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La storia del genocidio indonesiano del 1965
La sentenza arriva dal Tribunale internazionale del popolo (Ipt): quello in Indonesia fu un genocidio che vide 400mila sostenitori del Partito Comunista uccisi tra il 1965 e il 1967 per mano di Suharto.
L’Indonesia è stata condannata per genocidio dal Tribunale internazionale del popolo (Tpi) relativamente ai fatti del 1965, anno in cui il presidente Sukarno era al potere e furono sterminati più di 400mila sostenitori dell’allora Partito Comunista. Zak Yacoob, capo del tribunale costituito un anno fa a L’Aia dopo innumerevoli tentativi falliti di portare alla sbarra i responsabili del massacro, ha spiegato che l’Indonesia ora deve agire con “urgenza e senza qualificazione” per far fronte al genocidio. In un’intervista con Al Jazeera, Yacoob ha aggiunto che oltre a perseguire coloro che sono coinvolti nelle uccisioni, il governo deve “chiedere scusa” ai superstiti e alle famiglie delle vittime, e “garantire il risarcimento e le riparazioni più appropriati”.
Il colpo di stato e l’appoggio degli Stati Uniti
Il genocidio dei sostenitori del Pki (Partai komunis Indonesia), il terzo partito comunista più grande al mondo dopo quelli di Unione Sovietica e Cina, iniziò il 2 ottobre 1965. Il generale Suharto, responsabile delle truppe riserviste nazionali e successore di Sukarno a partire dal 1967, lanciò una campagna per spazzare via tutti i funzionari del partito al potere e i suoi sostenitori. Invase Jakarta, la capitale dell’arcipelago, e si insediò con un colpo di stato.
A sostenere l’insediamento militare del generale, come documentato ampiamente negli anni a seguire, è stato fondamentale l’appoggio della Cia e dell’ambasciata statunitense, così come quello dei servizi segreti britannici. Infatti furono proprio gli Stati Uniti a contribuire all’addestramento degli ufficiali indonesiani nella scuola di Bandung. La Cia, invece, svolse un ruolo chiave nell’elaborazione della propaganda anticomunista dei golpisti, non solo facendo circolare false notizie su atrocità che sarebbero state commesse dai comunisti, ma fomentando l’odio razziale contro i cinesi e quello religioso contro gli atei. L’ambasciata e l’intelligence degli Usa avevano anche stilato un elenco di 5mila appartenenti del Pki da eliminare, facilitando all’esercito il compito di distruggere fisicamente il partito.
Le violenze e l’accusa di crimini contro l’umanità
Il rapporto stilato dal tribunale ha dettagliato dieci violazioni dei diritti umani compiute contro i civili, tra cui il carcere, la tortura e la violenza sessuale. Il bagno di sangue decimò anche il movimento sindacale, diversi intellettuali e artisti, i partiti democratici, i leader studenteschi, giornalisti, le persone di etnia cinese nonché civili innocenti. Ci sono stime che parlano di oltre un milione di persone uccise complessivamente. I corpi delle vittime vennero gettati nei fiumi o seppelliti in fretta o ancora abbandonati per strada. Alla strage vi presero parte anche vere e proprie “squadre della morte” private come la Gioventù Pancasila, il cui pensiero filosofico è ancora presente nell’attuale Partai Demokrat al potere.
Chi era il generale Suharto
Il principale responsabile del genocidio, il generale Suharto, non è mai stato punito ed è morto nella sua casa a Jakarta nel 2008. Suharto assunse le funzioni di presidente nel 1967, carica che ricoprì fino al 1998, dando vita a uno dei governi più corrotti del mondo, censurando i mass media e siglando affari monopolistici vantaggiosi per la propria ristretta cerchia di amici e parenti (compresi i sei figli). Nel 1975, inoltre, ordinò l’invasione dell’ex colonia portoghese Timor Est, seminando anche qui la morte di migliaia di civili e oppositori (le stime parlano di almeno 100mila persone). La gravità di questo atto fu riconosciuto dall’Onu solo nel 1993. Quando nel 1996 Suharto estromise la figlia di Sukarno, Megawati Sukarnoputri, dalla guida del Partito democratico indonesiano di lotta (uno dei tre partiti legalmente riconosciuti) nella capitale scoppiarono le rivolte che portarono alle sue dimissioni nel 1998.
Il futuro del verdetto
“È un verdetto molto importante per un caso rimasto nell’ombra per 51 anni“, ha detto Step Vaessen, reporter di Al Jazeera dall’isola di Java, dove sono avvenuti la maggior parte dei massacri. “La domanda ora è: il governo indonesiano cosa avrà intenzione di fare con questi risultati?“. Finora pure i governi più recenti hanno completamente respinto l’esistenza del tribunale del popolo. Senza le basi legali, il verdetto del tribunale non ha risvolti pratici ma ha solo una valenza simbolica, seppur largamente condivisa. La flebile speranza è che i risultati possano mettere pressione al governo in carica per una presa di posizione. Purché si continui a parlarne.
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