Inizia la Cop15 sulla biodiversità: cerchiamo di capire cos’è e perché è considerata l’ultima possibilità dei governi per proteggere la natura.
Come sta la biodiversità in Italia, la voce di esperti e associazioni
La biodiversità sta subendo colpi devastanti per via del clima e della gestione degli habitat. Capiamo come sta in Italia con il commento degli esperti.
- La biodiversità nel mondo è in forte calo
- L’Italia però sta vivendo situazioni altalenanti secondo la cooperativa Eliante
- Il commento anche dei rappresentanti di Oipa e Fiba
Lo ha affermato, e con forza, recentemente il Wwf. La biodiversità e gli animali selvatici sono ormai pericolosamente vicino al collasso. E ciò avviene nel mondo, in Europa e, a maggior ragione, nel nostro paese. A dare però uno sprazzo di speranza è il fatto che, per quel che riguarda l’Italia, la risposta non può essere univoca, perché alcuni comparti e gruppi di animali sono in condizione estremamente critica e altri, per fortuna, sono in ripresa. In sintesi le popolazioni di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci sono calate nel nostro pianeta, in media, del 69 per cento dal 1970 , mentre in Sudamerica e nei Caraibi l’impoverimento della fauna selvatica ha raggiunto livelli astronomici: il 94 per cento. “Si tratta di una doppia emergenza: i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità minacciano il benessere delle generazioni attuali e future”, ha dichiarato a questo proposito il direttore generale del Wwf, Marco Lambertini.
Biodiversità, la parola all’esperto
Abbiamo rivolto una serie di domande al biologo Mauro Belardi, esperto di sostenibilità ambientale e presidente della cooperativa Eliante per meglio delineare la situazione della biodiversità nel nostro paese.
Come sta la biodiversità in Italia?
La risposta a questa domanda non può essere univoca, perché alcuni comparti e gruppi animali sono in condizione estremamente critica, altri sono in ripresa. A essere al collasso sono per esempio tutti gli organismi acquatici, poiché gli ecosistemi idrici e le aree umide sono in condizioni ecologiche disastrose. La biodiversità degli invertebrati acquatici è l’un per cento di quella che si poteva trovare 30 anni fa. I pesci sono messi malissimo, dato che il 90 per cento delle specie sono ormai alloctone e non native, spesso invasive e dannose. I nostri fiumi sono infatti ormai corsi d’acqua quasi del tutto artificiali, interrotti da dighe e soggetti all’ingresso continuo di organismi alieni. Persino i torrenti montani sono ormai prosciugati dai prelievi per l’energia. Le nostre paludi soffrono la presenza di piante alloctone e di un regime idrico non naturale. La biomassa e la diversità degli insetti e degli altri invertebrati è crollata a causa dell’abuso di pesticidi. Solo vent’anni fa era normale dover pulire il parabrezza dell’auto dagli insetti dopo un lungo viaggio, ora non accade mai.
Ci sono dei segnali di ripresa tra alcune specie selvatiche?
Certo, ma anche in questi casi occorre fare dei distinguo. Hanno delle dinamiche di ripresa molte specie di grandi mammiferi come gli ungulati, per esempio, e i grandi predatori, di cui gli ungulati sono le principali prede. Questi animali hanno beneficiato di un parziale abbandono delle montagna, della ripresa della superficie forestale e di politiche di conservazioni più rigorose. Ma non è tutto oro quel che luccica. Se il cervo è oggi in una situazione demografica molto migliore di alcuni decenni fa, la sottospecie autoctona più preziosa d’Italia è presente solo nel bosco della Mesola e conta pochi individui. Pure gli esemplari sardi non sono in salute. È vero che l’Italia è piena di cinghiali, ma si tratta di popolazioni originate da introduzioni venatorie, derivate da sottospecie dell’Europa orientale, a volte incrociate con maiali domestici: la sottospecie originaria italiana è sostanzialmente scomparsa.
E i predatori? Lupo in testa?
