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Fra le startup agrifood censite dall’Osservatorio del Politenico di Milano, il 34 per cento persegue gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu.
Un’importante risposta alla crisi alimentare può arrivare dall’innovazione e, in particolare, dalle startup che si occupano di agrifood. Oltre a facilitare l’accesso delle persone al cibo, un buon numero di queste si può anche definire sostenibile, perché persegue uno o più degli obiettivi inclusi nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. A tracciare il quadro è una ricerca dell’Osservatorio Food Sustainability della School of management del Politecnico di Milano, che mostra un settore più che mai dinamico e in continua espansione.
Partiamo dai numeri: a livello mondiale, nel quinquennio tra il 2017 e il 2021 sono state censite 7.337 startup che si occupano di agrifood; 2.527 di queste (il 34 per cento) mirano a centrare uno o più obiettivi dell’Onu. Il 30 per cento punta ad ottimizzare l’utilizzo delle risorse (obiettivo 12 target 12.2) e il 21 per cento a promuovere la tutela degli ecosistemi terrestri e d’acqua dolce (obiettivo 15 target 15.1). Le startup investono poi su soluzioni per sensibilizzare e incentivare l’adozione di stili di vita e pratiche sostenibili (obiettivo 12 target 12.8, il 17 per cento), per aumentare la produttività e la capacità di resilienza dei raccolti ai cambiamenti climatici (obiettivo 2 target 2.4, il 17 per cento) e per favorire il turismo sostenibile e le produzioni locali (obiettivo 8 target 8.9, il 16 per cento).
Le giovani imprese puntano inoltre a tutelare i piccoli produttori (obiettivo 2 target 2.3, il 12 per cento), a ridurre eccedenze e sprechi alimentari lungo la filiera (obiettivo 12 target 12.3, l’11 per cento), ad assicurare il lavoro a tutti e una remunerazione equa (obiettivo 8 target 8.5, l’8 per cento) e a promuovere l’uso efficiente e accesso equo alle risorse idriche (obiettivo 6 target 6.4, il 7 per cento). Come spiega Paola Garrone, responsabile scientifica dell’Osservatorio, “di fronte alle sfide epocali ed emergenti del settore, le startup agrifood propongono soluzioni innovative che puntano a migliorare la sicurezza alimentare e favorire la transizione a modelli di produzione e consumo più sostenibili e inclusivi. I modelli di business proposti sono essenzialmente orientati alla sostenibilità, per cui diventano il soggetto ideale per osservare da vicino i trend di innovazione e l’introduzione di nuove pratiche di sostenibilità nell’agrifood”.
Analizzando la collocazione geografica delle startup agrifood orientate alla sostenibilità, la Norvegia si piazza al primo posto (con 25 realtà, il 60 per cento delle quali sostenibili), seguita da Israele, Nigeria e Polonia. Con il 25 per cento di startup sostenibili sulle 85 che si occupano di agrifood, l’Italia si colloca al 23esimo gradino della classifica. Sul fronte della raccolta di investimenti svettano le startup sostenibili statunitensi (per un totale di 3,2 miliardi di dollari, 8,7 milioni di dollari a startup), seguite da quelle operative in Asia, che hanno raccolto 2 miliardi di dollari, con un capitale medio di 10,9 milioni di dollari a startup. Il finanziamento complessivo ottenuto da queste realtà nel nostro paese è di 16 milioni di dollari, con un capitale medio per startup di 1,6 milioni di dollari.
“La crisi alimentare – sottolinea Raffaella Cagliano, responsabile scientifica dell’Osservatorio – va affrontata azionando molte leve. Una risposta fondamentale viene dagli accordi tra paesi per salvaguardare una fornitura adeguata ed equa di prodotti alimentari, insieme alle politiche di Commissione europea e governi nazionali per rafforzare sicurezza, resilienza e sostenibilità dei sistemi agroalimentari. Altre misure devono essere prese da governi locali e nazionali in partnership con le organizzazioni non profit per mitigare nel breve termine gli impatti sociali più negativi”.
