Stefania Noce, attivista femminista, veniva uccisa dal suo fidanzato il 27 dicembre 2011. La sua storia e le sue battaglie sono ancora di grande attualità.
Il 27 dicembre 2011 l’Italia faceva i conti con una nuova, ennesima uccisione di una donna da parte dell’ex fidanzato. A perdere la vita fu Stefania Noce, una ragazza catanese di 24 anni, attivista femminista. La sua storia poteva finire nel cassetto di quella lista infinita di donne uccise in quanto tali e di cui si parla sempre troppo poco, invece nove anni dopo è ancora un simbolo. Per l’identità della vittima, molto lontana dagli stereotipi con cui si è soliti raccontare questo tipo di omicidi, ma anche per il modo in cui venne definita la sua morte durante il processo: femminicidio, la prima volta che l’Italia giudiziaria si interfacciò con questo termine. Fu l’inizio di una nuova stagione, quella che stiamo vivendo tuttora: quando la cronaca rende conto continuamente di nuovi femminicidi, ma la società si trova nel mezzo di un processo di maggiore presa di consapevolezza sul tema. A nove anni dalla morte di Stefania Noce qualcosa è cambiato in positivo in Italia nella lotta alla violenza contro le donne, ma c’è ancora tanto da fare.
Chi era Stefania Noce
Stefania Noce studiava Lettere e filosofia all’Università di Catania ed era un’attivista. Militava nel Movimento studentesco catanese, organizzava collette per le persone in difficoltà, si batteva per i diritti delle persone migranti ed era in prima linea nella battaglia contro le discriminazioni di genere. Stefania Noce era una femminista e portava avanti le sue lotte tanto nelle piazze e nelle aule universitarie, quanto sulla stampa, grazie alle sue collaborazioni con alcuni media locali indipendenti. “Nessuna donna può essere proprietà oppure ostaggio di un uomo, di uno stato, né, tanto meno, di una religione”, scriveva in un articolo dal titolo “Ha ancora senso essere femministe?”.
La mattina del 27 dicembre 2011 Stefania Noce ha perso la vita proprio per mano di un uomo, il suo ex fidanzato. Loris Gagliano, ai tempi uno studente di psicologia, aveva passato diversi anni al fianco della ragazza, fino a che non si erano lasciati. Terminata la relazione, Gagliano aveva iniziato a compiere abusi nei suoi confronti: la pedinava, la spaventava, era arrivato a manomettere i freni della sua automobile. Poi quel giorno di fine dicembre il ragazzo si è presentato nella casa di famiglia di lei, uccidendola, facendo lo stesso con suo nonno, intervenuto a difenderla, e ferendo gravemente la nonna.
L’assassino è stato condannato all’ergastolo per quegli omicidi e nella sentenza di primo grado, grazie al lavoro della consulente della famiglia Noce, Pina Ferraro, per la prima volta in Italia si lesse la parola femminicidio. Il termine scomparve poi nella sentenza di secondo grado, con il procuratore che lo definì “un brutto neologismo dal sapore sociologico”.
Perché è ancora un simbolo
Stefania Noce non è una vittima della violenza maschile diversa dalle altre. Però è una vittima più rumorosa, perché ha costretto il paese a un esame di coscienza sul modo in cui fino a quel momento era stata raccontata la violenza contro le donne. Il femminicidio, inteso come legge, non esisteva in Italia nel momento in cui Loris Gagliano riempiva di coltellate la sua ex fidanzata. Si trattava piuttosto di un omicidio come un altro, tra quelli appartenenti al “raptus di follia” o alla “gelosia cieca”, quanto meno a leggere il modo in cui i giornali mainstream avevano descritto quanto successo quel 27 dicembre, quasi fosse un’attenuante.
La legge sul femminicidio arrivò dopo la sentenza di primo grado con cui la morte di Stefania Noce venne associata a questo neologismo. Un fatto storico, la prima reale affermazione in un’aula di tribunale che esisteva un distinguo tra il procurare la morte di una persona e il procurare la morte di una donna in quanto donna, nell’esercizio di una forma di subordinazione e controllo maschile su di essa. Stefania Noce era una vittima di femminicidio come le altre migliaia che erano venute prima di lei, ma per la prima volta veniva riconosciuta come tale, aprendo uno squarcio nel muro patriarcale dietro cui da decenni si nascondeva la società.
