Secondo il dossier di Legambiente, su oltre 4mila campioni di alimenti analizzati, il 44,1 per cento risulta contaminato da pesticidi.
Pesticidi. Un terzo dei cibi è contaminato, il vero problema è il multiresiduo
Sebbene sia fuorilegge solo l’1,3 per cento del totale, il 34 per cento degli alimenti analizzati ha il problema del multiresiduo: più pesticidi presenti in quantità ammesse ma la cui somma è potenzialmente dannosa.
Fragole, uva, lattuga, peperoni, uova, carne e perfino foglie di tè: quasi 10mila campioni di frutta, verdura e alimenti di origine animale sono stati messi sotto la lente del microscopio per verificare la presenza di residui chimici derivanti da sostanze utilizzate in agricoltura. Lo hanno fatto i laboratori pubblici italiani accreditati per il controllo ufficiale dei residui di prodotti fitosanitari negli alimenti su campioni di alimenti di provenienza italiana ed estera, in commercio come prodotti da agricoltura non biologica.
Legambiente ha elaborato i dati e li ha raccolti nel dossier Stop pesticidi, presentato a Roma, in collaborazione con Alce Nero, nei giorni scorsi. Il fatto che il 61 per cento dei campioni analizzati risulti regolare è certamente un dato positivo, ma non deve indurre ad abbassare la guardia su quanti e quali residui di prodotti fitosanitari si possono rintracciare negli alimenti e permanere nell’ambiente. Ciò che desta preoccupazione, infatti, non sono tanto i campioni fuorilegge, l’1,3 per cento del totale, ma il 34 per cento di campioni regolari che presentano uno o più residui di pesticidi, derivanti dall’impiego dei prodotti fitosanitari nelle coltivazioni.
Il problema del multiresiduo
Il problema è rappresentato dal cosiddetto multiresiduo, che le norme europee non considerano fuorilegge a patto che ogni singolo residuo non superi il limite massimo consentito, sebbene anche l’interazione tra diversi principi attivi possa provocare effetti dannosi sull’organismo umano. Le sostanze più presenti nei campioni analizzati sono: il boscalid, il chlorpyrifos e il fludioxonil. Al quarto e quinto posto troviamo il metalaxil e il captan, entrambi fungicidi, mentre in sesta posizione l’imidacloprid, insetticida neonicotinoide, vietato dal 2019 per tutelare gli impollinatori.
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La frutta è la più contaminata
La categoria più esposta è risultata la frutta. È privo infatti di residui di pesticidi solo il 36 per cento dei campioni analizzati, mentre l’1,7 per cento è irregolare e oltre il 60 per cento, nonostante sia considerato regolare, presenta uno o più di un residuo chimico. Il 64 per cento delle pere, il 61 per cento dell’uva da tavola e il 57 per cento delle pesche sono campioni regolari con multiresiduo. Le fragole, spiccano per un 54 per cento di campioni regolari con multiresiduo e anche per un 3 per cento di irregolarità. Alcuni campioni di fragole, anche di provenienza italiana, hanno fino a 9 residui contemporaneamente. Situazione analoga per l’uva da tavola, che è risultata avere fino a 6 residui. I campioni di papaya sono risultati tutti irregolari per il superamento del limite massimo consentito del fungicida carbendazim.
Per la verdura il quadro è contraddittorio. Da un lato, il 64 per cento dei campioni risulta senza alcun residuo. Dall’altro, si riscontrano significative percentuali di irregolarità in alcuni prodotti, come l’8 per cento di peperoni, il 5 per cento degli ortaggi da fusto e oltre il 2 per cento dei legumi, rispetto alla media degli irregolari per gli ortaggi (1,8 per cento). Ad accomunare la gran parte dei casi di irregolarità è il superamento dei limiti massimi di residuo consentiti per i fungicidi, tra cui il più ricorrente è il boscalid. Per quanto riguarda i prodotti di origine animale, infine, 11 campioni di uova italiane (il 5 per cento del totale campionato) risultano contaminate dall’insetticida fipronil.
Prodotti italiani vs prodotti esteri
Nel confronto tra i campioni esteri e italiani, quelli a presentare più irregolarità e residui sono quelli esteri: sono irregolari infatti il 3,9 per cento dei campioni esteri rispetto allo 0,5 per cento di quelli nazionali, e presenta almeno un residuo il 33 per cento dei campioni di provenienza estera rispetto al 28 per cento di quelli italiani.
Sul fronte dell’agricoltura biologica, i 134 campioni analizzati risultano regolari e senza residui, salvo un solo campione di pere, di cui non si conosce l’origine, che risulta irregolare per la presenza di fluopicolide. Non è possibile, allo stato attuale, sapere se l’irregolarità è da imputare a una contaminazione accidentale, all’effetto deriva o a un uso illegale del fungicida. L’ottimo risultato è ottenuto anche grazie all’applicazione di ampie rotazioni colturali e pratiche agronomiche preventive, che contribuiscono a contrastare lo sviluppo di malattie e a potenziare la lotta biologica tramite insetti utili nel campo coltivato.
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Solo una modesta quantità del pesticida irrorato in campo raggiunge in genere l’organismo bersaglio, il resto si disperde nell’aria, nell’acqua e nel suolo, con il rischio di inquinamento delle falde acquifere e di impoverimento di biodiversità vegetale e animale. Effetti ai quali ancora oggi non si dà il giusto peso, nonostante il rilievo di numerosi e autorevoli studi scientifici. L’agricoltura, infatti, è una fonte importante di gas climalteranti, in particolare metano (CH4) e protossido di azoto (N2O): secondo le Nazioni Unite, questi due gas costituiscono da soli il 16,1 per cento delle emissioni totali di gas a effetto serra. Ci auguriamo che il futuro piano d’azione nazionale sull’uso sostenibile dei pesticidi preveda il rafforzamento del sistema dei controlli, mettendo al centro la tutela dell’ambiente e della salute, così come la sfida dei cambiamenti climatici.
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