Al mare ne trovava talmente tanta da decidere di farne un museo, degli orrori. L’idea di una guida naturalistica. Lo scopo? Riflettere sulle nostre colpe.
Stefano Vignaroli. Gli incendi negli impianti di gestione dei rifiuti fotografano la crisi del sistema
I traffici di rifiuti sono il quarto business internazionale dopo droga, armi ed esseri umani. L’intervista al presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti.
È il presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati. Da due legislature Stefano Vignaroli si occupa del fenomeno degli incendi negli impianti di trattamento e stoccaggio dei rifiuti; una vera e propria emergenza che il deputato del Movimento 5 stelle invita ad analizzare non come un elenco di casi isolati, ma come lo specchio di una vera e propria crisi strutturale del sistema. Dovuta alla carenza impiantistica, al blocco cinese delle importazioni e a un mercato delle materie prime seconde che stenta ancora a decollare.
Circa 300 incendi dal 2014 ad oggi, oltre 80 l’anno, con una concentrazione del 50 per cento nel nord Italia: nel nostro Paese è in atto una guerra dei rifiuti?
Più che di una guerra, parlerei di una crisi strutturale del sistema di gestione dei rifiuti, di cui gli incendi rappresentano la manifestazione più evidente insieme alla crescente saturazione degli impianti di smaltimento dell’indifferenziato. Mentre da una parte aumentano i rifiuti da raccolta differenziata, dall’altra si sono ristretti gli sbocchi commerciali, con il risultato che gli stoccaggi negli impianti sono al limite e il malaffare si ingegna per trovare scorciatoie.
Si tratta di un lungo elenco di singoli episodi, o di un fenomeno articolato che come tale va trattato?
Quello degli incendi è un fenomeno complessivo, pur con varie sfaccettature e differenze, e come tale va trattato. Non a caso, la Commissione ha dedicato al tema una relazione già nella scorsa legislatura, e sta proseguendo il suo lavoro di inchiesta.
Di fronte a questi episodi, la risposta investigativa e giudiziaria è stata efficace?
Non sempre si è capito fin da subito che molti degli incendi negli impianti di trattamento e stoccaggio dei rifiuti rappresentavano un fenomeno complessivo. Di conseguenza la risposta investigativa e giudiziaria, già in sé non semplice, non è stata rapida e omogenea su tutto il territorio nazionale. Sul fronte giudiziario, come aveva evidenziato la relazione della Commissione sul periodo 2014-17, i risultati erano stati scarsamente significativi: circa la metà degli eventi aveva dato luogo a procedimenti penali a carico di ignoti, rimasti tali, nella quasi totalità, fino all’archiviazione. L’esercizio dell’azione penale aveva riguardato il 13 per cento dei casi, ma solo in cinque di essi si era proceduto per il delitto di incendio, doloso o colposo, mentre negli altri casi l’incendio era stato occasione per accertare altri reati ambientali, derivanti da irregolarità nella gestione degli impianti. Ultimamente ci sono stati dei risultati importanti: penso alle operazioni della Dda di Milano, che hanno portato agli arresti per gli incendi di Corteolona, nel pavese, e di via Chiasserini, nel capoluogo lombardo.
Come si sta orientando il lavoro della Commissione?
Come accennavo in precedenza, la Commissione nella scorsa legislatura ha elaborato una relazione sugli incendi, che tuttora rappresenta un punto fermo in uno scenario così complesso e articolato. Il lavoro di inchiesta prosegue, sia con analisi di atti giudiziari, sia attraverso audizioni.
Cosa sappiamo degli #incendi di via Chiasserini a #Milano e di Novate Milanesehttps://t.co/VrDL4ep6Bo
— LifeGate (@lifegate) 20 ottobre 2018
La mancata corretta chiusura del ciclo dei rifiuti è alla base della maggior parte dei roghi? Quanto ha pesato il blocco cinese all’importazione di rifiuti dall’estero, in particolare di plastica?
