A Milano un murale intitolato “Respiro” ha l’obiettivo di dare un tocco di verde in più alla città e non solo.
Terraforma, per Stefano Mancuso non possiamo che imparare dalle piante per sopravvivere
Il neurobiologo Stefano Mancuso protagonista del festival Terraforma con un talk dedicato alle piante. E alla musica. Una lezione per tutti.
Un’audience internazionale, sensibile, educata e rispettosa ha ascoltato con attenzione Stefano Mancuso, scienziato ricercatore, neurobiologo esperto del mondo vegetale. L’ha poi riempito di domande al termine del suo talk, l’ha accerchiato per saperne di più. In diversi avevano letto i suoi libri. Non quello che ti aspetti a un festival di musica elettronica. Ma Terraforma è diverso, ce l’ha nel dna: è un festival musicale sperimentale e sostenibile sin da quando è nato, sei anni fa. Per questo l’intervento di Mancuso, all’ombra del kiosque à musique, una struttura in realtà aperta, di legno e pannelli solari, completamente immersa nel verde di Villa Arconati, ai margini del parco delle Groane di Milano, aveva qualcosa di futuristico, di un altro mondo. Un po’ la stessa atmosfera che si respira con un’altra ospite eccezionale di Terraforma, Laurie Anderson, che oltre alla musica porta il suo sguardo sui problemi più urgenti del pianeta.
Viene da chiedersi se Mancuso, visto il rapporto speciale che ha con le piante, in un posto come questo senta una connessione speciale con quello che lo circonda. “È una meraviglia, ma non vale solo per me. Immediatamente quando entriamo in un bosco il nostro livello di stress si riduce, lo dicono gli studi. È perché ci siamo evoluti e abbiamo vissuto in questo ambiente per 20 mila generazioni”.
Modello vegetale VS modello animale
Mancuso inizia il suo talk, realizzato col sostegno di Etica Sgr, raccontando aneddoti sulle piante che chiunque può comprendere. Pone domande semplici alla platea, comincia stimolandone la curiosità, poi dà qualche numero (sconvolgente) sulla presenza delle piante sulla Terra, rispetto al mondo animale: le piante esistono da 500 milioni di anni contro i 300mila dell’uomo, rappresentano l’85 per cento del peso di tutti gli esseri viventi, gli animali solo lo 0,3 per cento. Anche senza occhi o orecchie, percepiscono il mondo che le circonda grazie a milioni di ricettori. Ribalta i riferimenti abituali, induce la platea a guardare il regno vegetale come non lo aveva mai visto. È come se Mancuso portasse in primo piano quello che è sempre stato sullo sfondo, che è sempre passato inosservato, cambiando completamente la prospettiva di chi lo ascolta.
Inermi? Passive? Succubi di quello che accade intorno a loro? Tutt’altro. Proprio il fatto di non potersi di muovere le rende capaci di risolvere davvero i problemi. Noi, al contrario, uomini e animali, non li risolviamo: li evitiamo, scappiamo, ci spostiamo. Le piante invece si trovano obbligate per sopravvivere, a trovare soluzioni reali.
Addirittura Mancuso afferma che sono le piante a usare noi, anche se noi crediamo il contrario – ma d’altra parte noi pensiamo di essere migliori. Inducono i comportamenti degli altri esseri viventi, per lo più con la chimica, con gli odori, con sostanze che allontanano o attirano gli animali, dagli impollinatori come le api, a specie che diventano loro amiche perché nemiche dei loro nemici. Le piante sfruttano la capacità altrui di spostarsi, per i propri fini.
Capita anche che quando risolvono problemi, le piante li risolvano per tutti, come nel caso della fitoriparazione. Spesso sono loro a ripulire i terreni contaminati dalle sostanze nocive, dai metalli pesanti o dalla diossina. Cosa c’è dietro questo piccolo miracolo? “La capacità delle piante di trovare soluzioni sempre e di adattarsi a vivere ovunque”, risponde Mancuso, che sta realizzando progetti per bonificare terreni contaminati dalle basi militari. “E le basi inquinano parecchio”, sottolinea.
