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2030: odissea verso il tessile sostenibile e circolare
L’Europa ha una strategia per ridisegnare l’industria tessile. Design, fine vita dei prodotti, nuove tecnologie e lotta al greenwashing sono i punti chiave.
- Il 30 marzo è stata finalmente pubblicata la Strategia europea per il tessile sostenibile e circolare, che si pone diversi obiettivi da raggiungere entro il 2030.
- Le misure delineate riguardano in particolar modo il design dei prodotti, il riciclo delle fibre tessili a fine vita, l’efficientamento dei processi e la lotta al greenwashing.
- L’obiettivo è di far sì che, dal 2030 in poi, i prodotti tessili realizzati all’interno dell’Unione europea siano più durevoli e riparabili, composti da fibre riciclate e privi di agenti chimici tossici e inquinanti.
Nel 2020 la Commissione europea ha avviato un processo di revisione della normativa tessile: nella prima fase – da maggio ad agosto 2021 – le consultazioni sono state pubbliche e hanno avuto l’obiettivo di individuare le aree d’azione più critiche per arrivare alla definizione di una Strategia per il tessile sostenibile unica per tutta l’Unione, con l’obiettivo di stabilire nuove regole per il settore nell’ottica di un’economia circolare e carbon neutral.
La crisi determinata dall’emergenza sanitaria da Covid-19 è stata colta come l’occasione per ripensare le logiche del comparto tenendo conto di fattori cruciali per la transizione ecologica, come l’economia circolare, l’efficientamento energetico, il design ecocompatibile, il riciclo, il greenwashing, la responsabilità del produttore rispetto al fine vita del prodotto e i nuovi modelli di business.
Gli obiettivi della Strategia europea per il tessile sostenibile e circolare
L’obiettivo è far sì che, dal 2030 in poi, i prodotti tessili realizzati all’interno dell’Unione europea siano più durevoli, riparabili e riciclabili, siano il più possibile composti da fibre riciclate e senza l’ombra, o quasi, di agenti chimici tossici e inquinanti. L’obiettivo è ambizioso e la Strategia europea per il tessile sostenibile e circolare che la Commissione europea ha pubblicato lo scorso 30 marzo non è che il punto di partenza: prima che le intenzioni diventino effettive dovranno infatti essere vagliate attraverso un discreto numero di consultazioni, con lo scopo di valutare impatto e fattibilità delle norme che si intende introdurre. Dopodiché starà alle aziende doversi adeguare e, quindi, ricorrere ai finanziamenti e agli incentivi che verranno messi loro a disposizione dai governi nazionali e dalle autorità competenti in materia.
Insomma, la strada è ancora discretamente lunga, ma intanto una direzione c’è ed è piuttosto chiara. Si procederà poi per gradi: le prime decisioni messe a calendario sono già per la seconda metà del 2022, ma step intermedi sono previsti anche per il 2024 e il 2025. Le misure che sono state delineate riguarderebbero prevalentemente l’ecocompatibilità del design dei prodotti, la responsabilità del produttore riguardo il fine vita del prodotto, la tracciabilità e la chiarezza della comunicazione – leggi alla voce “lotta al greenwashing” – e l’efficientamento dei processi anche grazie alle nuove tecnologie.
Design ecocompatibile
Il punto di partenza è sostanzialmente uno: siamo letteralmente sommersi da prodotti tessili. In uno spazio di quindici anni, ovvero tra il 2000 e il 2015, la produzione di abiti si è duplicata e le stime al 2030 non sono incoraggianti: si stima un aumento della produzione calzaturiera del 63 per cento che porterebbe a una produzione di scarpe che sfiorerebbe i 102 milioni. 102 milioni di scarpe è un’enormità, soprattutto se si pensa a quante di queste in realtà non arriveranno mai negli armadi di nessuno: nella sola Unione europea ne vengono scartate e distrutte circa sei tonnellate, approssimativamente undici chili a persona contando scarpe e abiti. Insomma, non possiamo continuare a produrre così tanto e, soprattutto, è necessario che i prodotti durino di più.
Per questo, tra le misure ipotizzate, la messa a terra entro il 2024 di requisiti vincolanti per la produzione tessile che tengano conto di questi fattori: durabilità, possibilità di riuso, riparabilità e riciclabilità. A questo si deve aggiungere una percentuale obbligatoria di fibre riciclate nella composizione del prodotto e la riduzione al minimo della presenza di sostanze nocive. Dovrebbe inoltre diventare obbligatorio per le aziende rendere nota la quantità di prodotto scartata e distrutta attraverso incenerimento o conferimento in discarica.
