La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
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Gli Stati Uniti potrebbero finalmente vietare la pratica dello “shark finning” per salvaguardare gli squali: manca soltanto l’ok della Camera.
Gli Stati Uniti fanno un passo importante verso il divieto alla commercializzazione delle pinne di squalo, ritenute le parti più redditizie dell’animale, ma ottenute spesso tramite pratiche che non rispettano l’ecosistema marino.
L’8 giugno il Senato americano ha infatti approvato con 68 voti a favore e 32 contrari lo U.s. innovation and competition act, un enorme pacchetto da 250 miliardi di dollari pensato per aumentare i livelli di competitività degli Usa soprattutto nei confronti della Cina. Questo, però, contiene anche numerose iniziative che sono state giudicate come poco attinenti all’obiettivo primario, tra cui quella per la salvaguardia degli squali e lo stop allo spinnamento.
Il provvedimento è chiamato Shark fin sales elimination act (Sfsea) e punta a vietare la commercializzazione delle pinne di squalo e di prodotti che le contengono. Le pinne rappresentano la parte più pregiata degli animali, che proprio per questo spesso vengono pescati, spinnati e poi ributtati in mare. Privi delle pinne, gli squali non sono in grado di muoversi correttamente e rimangono arenati sul fondo degli oceani.
La proposta è stata avanzata dal senatore repubblicano Michael McCaul, del Texas, e da Gregorio Kilili Camacho Sablan, indipendente delle isole Marianne, che ha dichiarato: “Il forte supporto bipartisan ricevuto dalla norma dimostra chiaramente che dobbiamo porre maggiore attenzione alla protezione dei nostri oceani e alle forme di vita che li abitano”.
“Le orribili pratiche di spinnamento stanno eliminando gli squali e ponendo molte specie sull’orlo dell’estinzione”, ha commentato McCaul, secondo cui la nuova legislazione “promuoverà la conservazione e le pratiche di pesca sostenibili, che fanno bene all’ambiente e all’economia”.
Altri si sono rivelati meno entusiasti. Todd Young, repubblicano dell’Indiana, ha criticato la presenza nello U.s. innovation and competition act di misure che hanno poco a che fare con l’aumento della competitività americana sul mercato internazionale: “Questo pacchetto legislativo non dovrebbe riguardare le pinne di squalo, anche se questo è un tema importante. Dovrebbe aiutare gli Stati Uniti a fare meglio della Cina”, ha dichiarato.
In passato, rappresentanti del settore ittico si erano già dichiarati contrari all’approvazione di una simile legge. Nel 2018 Chris Oliver, allora assistente amministratore del National marine fisheries service (Nmfs), aveva sostenuto che le norme in vigore fossero già sufficienti per “prevenire la pesca eccessiva, massimizzando allo stesso tempo le opportunità di pesca commerciale e il valore economico della pesca degli squali”.
La proposta di legge – che ha ricevuto supporto anche da parte del presidente Joe Biden – dovrà ora essere approvata dalla Camera.
Il problema dello spinnamento degli squali non è una prerogativa degli Stati Uniti. Secondo Greenpeace ogni anno vengono uccisi in questo modo 100 milioni di squali, e il mercato complessivo di prodotti derivati vale annualmente quasi un miliardo di dollari. Negli ultimi cinquant’anni, la popolazione globale di squali è diminuita del 70 per cento.
Nell’Unione europea la pratica è stata dichiarata illegale nel 2003, ma la legge prevedeva diverse eccezioni che di fatto rendevano possibile la sua continuazione. Solo nel 2013 sono state eliminate le varie esenzioni, inserendo una norma secondo cui gli squali devono essere trasportati e sbarcati dai pescherecci senza che le pinne siano state eliminate.
Lo spinnamento degli squali è illegale in diversi paesi, fra cui Australia (che però continua a favorire la commercializzazione delle pinne), Canada, Taiwan e Nuova Zelanda. È invece permesso in Cina e Malesia.
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