Gran parte dei media e della politica hanno parlato di “pogrom” e “caccia all’ebreo” riguardo alle violenze di Amsterdam. Le cose stanno diversamente.
L’Etiopia dichiara lo stato d’emergenza, il governo cerca di sedare la ribellione
Il primo ministro dell’Etiopia Hailemariam Desalegn ha annunciato l’instaurazione dello stato d’emergenza, dopo mesi di violente proteste.
Il governo dell’Etiopia ha dichiarato lo stato di emergenza per un periodo di sei mesi. La decisione è stata annunciata dal primo ministro Hailemariam Desalegn nella giornata di domenica 9 ottobre, e rappresenta un tentativo da parte del governo della nazione africana di arginare l’ampia ondata di proteste che da mesi sta attraversando il paese.
La rivolta nata da contrapposizioni etniche
A ribellarsi sono in particolare gli appartenenti all’etnia oromo, che in Etiopia rappresentano quasi un terzo della popolazione nazionale. Le manifestazioni si sono concentrate soprattutto nella periferia della capitale Addis Abeba, e in alcuni casi sono sfociate in atti di rara violenza: alcune imprese straniere sono state date alle fiamme, una serie di immobili pubblici è stata saccheggiata e in alcuni quartieri sono state erette barricate.
La ribellione è esplosa alla fine del 2015: la popolazione degli oromo si sente infatti marginalizzata dalla minoranza dei tigrini, attualmente al governo. Elemento scatenante della rivolta è stato in particolare il progetto di estensione dell’area urbana della capitale, che secondo gli oromo minaccia direttamente le loro terre ancestrali.
La repressione brutale del governo dell’Etiopia
Di qui la rivolta e la conseguente decisione di Desalegn di imporre lo stato di emergenza: una misura che non veniva assunta in Etiopia da 25 anni. L’esecutivo ha già bloccato gli accessi ad internet (e in particolare ai social network) al fine di impedire l’organizzazione di nuove proteste. Ma la repressione è stata in molti casi ben più brutale. Le forze dell’ordine sono arrivate a sparare sulla folla, esacerbando gli animi e rendendo la situazione ancor più esplosiva. I morti tra i ribelli sono ormai centinaia: solo all’inizio di ottobre, 52 persone (secondo le informazioni ufficiali divulgate dal governo) hanno perso la vita nei violenti scontri con l’esercito nel corso di un festival oromo.
Secondo Beyene Petros, rappresentante dell’opposizione etiope Medrek, lo stato d’emergenza non è altro che “un mezzo per il governo utile per consolidare la propria autorità e soffocare le manifestazioni pubbliche. Non viene concesso alcuno spazio al dialogo, e questo non sarà accettato dalla popolazione. La rabbia non farà che aumentare, peggiorando ulteriormente le cose”.
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