In questo caso anche lo stato favorevole dei predatori è parziale. Il lupo ha senz’altro raggiunto ormai popolazioni stabili, ma il conflitto sociale che crea è elevato e una diminuzione del suo stato di tutela è probabile. L’orso non si può dire fuori pericolo. La lince è ancora molto rara in Italia. Mentre quello che si sta espandendo senza ostacoli sembra essere lo sciacallo dorato. E si sta assistendo anche a un ritorno lento di lontra e castoro. Gli uccelli italiani sono un gruppo che mostra bene questa situazione ambigua. Se da un lato alcune specie iconiche per gli ambientalisti del passato, come l’aquila reale e gipeto, sembrano fuori pericolo, la situazione dei piccoli passeriformi è drammatica, soprattutto di quelli insettivori, a causa dell’agricoltura intensiva e dell’uso della chimica. Così come quella di specie che soffrono i cambiamenti climatici, come per esempio la pernice bianca. Molto preoccupante è in generale lo stato degli uccelli migratori, per i quali, alle condizioni sempre peggiori dei luoghi di svernamento africani, si aggiungono quelle sempre più critiche da noi, dove scompaiono le aree di sosta e in generale i loro habitat riproduttivi.
Quando il rimedio è peggiore del male
Nel frattempo, è al via la sperimentazione di metodi contraccettivi per contenere il numero dei soggetti della fauna selvatica. Lo rende noto l’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) all’indomani della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del ministero della Salute che autorizza la sperimentazione nel nostro paese. Per i problemi di “sovrannumero” di cinghiali, nutrie, scoiattoli e altri esemplari di specie selvatiche in Italia si potrà sperimentare il vaccino immuno-contraccettivo GonaCon, messo a punto negli Stati Uniti dove è registrato come contraccettivo per cavalli (Equus caballus), asini selvatici (Equus africanus) e cervi dalla coda bianca (Odocoileus virginianus).
“Si tratta di un farmaco che non risulta ancora autorizzato né in Italia, né in alcun altro stato membro dell’Unione europea e attendiamo di conoscere quali saranno i progetti approvati e presentati dall’Istituto zooprofilattico sperimentale del Lazio e della Toscana e dall’Istituto zooprofilattico del Mezzogiorno. Auspichiamo che si tratti di una sperimentazione che tenga conto del benessere animale e che giunga a essere utile per evitare di risolvere il problema del sovrannumero con la caccia o l’eutanasia, come sinora fatto”, commenta a questo proposito il presidente dell’Oipa, Massimo Comparotto. Insomma, per mettere una pezza si potrebbe allargare una voragine.
Una buona notizia dalla Lombardia
Non ci sono soltanto notizie nefaste e brutte prospettive in merito alla condizione della fauna selvatica nel nostro paese. Abbiamo fatto un salto in Lombardia per incontrare Gianluca Comazzi, presidente Fiba (Federazione italiana benessere animale) e consigliere al comune di Milano: “La fauna selvatica in Lombardia è sicuramente molto ricca e diversificata. Recentemente l‘Ersaf – l’Ente regionale per i servizi all’agricoltura e alle foreste – ha confermato il ritorno della lince sul territorio lombardo, nei boschi dell’Alto Garda e vicino al confine con il Trentino. A mio parere, in generale, la tendenza è positiva: la presenza di grandi animali è un fenomeno in crescita, e sul nostro territorio è tornato a farsi vedere anche il lupo. È un grande patrimonio che non possiamo assolutamente permetterci di perdere. La regione ha l’obbligo di tutelarlo anche attraverso i parchi naturali. Ne abbiamo 24 e tutti presentano un grande patrimonio di biodiversità che va difeso e compreso. Sono luoghi bellissimi che costituiscono il polmone verde del nostro splendido territorio”.
Una nota di speranza, quindi, che controbilancia le notizie non certo positive in merito alla biodiversità. Il ritorno dei grandi predatori va preso, infatti, con soddisfazione e non come qualcosa da arginare e demonizzare. Un segnale chiaro verso chi ha il potere di prendere decisioni a livello politico.
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