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Fino al 24 marzo sono aperte le iscrizioni a Fineco Impact, la challenge che premia i progetti sostenibili che coinvolgono territori e comunità locali.
L’Italia si dimostra un paese con grandi potenzialità a livello di imprenditoria sociale e ambientale. Grazie anche alle startup innovative.
Il panorama imprenditoriale italiano è sempre più vivace e di respiro internazionale. Un contributo particolare è dato dalle startup innovative, società appena nate che si affacciano al mercato con un approccio dinamico e fortemente legato alle nuove tecnologie. Il che comporta grandi potenzialità, ma anche parecchi rischi.
Il termine inglese “startup” rimanda all’idea di partire, accendersi, avviarsi, ed è quindi usato per riferirsi a una nuova impresa che si mette in moto, sviluppando il prodotto o servizio che la caratterizza.
La letteratura su questo tema è molto vasta e le definizioni sono innumerevoli. Alcune sottolineano il fatto che la startup sia un’organizzazione temporanea concepita per crescere velocemente all’insegna di un modello di business replicabile e scalabile; altre si concentrano sulle condizioni di estrema incertezza in cui la startup opera.
Le startup innovative poi sono quelle che offrono soluzioni inedite a problemi che prima non erano risolti e, talvolta, nemmeno percepiti. Così facendo, fanno evolvere il mercato e sovvertono lo status quo. È famosa l’affermazione del fondatore di Apple Steve Jobs, “non è compito del consumatore sapere ciò che vuole”, ad indicare che la percezione dei bisogni e delle soluzioni spesso è definita prima nella mente dell’imprenditore che in quella del cliente.
Steve Blank, professore e ricercatore che ha teorizzato l’idea di startup, sostiene che quest’ultima non è la versione piccola di una grande azienda perché è concepita diversamente: dovendo innovare, rischia molto di più.
Nell’arco di vita delle startup si passa dalla formalizzazione e validazione dell’idea iniziale alla messa a punto del prototipo o processo al centro del suo business, fino all’ingresso nel mercato e poi alla maturità. Tutti questi passaggi sono accompagnati necessariamente da attività di raccolta di fondi specifiche, che hanno nomi che riflettono la fase di vita della startup come pre-seed, seed, early growth, growth, exit.
Non tutte le startup comunque hanno lo stesso obiettivo o ambizione: ci sono quelle familiari che per loro natura intendono restare piccole, quelle che puntano a vendere subito l’idea ad altre aziende del settore, o quelle che crescono in tempi rapidissimi e fanno grandi profitti.
Tra le startup è elevatissimo il tasso di fallimento: il loro percorso di crescita assomiglia un po’ a un imbuto che lascia passare solo le realtà più solide e forti. Il termine unicorno è stato coniato per indicare chi ce la fa non solo a sopravvivere ma a sbancare, raggiungendo il valore significativo di un milione di dollari. In ogni caso, sbagliare non è visto in un modo negativo o come uno stigma, anzi. È un modo di mettersi alla prova, imparare e migliorare.
Il fallimento è un’opzione. Se le cose non falliscono, significa che non state innovando abbastanza.
Elon Musk
Le cifre del ministero dello Sviluppo economico (Mise) comunque sono incoraggianti. Nella relazione annuale al Parlamento sullo stato di attuazione e l’impatto delle policy a sostegno di startup e pmi innovative del 2020 si legge: “Le startup innovative evidenziano un tasso di sopravvivenza molto elevato: nel 2019 oltre l’80 per cento delle aziende innovative costituite prima del 2013, non più iscritte nella sezione speciale del Registro per raggiunti limiti d’età, risulta ancora in stato di attività”.
Secondo una ricerca di Cb Insight, la terza causa di fallimento delle startup è proprio la mancanza della squadra giusta. Per questo LifeGate Way, la partecipata del gruppo che si occupa di startup innovative naturalmente sostenibili, ha messo a punto People, un programma dedicato a rinforzare le competenze soft dei team.
La legge italiana è molto precisa su quello che riconosce come startup innovativa, concetto differente da quello di piccola media impresa innovativa, come spiegato molto bene sul sito del Mise. Perché possa definirsi innovativa il nostro ordinamento richiede (Decreto Crescita 2.0) che “la startup abbia quale oggetto sociale, esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico”.
