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Sport e clima: perché il 20% delle nazioni che partecipano alle Olimpiadi è a rischio
Come i cambiamenti climatici stanno trasformando lo sport, ma soprattutto il destino olimpico di molte atlete e atleti solo per la loro provenienza geografica.
- I cambiamenti climatici hanno effetti importanti sul modo di vivere lo sport.
- Dalle ondate di calore alle inondazioni, fino all’innalzamento del livello dei mari, molti paesi si trovano in condizioni critiche.
- Il rischio è che in futuro alle Olimpiadi ci siano sempre meno paesi rappresentati.
“Entro il 2030 il 20 per cento delle nazioni olimpiche rischia di sparire a causa dell’impatto dei cambiamenti climatici sullo sport”. A dirlo, nel Sport Positive summit del 2022, è stata Julie Duffus, senior manager per la sostenibilità del Comitato olimpico internazionale (Cio). “Lavoro ogni giorno con 206 paesi in tutto il mondo – aveva aggiunto Duffus – e molti stanno già vivendo le conseguenze della crisi climatica nello sport”.
Mentre le Olimpiadi di Parigi 2024 prendono il via con l’obiettivo di ridurre al minimo l’impatto ambientale e rappresentare un esempio da seguire per tutti i grandi eventi sportivi del futuro, in molti angoli del pianeta lo sport sta combattendo una dura lotta contro i cambiamenti climatici: dal caldo che impedisce di allenarsi, alle violente inondazioni che distruggono strutture e centri sportivi. Sono molteplici le situazioni in cui praticare sport potrà risultare complesso.
Che fine farà la tradizione del Kenya nella corsa?
Uno degli atleti più attesi alle Olimpiadi di Parigi è il maratoneta del Kenya Eliud Kipchoge, vincitore di due medaglie d’oro nelle ultime due edizioni e a caccia di uno storico terzo successo, impresa mai riuscita a nessuno. Kipchoge viene da Kapsisiywa, un piccolo villaggio nella parte occidentale del Kenya. Da quella zona sono arrivati tantissimi campioni e campionesse della corsa, tra cui quattordici vincitori della maratona di Boston e tredici medaglie d’oro ai campionati mondiali di atletica leggera.
Questo angolo del Kenya viene chiamato, di fatti, la Casa dei campioni. Le sue strade dritte, senza ostacoli e in altura permettono agli atleti di sviluppare capacità polmonari e di corsa uniche.
Tuttavia, questa è anche una zona dove il 35 per cento delle persone vive sotto la soglia della povertà e negli ultimi anni è stata colpita violentemente dal caldo e dalla siccità così come da violente inondazioni e dalla perdita di biodiversità.
Tutto questo, in un paese senza particolari strutture sportive e dove le persone non hanno la possibilità di allenarsi al chiuso, rischia di trasformarsi in un ostacolo insormontabile per i corridori e le corritrici delle nuove generazioni che, a causa delle avverse condizioni climatiche, potrebbero non avere più la possibilità di incoronare i loro sogni.
Per questo, il presidente della l’Athletics Kenya (AK), cioè la federazione di atletica leggera del paese africano, Jackson Tuwei, ha lanciato un messaggio dai toni alquanto preoccupanti: “Se i giovani atleti hanno fame, non corrono. Se la qualità dell’aria è cattiva perché è polverosa e fumosa, non correranno. Se non c’è ombra perché gli alberi sono stati abbattuti e non c’è acqua per bere o fare la doccia, non correranno”.
A tutto questo va anche aggiunto l’aumento del rischio di infortuni causati dalle condizioni di sentieri e percorsi in netto peggioramento.
Il Kenya teme che senza un intervento della comunità internazionale praticare sport nel proprio paese possa diventare sempre più complicato, costringendo chi può ad andare all’estero, mentre per tutti gli altri, semplicemente, potrebbe non esserci un futuro nello sport.