Dallo studio di 39 iniziative di distribuzione alimentare a fini sociali in vari contesti urbani, l’Osservatorio ha identificato quattro diversi modelli di collaborazione cross-settoriale ricorrenti, che possono anche ibridarsi tra di loro: recupero e ridistribuzione di eccedenze alimentari tramite donazione, spesa sospesa, trasformazione dell’eccedenza in altro prodotto a più lunga vita residuale o in pasto cucinato e supermercato sociale.
Tra le esperienze analizzate si citano gli hub di quartiere contro lo spreco alimentare di Milano, che coniugano attività di recupero e ridistribuzione di eccedenze alimentari donate da diverse fonti con il modello del supermercato sociale e anche la trasformazione di eccedenze. Altre iniziative sono Culinary Misfit a Berlino, che riutilizza frutta e verdura scartata per difetti estetici e acquistata a prezzo calmierato da produttori agricoli locali, per la preparazione di piatti cucinati, anche serviti gratuitamente alle persone in difficoltà. In Italia è Babaco Market a recuperare frutta e verdura esteticamente non conformi agli standard della grande distribuzione, per poi spedirle attraverso box in abbonamento. Anche Biorfarm consegna frutta a domicilio a chi sceglie di adottare un albero, garantendo un reddito equo al coltivatore.
Come spiega la direttrice dell’Osservatorio Giulia Bartezzaghi, “emerge il ruolo fondamentale delle collaborazioni cross-settoriali per il recupero e la distribuzione di alimenti a fini sociali. Queste esperienze coinvolgono ente pubblico locale e privato, profit e non profit, aggregando risorse e competenze strategiche sul territorio per fornire una risposta congiunta al fabbisogno crescente di cibo sano e nutriente da parte delle fasce più vulnerabili della popolazione urbana”.
La collaborazione tra un settore e l’altro amplifica anche le opportunità in termini di economia circolare. Così, per esempio, gli scarti della produzione di succo di arancia e di mela diventano, rispettivamente, tessuti e cosmetici. A introdurre queste innovazioni sono Orange Fiber e Naste Beauty. Un altro esempio di recupero virtuoso degli scarti è la birra di Biova, realizzata col pane invenduto. Queste tre realtà fanno parte dell’ecosistema di LifeGate Way.
L’Osservatorio ha inoltre analizzato circa 80 soluzioni innovative introdotte dalle startup agrifood, operative nel quinquennio 2017-2021, orientate a ridurre gli sprechi nella catena del freddo. Le soluzioni mirano a ottimizzare la produzione in risposta all’andamento della domanda e a diminuire le scorte in magazzino tramite un migliore allineamento di domanda e offerta (11 per cento del campione), a migliorare la conservazione dei prodotti attraverso l’estensione della data di scadenza (10 per cento) e il monitoraggio della temperatura e di altri parametri critici (9 per cento). Come evidenzia Marco Melacini, responsabile scientifico dell’Osservatorio, “la catena del freddo è di fondamentale importanza nel settore agroalimentare ma bisogna superare le criticità delle interfacce tra i diversi attori della filiera, in particolare durante il trasporto o nelle fasi di carico e scarico della merce”.
In definitiva, l’innovazione portata dalle startup può fornire importanti risposte di fronte alla crisi alimentare che il mondo sta attraversando. Secondo le ultime previsioni della Fao, il livello di insicurezza alimentare globale – che nel 2021 ha raggiunto 828 milioni di persone che soffrono la fame e altri 2,3 miliardi di persone in stato di moderata o severa insicurezza alimentare – è destinato a peggiorare ulteriormente a causa degli effetti della pandemia, degli eventi climatici estremi e della guerra in Ucraina. In Italia, nel triennio 2019-21 il 6,3 per cento della popolazione ha avuto problemi di accesso al cibo. E negli ultimi mesi la situazione si è ulteriormente aggravata.
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