L’altro enorme problema legato al tessile è l’alta percentuale – circa il 60 per cento – di fibre sintetiche nell’industria, cosa che provoca, anche solo attraverso i lavaggi domestici, la dispersione di microplastiche nell’ambiente: secondo quanto riporta il documento della Commissione europea, stiamo parlando di 40mila tonnellate ogni anno. Le azioni ipotizzate riguardano quindi sia la progettazione e il design, sia la comunicazione e l’etichettatura. La maggior parte degli interventi riguarderanno il prelavaggio negli impianti di produzione industriale, ma si è voluto porre l’attenzione anche sulla cura del capo una volta che ha lasciato la fabbrica: si parla di filtri per lavatrici, detersivi ad hoc e diffusione di linee guida per la cura e il lavaggio del capo.
Lotta al greenwashing
Con il termine greenwashing si intende tutto quel sottobosco di comunicazioni ingannevoli e descrizioni fumose realizzate ad hoc per far apparire l’azienda, o i prodotti, come rispettosi di determinati criteri di rispetto ambientale, quando questo non corrisponde alla verità. Ci sono in particolare dei termini sui quali si è concentrata l’attenzione della Commissione europea, come green, eco-friendly e good for the environment che non potranno più essere usati, a meno che l’impegno ambientale dell’azienda in questione non sia comprovato e sancito da organismi competenti, come Ecolabel. Non solo, dovranno essere presenti indicazioni circa la durabilità, la possibilità di riparare il prodotto in questione – è compreso anche un punteggio – ed è in discussione anche la possibile introduzione di un passaporto digitale per i prodotti tessili in cui debbano essere specificati determinati aspetti, come la circolarità o il paese di produzione.
Riciclabilità del prodotto
Data la mole di abiti prodotti, e dismessi, ogni anno, appare chiaro che un punto focale per ridurre l’impatto ambientale sia quello che succede all’indumento una volta che viene dismesso. Il fine vita dei prodotti è rilevante tanto quanto il loro processo produttivo, anzi, deve essere considerato a monte. La direttiva sui rifiuti, in calendario per il 2023, avrebbe l’obiettivo di efficientare il processo di riciclo attraverso la creazione di un sistema per la raccolta, lo smistamento, il riutilizzo e il riciclo dei prodotti tessili pensati proprio nell’ottica della circolarità, per questo sarebbero previsti anche incentivi per i brand impegnati in tal senso.
Una particolare attenzione viene infatti riservata all’Epr, sigla che sta per Extended producer responsibility e che indica la pratica di politica ambientale per cui il produttore di un determinato bene si rende responsabile anche del suo fine vita e che prevede dei fondi, una parte dei quali andrebbero utilizzati proprio per incentivare misure di prevenzione dei rifiuti. In cantiere, poi, anche l’ipotesi di hub nazionali dedicati al riciclo tessile: le nuove tecnologie possono essere parecchio d’aiuto in questo processo di transizione ecologica e l’incoraggiamento, nei confronti delle aziende, è quello di attuare una condivisione di dati e strumenti di ricerca attraverso la partecipazione attiva ad iniziative come l’European green deal dataspace o il Manufacturing data space.
Supporto alla ricerca
La Commissione sta lavorando ad una tabella di marcia comune per le tecnologie industriali in fatto di circolarità: l’obiettivo è quello di razionalizzare la ricerca e l’innovazione industriale, con un focus particolare sull’efficientamento del processo di riciclo delle fibre tessili. In quest’ottica si prevedono partnership pubblico-privato, come la Made in Europe partnership, un’iniziativa di ricerca volta a garantire la leadership dell’Europa nei campi della produzione digitale abilitata, competitiva, ecologica e socialmente sostenibile con particolare attenzione alla riduzione della dipendenza dell’industria dai combustibili fossili. Ancora: la Circular bio-based Europe joint undertaking ha lo scopo di stimolare lo sviluppo di nuovi tipi di fibre nel settore del tessile bio-based, mentre il partenariato europeo Process4Planet si pone come obiettivo quello di promuovere la circolarità e la decarbonizzazione delle industrie grazie allo sviluppo e all’implementazione delle innovazioni necessarie. Lo scopo è quindi che istituzioni e privati lavorino insieme per sviluppare le tecnologie necessarie per garantire la riparazione, migliorare la raccolta e lo smistamento dei rifiuti tessili e aumentarne le capacità di riciclo.
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