Profilazione razziale, xenofobia nel dibattito politico e omofobia nel report dell’Ecri. Tra le sue richieste c’è quella di rendere indipendente l’Unar.
Stare in ascolto del silenzio
Alla riscoperta del silenzio, per superare il caos del mondo che ci appare sempre più imprevedibile, disorientante, e ascoltare la nostra anima.
“Dopo aver camminato a lungo per le vie, in mezzo alla gente,
alle cose e ai segnali, ho voglia di isolarmi dal rumore: cerco un
luogo tranquillo per riposare, rilassarmi, pensare; per non pensare
a niente, svuotarmi i sensi e la testa; per concentrarmi, smettere
di sentire, cominciare ad ascoltare… Questa condizione di
silenzio e di solitudine mi permette di ritrovare una percezione di
me e del mondo che mi sta attorno, precisamente un ascolto. Il
silenzio che mi sono procurato, isolandomi dai rumori normali, mi
permette di ascoltare… Mi accorgo che in questo rilassarmi ho
lasciato essere una dimensione di apertura della mia esperienza che
di solito è messa a tacere”.
Questa penetrante riflessione, tratta da L’esercizio del
silenzio di Pier Aldo Rovatti, ci suggerisce la dimensione
feconda del silenzio, inteso come spazio privilegiato per dare voce
a ciò che, in un mondo che ci appare sempre più
imprevedibile, disorientante, quando non ostile, teniamo segregato
in quella gabbia d’acciaio che è diventata la nostra anima,
in modo da poterci omologare ai linguaggi e ai vissuti dei
più.
E questo perché l’omologazione esistenziale ci offre una
sorta di rassicurante rifugio contro la fatica del vivere e,
soprattutto, non mette alla prova il nostro coraggio, la nostra
libera volontà di progettare percorsi alternativi a quelli
efficientistici e produttivistici che connotano in modo radicale
questo nostro stare al mondo.
Ascoltare il silenzio, di contro, mette in gioco la nostra
“realtà totale” di uomini e ci permette di guadagnare alcune
feconde dimensioni dell’esistenza, che qui ci limitiamo ad
elencare, per approfondirle, comunque, nel prossimo intervento:
– Il silenzio come distanza dalla parola consueta;
– il silenzio come farmaco contro l’iperattivismo
dell'”uomo-vetrina”;
– il silenzio come primato della “persona” sul “personaggio”;
– il silenzio come scelta contro la decisione;
– Il silenzio come via privilegiata al dubbio metodologico e non
esistenziale.
Fabio Gabrielli
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