Che cosa è emerso finora sulla strage di curdi a Parigi

Il 23 dicembre un uomo ha ucciso tre curdi nella capitale francese. Aveva precedenti per razzismo, ma la comunità curda sospetta della Turchia.

  • Le tre vittime della strage curda del 23 dicembre erano attivisti importanti della comunità locale.
  • Nove anni fa nello stesso luogo erano stati uccisi altri tre attivisti curdi. In quel caso c’era stato lo zampino dei servizi segreti turchi.
  • La comunità locale oggi è convinta che la strage sia una nuova rappresaglia della Turchia, accusata di genocidio contro il popolo curdo.

Il 23 dicembre un uomo ha aperto il fuoco a Parigi contro cittadini curdi, uccidendo tre persone e ferendone altre tre. Lo stragista, un pensionato francese con alle spalle diversi episodi di razzismo, ha esplicitamente ammesso di voler colpire quanti più stranieri possibile e si trova ora in stato di arresto.

I tre attivisti curdi uccisi il 23 dicembre
I tre attivisti curdi uccisi il 23 dicembre © JULIE SEBADELHA/AFP via Getty Images

In questi giorni a Parigi e in altre città francesi si sono tenute diverse manifestazioni organizzate dalla comunità curda per chiedere verità sull’accaduto, con anche alcuni scontri con le forze dell’ordine. I curdi stanno alzando la voce visto che la strage del 23 dicembre non è la prima ai loro danni nel paese. Ma soprattutto, sospettano che dietro all’attacco possa esserci la Turchia di Erdogan.

L’attacco ai curdi del 23 dicembre

Nella mattinata del 23 dicembre un uomo francese, William M., si è palesato al centro culturale curdo “Ahmet Kaya” di Parigi e ha aperto il fuoco. Ha poi inseguito alcune persone in fuga fin dentro a un ristorante, infine si è introdotto in un parrucchiere frequentato da curdi e ha ripreso a sparare, prima di essere bloccato. 

Il bilancio di questa sparatoria è stata la morte di tre persone e il ferimento di altre tre. Lo sparatore è stato arrestato e si trova ora in custodia per omicidio e tentato omicidio, con l’aggravante del movente razzista. L’uomo era stato condannato in passato per detenzione illegale di armi, ma anche per aver assaltato con una sciabola diverse tende in un campo profughi. Lui stesso ha ammesso di aver sviluppato un odio patologico nei confronti dei migranti e che il suo obiettivo era uccidere quanti più stranieri possibili.

Le manifestazioni e gli scontri

Tra i primi a recarsi sul luogo dell’attentato è stato Gérald Darmanin, ministro dell’Interno francese accusato in passato di posizioni xenofobe. Nel suo discorso ha cercato di sminuire l’episodio della strage, dicendo da subito come si sia trattata dell’azione isolata di un uomo instabile e che il fatto che siano stati colpiti solo curdi sia stato un caso. Inoltre, nonostante abbia espresso solidarietà ai curdi, non ha incontrato i rappresentati del centro. 

Questo ha fatto salire la tensione. Diversi curdi si sono riuniti sul luogo dell’attentato e ci sono stati scontri con le forze dell’ordine. Il 24 dicembre poi a Parigi si è tenuta un’ingente manifestazione per chiedere verità e giustizia riguardo alla strage del giorno precedente, che ha visto la partecipazione di migliaia di persone. Ci sono stati forti momenti di tensione e scontri, nati secondo testimoni dal passaggio di alcune automobili che esponevano la bandiera turca. Il bilancio finale è stato di 11 arresti e diversi feriti tra i manifestanti e la polizia. 

La versione dello stragista

I curdi negli ultimi anni hanno avuto un ruolo decisivo nella liberazione di ampi territori della Siria settentrionale dallo Stato Islamico, grazie all’attività militare dell’Ypg e dell’Ypj. Durante la prima udienza l’attentatore di Parigi ha indicato proprio in questa guerra l’origine della sua volontà di colpire il popolo curdo: la sua colpa, o meglio quella delle sue milizie, sarebbe stata quella di non uccidere abbastanza membri dello Stato islamico in Siria. Ma secondo la comunità curda francese c’è dietro altro.

Quello curdo è un popolo di circa 40 milioni di persone senza stato, dislocato tra l’Iran, l’Iraq, la Siria e la Turchia. I rapporti sono particolarmente tesi da decenni proprio con la Turchia, di cui costituiscono circa il 20 per cento della popolazione. Un po’ come con gli uiguri in Cina, la Turchia ha messo in atto nel tempo processi di assimilazione dei curdi, cercando di cancellare e plasmare la loro cultura, ma anche reprimendo con la violenza le loro rivendicazioni autonomiste, portate avanti anche attraverso la lotta armata. Per molti osservatori quello compiuto dalla Turchia nei confronti dei curdi è genocidio.

La strage dei curdi del 23 dicembre presenta diverse ombre e la tensione dei giorni successivi, con i cortei e gli scontri, ne sono la diretta conseguenza. Se da una parte c’è chi come il ministro Darmanin ha cercato di sminuire l’accaduto e dall’altra c’è chi come il presidente Macron ha denunciato l’attacco come razzista, tra la comunità curda stanno salendo i sospetti che nell’attentato possa c’entrare in qualche modo proprio la Turchia.

Il movente turco

La comunità curda francese considera una particolare coincidenza il fatto che lo stragista abbia puntato prima il centro culturale e poi abbia rincorso per centinaia di metri alcune persone tra il ristorante e il parrucchiere, come se le sue vittime fossero prestabilite. 

In effetti i tre morti sono tra le personalità curde più importanti in Francia: Emine Kara è membro dell’Unione delle Comunità del Kurdistan e ha un passato nel partito curdo dei lavoratori (Pkk), Sirin Aydın è un rifugiato politico fuggito dalla Turchia per una condanna a 20 anni per terrorismo a causa del suo sostegno ai curdi e Abdurrahman Kızıl è un altro attivista curdo di primo piano. La loro morte è dunque un duro colpo per la causa curda locale. E il paradosso è che nove anni fa nello stesso posto vennero uccisi in un attentato simile altre tre attivisti curdi. In quell’occasione le autorità francesi conclusero che c’era stato lo zampino dei servizi di intelligence turchi

Oggi la comunità curda francese pensa possa trattarsi della stessa situazione, anche perché la guerra di Ankara ai curdi da tempo non viene condotta solo in patria, ma anche in Europa per vie traverse. L’ultimo esempio è l’accordo per l’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia, firmato proprio sulla pelle dei curdi.

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