La strage del 3 ottobre 2013 sembrò poter segnare una svolta nelle politiche migratorie della Ue. Da allora invece ci sono state oltre 30mila vittime.
“Io nasco pescatore e poi ho cambiato mestiere dopo aver avuto un’esperienza molto brutta: sono stato un naufrago anche io, per me è stato traumatizzante. Ho scelto di entrare in politica dopo la strage di Lampedusa nel 2013: ben 368 morti sotto i nostri occhi, a due passi dal porto e vedere tutti quei bambini morti, quella tragedia, mi ha fatto decidere. Quando l’Europa si renderà conto che il fenomeno migratorio è un’opportunità, una ricchezza, allora, a quel punto, sono certo che l’Europa darà le risposte giuste”.
Così parlava Pietro Bartolo, pescatore, medico chirurgo di Lampedusa ed allora europarlamentare, poco prima della scorsa estate. C’è un prima e un dopo il 3 ottobre 2013, della strage di Lampedusa di 11 anni fa, nella storia dei flussi migratori verso l’Italia e anche nella storia di molte persone su cui quella tragedia si è abbattuta, stravolgendone la vita. Nelle storie dei naufraghi, dei parenti delle vittime, ma anche dei soccorritori. Anche in quella di Pietro Bartolo che quel giorno partecipò ai soccorsi disperati e che quell’esperienza l’ha trasformata in una nuova sfida: andare a Bruxelles, da europarlamentare, per provare ad abbattere la Fortezza che l’Europa ha deciso di erigere a propria protezione. Bartolo non ha fatto in tempo a farcela: non rieletto nelle elezioni europee dello scorso giugno, è tornato a Lampedusa, a fare il proprio lavoro di un tempo, curare chi ne ha bisogno, compresi gli ancori moltissimi migranti che arrivano sull’isola.
La strage di Lampedusa non ha fermato le morti nel Mediterraneo
Senza però poter fare più nulla per chi non arriva: oggi le Nazioni Unite, tramite l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, l’Unhcr che si occupa di rifugiati e l’Unicef dei minori certificano che dal 2014 a oggi sono state registrate oltre 30mila vittime dei viaggi della speranza, di cui quasi 24mila proprio lungo la rotta del Mediterraneo centrale, che si conferma come una delle più pericolose a livello globale. Solo nel 2024, già oltre 1.229 persone hanno perso la vita lungo questa rotta, e tra loro ci sono molti minori, tra cui neonati e bambini e adolescenti che viaggiano da soli: secondo i dati del progetto Missing migrants della Iom, nel decennio fra il 2014 e il 2023 nel complesso sarebbero almeno 1.214 i minorenni morti o dispersi nel Mediterraneo. Si tratta, però, di dati parziali poiché non sempre viene riportata l’effettiva età dei morti o dispersi.
Insomma, nonostante le parole e l’istituzione, proprio nella ricorrenza del 3 ottobre, di una giornata della Memoria e dell’accoglienza, e nonostante la strage di Lampedusa abbia cambiato la vita di molti, quello che non è cambiato è che il Mediterraneo rimane ancora pericolosissimo per i migranti e le nove peggiori tragedie per numero di morti e dispersi registrate nel mondo hanno riguardato proprio il Mediterraneo Centrale. In particolare, la tratta che porta all’Italia. In sette casi il Paese di partenza è stata la Libia, in due l’Egitto: l’incidente più tragico in assoluto è avvenuto il 18 aprile del 2015, un centinaio di chilometri a nord della Libia, con almeno 1.022 morti o dispersi (solo 28 sopravvissuti). Il 14 giugno dello scorso anno, al largo di Pylos, nel Peloponneso, in un terribile naufragio almeno 646 migranti hanno perso la vita o sono risultati dispersi (104 i sopravvissuti). Il 26 maggio 2016, in un altro incidente, c’erano stati almeno 550 tra morti e dispersi (tra di essi si è registrato il record assoluto di donne e bambine – 75 – ed il record di minorenni: 46. E poi ovviamente la strage di Cutro del 2023, e quella più recente dello scorso 17 giugno sempre nelle acque italiane del Mar Ionio, vicino alla Calabria, con 66 tra morti e dispersi, tra cui ben 27 minorenni.
Poco prima della fine della scorso legislatura, l’Unione Europea ha adottato il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo, che si concentra su ciò che avviene dallo sbarco in poi. Quello che manca ancora, però, creare una missione europea di ricerca e soccorso, come quella che l’Italia da sola aveva messo in piedi con Mare Nostrum proprio sullo slancio emotivo della strage di Lampedusa, ma che durò lo spazio di un anno. Lo spiega, oggi, anche la Comunità di Sant’Egidio, tra le organizzazioni più impegnate nell’accoglienza e nell’organizzazione di corridoi umanitari. “Di fronte a questa immane tragedia si può e si deve fare molto di più: continuare il soccorso in mare e facilitare l’ingresso regolare di migranti per motivi di lavoro, di cui l’Italia, in piena crisi demografica, ha estremo bisogno, oltre a favorire i ricongiungimenti familiari. Occorre inoltre incentivare i corridoi umanitari”. Così, finora, sono entrati in 7.700 richiedenti asilo, sottratti ai pericoli del mare e alle grinfie del trafficanti di esseri umani. Ma finora, per riprendere quelle parole di Bartolo, l’Europa non sembra ancora essersi resa conto.
Siamo anche su WhatsApp.
Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.