Il decreto legge (D.L. 179/2012) è stato emanato con l’obiettivo di dar impulso all’economia e alla cultura digitali, all’alfabetizzazione informatica, nonché alla ricerca e alle innovazioni tecnologiche, fattori essenziali di progresso e opportunità di arricchimento economico, culturale e civile e di rilancio della competitività delle imprese. La normativa è stata concepita in modo da favorire la nascita e lo sviluppo di queste realtà offrendo agevolazioni affinché possano svilupparsi e prosperare e, in questo modo, portare nuove soluzioni e prospettive originali.
Il Mise mette a disposizione una risorsa sintetica ed esaustiva che spiega i requisiti necessari affinché una società di capitali possa essere inquadrata come startup innovativa:
Dovendosi trattare per definizione di una realtà innovativa, la startup deve soddisfare anche uno di questi requisiti:
Entro cinque anni le startup innovative possono trasformarsi in pmi innovative, senza perdere i benefici a disposizione.
Numerose le agevolazioni previste dalla legge per le startup innovative: incentivi fiscali, accesso gratuito al fondo di garanzia delle imprese, possibilità di raccogliere fondi con equity crowdfunding, finanziamenti agevolati ed esoneri di imposte, servizi di internazionalizzazione, procedure semplificate in caso di insuccesso.
Il compito di far decollare le startup spetta anche ad altri attori. Tra tutti, i business angel, imprenditori esperti che hanno raggiunta una certa solidità economica e sono disposti a investire in iniziative imprenditoriali ad alto potenziale, e gli incubatori, organizzazioni che supportano attivamente lo sviluppo di imprese innovative attraverso una serie di servizi e risorse offerti sia direttamente sia attraverso una rete di partner, come spiega un recente rapporto redatto da Social Innovation Monitor (Sim). Tale ruolo può essere ricoperto dalle università che accompagnano così questo passaggio tra studio, ricerca e lavoro.
Secondo un rapporto del Mise, le startup innovative a prevalenza giovanile (under 35) sono 2.641, il 18,8 per cento del totale. Si tratta di un dato di 3 punti percentuali superiore rispetto a quello riscontrato tra le nuove aziende non innovative (15,4 per cento).
Quasi la metà delle startup innovative è nata negli ultimi due anni. Questo è dovuto in parte alla continua nascita di nuove imprese, in parte al loro limitato tasso di sopravvivenza e in parte al fatto che questo status venga perso dopo cinque anni.
La regione con il maggior numero di startup innovative è la Lombardia con il 27,3 per cento, seguita dal Lazio con l’11,5 per cento e dalla Campania con l’8,5 per cento. In termini di numero di startup ogni 100mila abitanti, la prima regione è sempre la Lombardia (30,5 per cento), ma gli altri due gradini del podio sono occupati da Trentino-Alto Adige (25,6 per cento) e Molise (24,6 per cento).
Che dire invece dei settori? Sim mette al primo posto i servizi di informazione e comunicazione (48,9 per cento), seguiti dalle attività professionali, scientifiche e tecniche (22,9 per cento) e dalle attività manufatturiere (16,1 per cento). Secondo il report Mise i servizi forniti dalle startup innovative sono per il 75,7 per cento nel digitale, per il 16 per cento nel manifatturiero e per il 3 per cento nel commercio.
Sim descrive le startup innovative a significativo impatto sociale come giovani organizzazioni che, attraverso la propria attività imprenditoriale, introducono un’innovazione sociale, vale a dire una soluzione a un problema che sia nuova e migliore rispetto a quelle preesistenti e che generi valore per la società nel suo complesso, più che per i singoli privati.
La ricerca di Sim le identifica secondo tre tratti principali: sono operative su almeno uno dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile; presentano un approccio ibrido che bilancia ritorni economici e generazione di impatto sociale o ambientale; e introducono innovazioni sociali, proponendo soluzioni più efficaci, efficienti, sostenibili o eque.
LifeGate Way è particolarmente affine a queste realtà e alla loro attitudine di cambiare il mondo in meglio attraverso soluzioni innovative. Per questo sostiene solo startup naturalmente sostenibili, in linea con le tre P di people, planet e profit.
Il report di Sim fa chiarezza anche sulla terminologia:
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