I casi del Pakistan e delle Isole Figi
Madeleine Orr, fondatrice dell’associazione Sport Ecology, ha scritto nel suo libro Warming up: how climate change is changing sport, dedicato proprio agli impatti dei cambiamenti climatici sullo sport, cita gli esempi di due paesi spesso lontani dalle cronache sportive, ma molto utili per farsi un’idea di come le condizioni climatiche avverse possano colpire lo sport e la popolazione locale.
Nell’estate del 2022 il Pakistan è stato colpito da inondazioni senza precedenti che hanno causato la morte di quasi migliaia di persone. Le inondazioni sono state provocate da un improvviso cedimento dei ghiacciai unito alla presenza di monsoni dalla potenza unica; due fenomeni legati alla crisi climatica.
Questi eventi hanno distrutto intere strutture sportive che non sono ancora state ricostruire a causa della mancanza di fondi per farlo. Le poche risorse a disposizione sono state logicamente destinate a distribuire gli aiuti umanitari come cibo sano, acqua pulita, alloggi e assistenza sanitaria ai quasi 30 milioni di sfollati. E il tempo della ricostruzione degli stadi e degli impianti sportivi appare lontano. Questo ha avuto come risultato il fatto che ora il Pakistan rischia di perdere molto del proprio patrimonio sportivo, legato soprattutto al cricket.
In altri angoli del pianeta, invece, come ad esempio le Isole Figi, un arcipelago dell’oceano Pacifico, lo sport può sparire completamente a causa dell’innalzamento del livello dei mari, che si sta prendendo letteralmente mangiando l’arcipelago.
Da quelle parti, dove tutti o quasi giocano a rugby, è abitudine allenarsi sulle spiagge, gli unici spazi dove si trovano aree sufficientemente ampie per farlo. Con il livello del mare che si innalza sempre di più e le spiagge che diventano sempre più strette, gli abitanti hanno come unica soluzione quella di migrare verso aree più interne, dove gran parte del territorio è coperto da giungle e foreste. Se non addirittura a trasferirsi in altre isole o in altri paesi. Questo rende quindi molto complesso costruire strutture adeguate allo sport. Farlo infatti vorrebbe dire abbattere centinaia di alberi; e quindi, per affrontare un problema, se ne creerebbero molti altri.
Come nel caso del Kenya, anche per i giocatori di rugby delle Figi la soluzione più percorribile è lasciare il proprio stato per andare ad allenarsi altrove, privando però le tante comunità locali della propria anima sportiva.
Le altre nazioni che rischiano di non poter sognare le Olimpiadi
Kenya, Pakistan e Figi sono solo alcuni degli esempi più lampanti, ma purtroppo non sono gli unici.
Il problema dell’innalzamento del livello dei mari, secondo quanto sostiene il World economic forum, riguarda molti paesi, come Tonga, Bangladesh, Cina, Nuova Zelanda, India e, ovviamente, Paesi Bassi: nazioni e stati che, da qui al prossimo futuro, rischiano di dover prendere decisioni importanti su quale destinazione d’uso affidare a porzioni di territorio sempre più scarse e, con molta probabilità, sarà lo sport a pagare dazio.
Discorso analogo anche per quanto riguarda il problema delle temperature estreme e della siccità: oltre al Kenya, sono numerosi i paesi africani e dell’area mediterranea dove le temperature sono in aumento costante, con le conseguenti difficoltà nel portare avanti una corretta e sana pratica sportiva. Stati come il Mali, Sudan, Somalia, Guinea-Bissau, Eritrea e Ciad sono tutti da considerarsi a rischio.
Parigi per queste Olimpiadi ha voluto mandare un segnale al mondo, organizzando dei Giochi che siano il più possibile a basso impatto ambientale, cercando di dimostrare che è possibile coniugare un grande evento con le sostenibilità ambientale e climatica.
Tuttavia, la situazione in più parti del mondo è critica e affinché lo sport possa continuare a essere “di tutti” è necessario intervenire con azioni concrete, mirate, ma soprattutto rapide. Ciò che può fare lo sport, tramite le sue campionesse e i suoi campioni, è sfruttare la loro popolarità per sensibilizzare ancora di più governi e opinione pubblica.
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