Ma c’è un altro motivo per cui Stefania Noce è diventata un simbolo, cioè il paradosso che intercorre tra la sue battaglie e la sua morte. Una ragazza che si batteva per i diritti delle donne, che lottava contro la subordinazione femminile al dominio maschile, è caduta vittima di tutto questo, uccisa da un ex fidanzato che non era in grado di accettare di aver perso il controllo su di lei. Un epilogo che ha demolito in un colpo solo tutta la narrazione che fino a quel momento era stata fatta sui femminicidi, quando ancora essi legalmente non esistevano. Le vittime raccontate come figure deboli, incapaci di difendersi e denunciare, quasi conniventi con uno schema di violenza che prima o poi è logico sarebbe finito male. Ecco, la storia di Stefania Noce dimostra quanto tutto questo fosse sbagliato. Nemmeno un’attivista del settore come lei, una ragazza colta e consapevole dei problemi derivanti dall’essere immersi fino al collo in un contesto maschilista, ha potuto salvarsi, segno che il problema non sono le vittime, ma il contesto sociale in cui esse diventano tali.
La responsabilità di portare avanti le sue battaglie
Sono passati nove anni dalla morte di Stefania Noce e molti passi avanti sono stati fatti in Italia sul tema della violenza contro le donne, mentre su altri le cose continuano a non andare. Intanto i numeri: “Le fonti attualmente esistenti sono fonti plurime, frammentarie, carenti e perfino non definite univocamente. Le fonti di tipo amministrativo, in ambito sanitario, giuridico, sociale, non sono ancora adeguate”, ha sottolineato di recente Linda Laura Sabbadini, direttrice dell’Istat.
Dai pochi dati disponibili si sa che tra il 2006 e il 2014 la violenza contro le donne è diminuita in generale, ma non nella sua componente più grave, come stupri e femminicidi. Nel 2020, secondo i dati parziali di novembre di Eures, le donne uccise in quanto tali sono state 91, di cui 81 nel contesto familiare, un valore record in termini percentuali se confrontato con quello degli scorsi anni. Ma in assenza di una definizione univoca di femminicidio, è possibile che molti omicidi di questo tipo siano stati archiviati come ordinari. Le donne continuano a essere vittime di una violenza esercitata in nome di una sovrastruttura di matrice patriarcale in Italia e questo nonostante il paese abbia aderito a convenzioni internazionali e introdotto nuove disposizioni sul tema nell’ultimo decennio.
La Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, ratificata dall’Italia un anno dopo l’omicidio di Stefania Noce, è senza dubbio il primo grande passo in questa direzione, perchè ha comportato un lavoro legislativo nazionale per adeguarsi a tutte le raccomandazioni lì contenute. Nell’autunno del 2013, pochi mesi dopo che la parola femminicidio faceva la prima comparsa in un tribunale italiano, veniva approvata la prima legge italiana sul tema. Essa ha previsto nuove aggravanti nei casi di omicidio di una donna, aumentando le misure coercitive nei confronti degli aggressori e offrendo maggior sostegno alle vittime di violenza. Nel 2015 è stata la volta del Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, adottato con il fine di realizzare un sistema integrato di raccolta ed elaborazione di dati sul tema. Poi nel 2019 è arrivata la legge sul codice rosso, che ha appesantito le pene per violenza sessuale e stalking e ha introdotto nuove tipologie di reato, come il revenge porn.
Il quadro normativo nazionale, spinto dal consesso internazionale, ha insomma subito profonde trasformazioni in senso positivo rispetto a quel terribile 27 dicembre di nove anni fa, quando Loris Gagliano metteva fine alla vita della sua ex fidanzata. Ma i numeri crudi sulle violenze di genere e i femminicidi del 2020, così come il modo in cui essi continuano a essere raccontati, ci dicono che il lavoro da fare è ancora tanto. Non è un caso che proprio mentre ci avviciniamo al decimo anniversario della Convenzione di Istanbul, il Consiglio d’Europa ha analizzato la sua applicazione in Italia e ha concluso che c’è urgenza di adottare misure di protezione più efficaci. La battaglia che portava avanti Stefania Noce per i diritti delle donne e contro la violenza di genere, sebbene abbia riportato dei successi, non è affatto conclusa.
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