Su gran parte dei roghi sono in corso inchieste giudiziarie per appurarne le cause. In generale, a mio avviso il blocco cinese ha sicuramente avuto un ruolo significativo. Non è però l’unico fattore da tenere in considerazione. Il fenomeno dei roghi, infatti, aveva già assunto una certa rilevanza già prima della chiusura delle frontiere cinesi. A pesare in questi anni sono stati anche l’aumento della produzione dei rifiuti, sia urbani che speciali, e la crescita della raccolta differenziata senza di pari passo la creazione di impianti per il riciclo e di un mercato capace di valorizzare le materie prime seconde. Basti pensare al fatto che i Cam, i criteri ambientali minimi per gli appalti pubblici – che rappresentano un fiore all’occhiello dell’Italia a livello internazionale e potrebbero aprire il mercato degli acquisti pubblici a beni in materiali rigenerati – in realtà sono in gran parte inattuati. Questa carenza di sbocchi impiantistici e commerciali, unita a un aumento dei volumi da gestire, ha messo in crisi il sistema.
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Esiste quindi una correlazione tra i roghi e la carenza di impianti di trattamento.
Non ridurrei tutto a una generica mancanza di impianti, la situazione è più complessa. In primo luogo, bisogna vedere di che tipo di impianti stiamo parlando: quelli di recupero materia, per esempio, mancano. Un’assenza causata anche dal fatto che non c’è una filiera industriale adeguata, perché oggi gli incentivi sono tutti spostati sull’incenerimento. Quest’ultimo, però, oltre a collocarsi agli ultimi posti nella gerarchia europea dei rifiuti, dopo riduzione, riuso e riciclo, porta con sé importanti criticità ambientali e sociali. Richiamando sempre la gerarchia europea, non bisogna dimenticare che al primo posto dovrebbe esserci la prevenzione dei rifiuti, ma purtroppo la riduzione e la riprogettazione sono azioni virtuose che non fanno comodo a nessuno, perché di fatto fanno diminuire i fatturati di chi produce quei beni e di chi poi deve smaltirli. Sul fronte del riciclo, c’è anche lo spinoso tema dei provvedimenti così detti “end of waste” che hanno un lungo iter di approvazione. Sulle misure che determinano la fine della qualifica di rifiuto, occorre trovare il giusto equilibrio: devono agevolare il riciclo virtuoso senza però trasformarsi in una scappatoia per le imprese per evitare i costi di smaltimento. Tutte le imprese vorrebbero per i loro rifiuti un “end of waste”, anche in casi discutibili.
Secondo alcuni ha avuto un certo peso anche la legge sugli ecoreati, dal momento che i roghi sono diventati una facile soluzione rispetto a quello che un tempo veniva risolto attraverso lo smaltimento illecito. Qual è il suo pensiero?
La legge sugli ecoreati, che con orgoglio abbiamo approvato in Parlamento nella scorsa legislatura, è un importante strumento per il contrasto alla gestione illecita dei rifiuti. Escludo che abbia facilitato l’affermarsi di condotte illegali come i roghi dolosi.
Il fatto che il maggior numero di roghi si registri al nord è unicamente dovuto al fatto che ci sono più impianti, o in qualche modo fotografa una nuova “geografia” rispetto alle emergenze che in passato hanno colpito le regioni meridionali?
Secondo i risultati della relazione della Commissione pubblicata all’inizio del 2018, al nord si concentra quasi la metà degli incendi. Se nel passato i rifiuti industriali e indifferenziati andavano da nord a sud, dove venivano smaltiti illecitamente, adesso le filiere sono molto più articolate lungo il territorio nazionale. La maggiore presenza di impianti e di siti di stoccaggio ha senz’altro fatto sì che ci sia una prevalenza di flussi di rifiuti verso nord. Accanto ai trattamenti legali, però, nelle regioni settentrionali trova spazio anche la gestione illecita, come dimostrano varie inchieste giudiziarie e operazioni delle forze di polizia degli ultimi anni sullo stoccaggio di rifiuti in capannoni abbandonati, pronti per essere dati alle fiamme, o sul loro smaltimento illecito in alcuni inceneritori del nord Italia.
È possibile quantificare i profitti illeciti che si nascondono dietro i traffici illegali di rifiuti?
Intorno alla gestione dei rifiuti girano tanti soldi, che attirano sia imprese operanti in maniera irregolare, sia la criminalità organizzata. Basti pensare che, come ha detto durante un’audizione in Commissione il comandante della Guardia di Finanza Giuseppe Arbore, i traffici di rifiuti sono il quarto business internazionale dopo quelli di droga, armi ed esseri umani.
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