Aeham Ahmad è passato dalle strade piene di macerie ai teatri di mezzo mondo. L’intervista al pianista siriano che sente “il peso di essere sopravvissuto”.
Stereo MC’s: da “Connected” al “Paradise”.
Intervista a Stereo MC’s Avete fatto tre album in dieci anni (’92) e poi due in quattro anni. E’ cambiato qualcosa a livello compositivo negli ultimi 10 anni? Molto ha a che fare con la giusta vibrazione, la sensazione che ti porta a creare qualcosa. I primi tre album li abbiamo fatti in fretta. Poi
Intervista a Stereo MC’s
Avete fatto tre album in dieci anni (’92) e poi due in
quattro anni. E’ cambiato qualcosa a livello compositivo negli
ultimi 10 anni?
Molto ha a che fare con la giusta vibrazione, la sensazione
che ti porta a creare qualcosa. I primi tre album li abbiamo fatti
in fretta. Poi c’è stato “Connected”. E questo disco ha
cambiato tutto per gli StereoMC’s. Abbiamo avuto successo e di
colpo tutti volevano dirci come fare la nostra musica. Questo ha
soffocato la nostra creatività per un po’… Noi
lavoriamo al meglio quando abbiamo i nostri spazi. Liberi. Fare un
nuovo disco vuol dire essere entusiasti di avere tracce belle da
comporre, avere la sensazione che stai comunicando qualcosa di
valido.
Quali sono le tracce di “Paradise” che non temono il
confronto con “Connected”?
Lo abbiamo appena finito, non è facile vederlo in
prospettiva. E’ suonando dal vivo che ho la sensazione di quanto
è valido un brano. Le prime reazioni della gente confermano
quel che pensavo di “Paradise” e “Sun”, le mie preferite.
Avete vissuto in pieno la “Second summer of love”,
rave culture e la nascita dell’acid house. Com’è cambiata la
scena dei “Club” da quegli anni ad oggi?
Penso che sia diventata un po’ noiosa. Mi ricordo che andavamo
in un sacco di locali Hip Hop, poi c’erano dei locali tipo lo
“Shoom” dove Danny Rampling iniziava a mettere dischi acid…
tutto era molto caotico e indisciplinato. Ora ci sono diversi tipi
di club con diversi tipi di elettronica e le loro proprie culture
di nicchia, la scena è più formattata e orientata
verso il business.
La musica è solo una forma d’arte o deve avere
uno scopo? Pensiamo al Rock’n Roll negli anni ’60 o al Punk rock
alla fine dei ’70 e, perché no, alla scena Rave all’inizio
dei ’90…
Chi fa musica e poi si adagia nell’idea di essere solo un
artista sbaglia, e la musica ne risente. La musica può
lanciare messaggi, generare amore, o motivare un’intera
generazione. Esistono dei momenti storici dove la musica e la
politica coincidono. E’ merito del consenso popolare che, come
muove le correnti musicali, orienta qualunque altro tipo di
fermento, artistico, culturale o politico.
Nel vostro nuovo singolo c’è un brano che si
chiama “Warhead” (tradotto è ‘testa da guerra’ ma significa
‘testata’ balistica o missile NdR), perché questo
titolo?
Rob ha scritto i testi: penso che quello che volesse
comunicare con questo titolo è che c’è così
tanta aggressività nel mondo… Qui a Londra la gente
ha delle energie negative al momento e penso abbia a che fare con
le guerre in corso. Tutti diventano più aggressivi. Si cerca
di promuovere una società priva di violenze e controllare le
armi e intanto, mentre predichi pace e tolleranza, sulla Cnn si
vedono i carri americani e inglesi che ammazzano migliaia di
persone in Medio Oriente.
I primi singoli di “Paradise” si possono comprare su
I-Tunes e scaricare, prima che in qualunque altro formato. Pensi
che la rivoluzione dell’era digitale sia la fine della discografia
o l’inizio di una nuova epoca per la musica?
E’ una nuova era e basta. Un nuovo modo di far uscire i
dischi. La gente è stanca delle industrie discografiche; un
giorno vedi un disco sullo scaffale a £9.99 la settimana dopo
costa £16.99 non c’è senso! La gente si sente presa in
giro. Fosse per me le major chiuderebbero al volo. Io sono
pro-musica dal Web.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Possiamo imparare molto dalle fondazioni e dalle famiglie che investono i loro soldi per il futuro di tutti. Ne parliamo con Gamil de Chadarevian, fondatore di GIST Initiatives.
Dall’Accordo di Parigi all’estrema destra, fino al Medio Oriente. La strategia di Donald Trump svelata in una lunga intervista al New York Times.
Il concerto milanese per Gaza, un successo di pubblico e raccolta fondi, è stata la presa di posizione più forte contro il genocidio della scena musicale italiana.
I Massive Attack hanno chiuso l’edizione 2024 del Todays festival con uno show unico, dove la musica si è mescolata alla mobilitazione politico-sociale.
Dopo quasi quindici anni, il sogno dei fan si realizza: i fratelli Gallagher hanno fatto pace, gli Oasis tornano a suonare insieme.
Long Story Short è il nuovo Ep dell’artista italopalestinese Laila Al Habash. L’abbiamo incontrata per parlare di musica, attivismo e del genocidio nella Striscia di Gaza.
Hard art è il collettivo interdisciplinare fondato da Brian Eno per combattere i cambiamenti climatici e le crisi globali del nostro tempo.
Il progetto Sounds right consente agli artisti di accreditare la natura come co-autrice quando utilizzano i suoi suoni nelle loro composizioni.