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Stati Uniti, la campagna vaccinale lascia indietro gli afroamericani
Negli Stati Uniti la maggior parte dei vaccini anti-Covid è stata somministrata alla popolazione bianca, a discapito di latini e afroamericani.
Dopo qualche intoppo iniziale, la campagna vaccinale procede ora in modo piuttosto spedito negli Stati Uniti. Ogni giorno medici e operatori sanitari eseguono infatti più di un milione e mezzo di iniezioni, un numero in linea con l’obiettivo del nuovo presidente Joe Biden di somministrare 100 milioni di dosi nei primi 100 giorni del suo mandato.
Allo stesso tempo, però, dati e sondaggi rivelano che le procedure vaccinali si muovono sulla falsariga delle diseguaglianze sociali insite nella società americana, privilegiando la popolazione bianca a scapito dei latini e, specialmente, degli afroamericani.
I dati: le minoranze dimenticate anche dalle procedure vaccinali
Uno studio della Kaiser family foundation (Kff) ha diviso i dati relativi alle vaccinazioni effettuate in base all’etnia dei pazienti, comparando poi i risultati con il numero di casi di Covid-19 riscontrati nei diversi gruppi, i decessi e la composizione demografica dei diversi stati. In molti casi, le vaccinazioni ricevute da persone afroamericane risultano nettamente inferiori, in termini percentuali, rispetto a quelle della popolazione bianca.
In Pennsylvania, ad esempio, i cittadini di colore rappresentano l’11 per cento del totale, ma hanno per ora avuto accesso soltanto al 3 per cento delle dosi. In confronto, i bianchi rappresentano l’80 per cento della popolazione, e hanno ricevuto il 92 per cento delle vaccinazioni. Situazione simile in Carolina del Nord: la comunità nera (21 per cento del totale) ha ricevuto il 12 per cento delle vaccinazioni, mentre i bianchi (che costituiscono il 68 per cento della popolazione) hanno ricevuto l’81 per cento delle iniezioni fino ad ora effettuate.
I dati, comunque, sono parziali: soltanto 23 stati americani riportano regolarmente numeri precisi riguardanti le etnie delle persone vaccinate, e ognuno adotta criteri differenti per quanto riguarda il conteggio delle dosi o le divisioni tra i diversi gruppi etnici. Su scala nazionale, un report rilasciato il 5 febbraio dal Centers for disease control and prevention (Cdc) afferma che, dall’inizio della campagna di vaccinazione, gli afroamericani hanno ricevuto solo il 5,4 per cento delle dosi, contro l’11,5 per cento degli ispanici e il 39,6 per cento dei bianchi. Anche qui, però, i dati non sono completi: informazioni riguardanti le divisioni etniche sono disponibili solo per il 52 per cento dei vaccinati.
Lavoratori essenziali e maggiori contagi tra gli afroamericani
Nel 2018, più della metà della comunità nera (51 per cento) svolgeva lavori considerati essenziali o che, comunque, non possono essere svolti da remoto, contro il 41 per cento dei bianchi. Con l’arrivo della pandemia di Covid-19 la possibilità di lavorare da casa è diventata un privilegio che ha amplificato le differenze sociali. Oggi infatti gli essential workers svolgono compiti tanto importanti quanto pericolosi, e sono esposti in modo nettamente maggiore alla possibilità di contrarre il virus. Anche – ma non solo – per questo motivo, le persone afroamericane vengono contagiate 1,4 volte in più rispetto ai bianchi, e il numero di decessi legati al nuovo coronavirus è quasi tre volte superiore.
Mancanza di fiducia: un problema sistemico
La comunità afroamericana, d’altra parte, è anche il gruppo che ha mostrato più reticenza nei confronti dei vaccini. A settembre 2020, quasi la metà degli afroamericani ha affermato di non avere intenzione di farsi vaccinare contro la Covid-19. Il dato è poi sceso al 35 per cento a dicembre, ma rimane comunque superiore rispetto alla media nazionale (27 per cento).
Le principali cause di preoccupazione sono i possibili effetti collaterali e il fatto che i vaccini siano stati brevettati troppo in fretta. Secondo il 54 per cento delle persone di colore, poi, la politica ha giocato un ruolo eccessivo in tutti i processi legati al loro sviluppo.
La diffidenza della comunità afroamericana nei confronti dei vaccini contro il nuovo coronavirus è solo uno dei sintomi di un problema ben più ampio, che affonda le proprie radici in secoli di soprusi. Oggi, infatti, per molti cittadini di colore è ancora difficile trovare un medico che condivida le loro stesse esperienze culturali e sociali, e tanti – specialmente le donne con figli – affermano di non sentirsi ascoltati o rispettati dal sistema ospedaliero a causa del colore della propria pelle.
I precedenti storici
Diversi episodi hanno contribuito a far calare i livelli di fiducia della popolazione di colore nei confronti della sanità americana. Nel 1932, ad esempio, i servizi di salute pubblica americani e il Tuskegee institute hanno condotto uno studio su 600 uomini di colore dell’Alabama, di cui 399 affetti da sifilide. I malati però non erano a conoscenza della loro condizione: i medici avevano detto loro di essere stati scelti a causa del loro “cattivo sangue” (bad blood), un termine generico usato per diverse problematiche, e non hanno mai ricevuto i trattamenti realmente necessari. Lo studio è durato per quarant’anni, fino a quando l’agenzia di stampa Associated press non ha denunciato i fatti. Nel 1972, poi, un altro studio ha rivelato come negli anni precedenti almeno duemila donne afroamericane fossero state sottoposte a procedure di sterilizzazione senza il loro libero consenso.
La scarsa fiducia nel sistema sanitario, unita al razzismo sistemico e alla generale mancanza di rappresentazione ai vertici delle istituzioni, in tutti gli ambiti, sono fattori che contribuiscono allo sviluppo di un senso di diffidenza nei confronti dei vaccini contro la Covid-19 tra la comunità afroamericana. Proprio per questo oggi diverse associazioni si stanno impegnando per rafforzare i livelli di fiducia e migliorare le possibilità di accesso ai nuovi vaccini, in modo che nessuno venga dimenticato nella lotta contro la pandemia.
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