La storia dell’evoluzione della nostra società
Le riflessioni di Mancuso portano lontano, a sfere che paiono slegate da quelle della biologia. Si arriva a parlare di società, e la platea si accende.
L’essere umano si crede il migliore su questa Terra, ma migliore in base a cosa, a quale obiettivo? Come specie dovremmo mirare all’autoconservazione ma a questo riguardo non stiamo facendo un gran lavoro, abbiamo moltissimo da imparare dalle piante che sono su questo pianeta da molto più tempo di noi.
Viene da chiedersi se il nostro cervello è un vantaggio o uno svantaggio evolutivo: “Io credo che rimanga un vantaggio ma dobbiamo imparare a usarlo”, dice Mancuso. “Ora lo stiamo usando come un bambino usa un martello – e nei tempi dell’evoluzione, noi siamo dei bambini: l’uomo è sulla Terra da 300mila anni, mentre una specie in media sopravvive 5 milioni di anni. Distruggiamo tutto, anche la nostra casa. Se riusciremo a resistere alla nostra stessa estinzione, allora capiremo che quel martello è una cosa fantastica e possiamo usarlo per costruire altre case”.
“In circa 10mila anni, se consideriamo dall’avvento dell’agricoltura, abbiamo prodotto disastri ambientali enormi, portato all’estinzione una quantità esorbitante di specie di animali e piante a un ritmo molto più rapido di quello delle altre estinzioni di massa”, riflette Mancuso. “E non possiamo conoscere le conseguenze di questi cambiamenti perchè sono molto complessi”.
“Nessuna tecnologia ci può salvare”, sostiene Mancuso. “La tecnologia risolve piccole cose, non le cose importanti della vita, non può risolvere la nostra corsa al consumo, il rapporto sbagliato che abbiamo con la terra e con le risorse, o quello, qualsiasi cosa sia, che ci fa anteporre il profitto alla sopravvivenza della specie. Solo Internet ha delle potenzialità, grazie alla sua struttura piatta, per come sa catalizzare innovazioni e soluzioni con provenienze diverse. Così come sa essere devastante, e ne abbiamo visto gli effetti, può potenzialmente salvarci perché ha la potenza di uno sciame”. D’altra parte dovremmo prendere spunto dalle piante, dal loro modo di vivere, appunto, in rete, facendo affidamento alla comunità, senza strutture piramidali, dice Mancuso. Anziché osservarle e imparare da loro, le lasciamo scomparire.
Il rapporto tra l’essere umano e le piante
Un’altra rivelazione in numeri che dà da pensare: il 90 per cento dei principi attivi delle nostre medicine derivano direttamente o sono copiati dalle piante. Noi conosciamo meno della metà delle specie vegetali esistenti, ma allo stesso tempo si stima che perdiamo qualcosa come 100 specie al giorno: a questo ritmo quante opportunità ci stiamo perdendo, di scoprire cure per tutte le malattie?
Quel che è certo invece è che più della metà della popolazione mondiale vive ora in contesti urbani e secondo Mancuso il modo più semplice ed economico per creare un ambiente vivibile è proprio ricoprire le città di piante: abbassano la temperatura, riducono l’anidride carbonica (ma è importante che questo avvenga a livello locale, a compensazione diretta di impatti negativi generati ad esempio dal traffico o dal riscaldamento domestico), aiutano persino l’ambito sociale.
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Le piante possono fare tanto per noi, e noi? Dobbiamo piantarle, curarle, studiarle, rispettarle e imparare da loro.
C’è chi dice che la musica fa bene alle piante. “Non è vero. Le piante non hanno idea di cosa stanno ascoltando, se musica classica o hard rock”, confuta Mancuso. “Ma è vero che percepiscono le frequenze che le circondano. Una pianta tenderà a crescere nella direzione di una fonte sonora a 200 hertz perché quella è la frequenza dominante nel suono dell’acqua che scorre”.
Allora la speranza è che le frequenze di Terraforma aiutino il magnifico parco di Villa Arconati a prosperare non solo per la cura che ormai da anni gli organizzatori riversano su questo verde, ma anche grazie alle note della loro musica che tre giorni all’anno inonda questo luogo incantato.
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