si creerà, in concerto con i cittadini e l’amministrazione, un piccolo comitato che si prenderà cura anche delle eventuali attività didattiche. Vogliamo che sia un luogo che possa essere vissuto, infatti abbiamo già previsto un percorso didattico con delle bacheche informative e una radura d’accoglienza dove praticare yoga, leggere o godersi un picnic all’aria aperta.
C’è un altro bosco in fase di progettazione che ospiterà oltre 10mila alberi. L’obiettivo finale è quello di espanderci a livello nazionale. Siamo convinti che lanciare un segnale dal basso che dia un po’ di speranza possa precorrere iniziative più ampie e l’auspicio è che i bambini, crescendo, si sentano cittadini un po’ diversi rispetto ad altri che ci hanno preceduto senza molta lungimiranza.
In che modo si può sostenere la onlus?
Si possono fare delle donazioni, sponsorizzarci, destinare alla onlus il proprio cinque per mille. Noi siamo tutti ragazzi, chi più, chi meno; chi con un buon lavoro, chi meno, qualcuno addirittura è disoccupato; quindi noi ci mettiamo solo la buona volontà. A volte qualcuno ci mette anche dell’altro, ma è ovvio che per far crescere questi progetti servono molte risorse. Chi invece si trovasse nei paraggi, potrebbe venire a dare una mano nel concreto, anche divertendosi: siamo un bel gruppo, spontaneo, genuino, in controtendenza rispetto al narcisismo e alla superficialità che spesso dilagano oggi.
Avete in programma delle iniziative per la Giornata nazionale degli alberi?
Saremo in una scuola media, a parlare a tutte le classi. Terremo una piccola lezione sull’ambiente, sull’ecosostenibilità, sulla situazione nel nostro paese che riguarda poi anche il resto del mondo. Cercheremo di seminare nei più piccoli un po’ di buone prospettive e pianteremo con loro degli alberi nel cortile dell’istituto. Domenica scorsa abbiamo anticipato la festa dell’albero ad Albignasego, un paese vicino a Padova: nel parco di via Modigliani, dove già qualche anno fa avevamo piantato 350 piantine, ne abbiamo messe a dimora altre sessanta con i ragazzini del posto, spargendo un pio’ di speranza anche lì.
L’intervista è stata realizzata in occasione della Giornata nazionale degli alberi 2018
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