La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
Si è conclusa il 2 novembre la Cop16 sulla biodiversità, in Colombia. Nonostante le speranze, non arrivano grandi risultati. Ancora una volta.
Questi roditori, analogamente agli esseri umani, evitano azioni che possono danneggiare i loro simili, mostrando dunque empatia.
Forse per giustificare il predominio che esercitiamo sulle altre specie, o forse per alimentare una sorta di vanità, gli esseri umani sono spesso particolarmente restii ad associare agli altri animali, in particolare verso quelli da cui ci separa una maggiore divergenza evolutiva, la capacità di provare emozioni complesse. Tuttavia molte caratteristiche che a lungo abbiamo ritenuto uniche e peculiari della nostra specie sono, naturalmente, presenti anche in altre.
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La scienza ha ormai ampiamente dimostrato la capacità degli animali di provare emozioni e, quasi ogni giorno, vengono effettuate nuove scoperte sulle loro capacità cognitive ed emotive. La capacità dei ratti di provare empatia verso i propri simili era già stata dimostrata, un nuovo studio ha confermato che questi roditori evitano azioni dannose per i conspecifici e ha cercato di comprendere questo comportamento dal punto di vista neurale.
L’empatia, ovvero la capacità di comprendere e condividere lo stato emotivo di un altro individuo, è ritenuta una parte fondante del comportamento prosociale, un aspetto importante dello sviluppo umano, ma non solo. Gli autori dello studio Harm to others acts as a negative reinforcer in rats, pubblicato sulla rivista Current Biology, hanno dimostrato che i ratti smettono di compiere azioni per loro piacevoli, se queste danneggiano un altro ratto.
Gli autori dello studio, guidato dal neuroscienziato Julen Hernandez-Lallement, hanno rintracciato l’origine di tale comportamento in un’area del cervello nota come corteccia cingolata anteriore.
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I ricercatori hanno messo i ratti dinnanzi due leve: premendo una delle due ricevevano uno zuccherino, mentre premendo l’altra no. Dopo aver fatto familiarizzare gli animali con le leve, hanno abbinato quella che forniva il premio ad un dolore inflitto ad un secondo ratto situato in un compartimento adiacente. La maggior parte dei ratti, pur di non infliggere dolore a un loro simile, si è allontanata dalla leva preferita.
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“Proprio come gli umani, i ratti provano avversione a causare danni agli altri”, ha affermato Julen Hernandez-Lallement. Scansionando il cervello degli animali i ricercatori hanno scoperto quale area del cervello si attiva in questi casi, la stessa che si attiva nelle persone. Gli studiosi hanno dunque ridotto, tramite un anestetico, quella particolare attività cerebrale, scoprendo che in questo modo gli animali “hanno smesso di evitare di danneggiare i compagni”. “Che umani e ratti usino la stessa regione del cervello per prevenire danni agli altri è sorprendente – ha affermato Valeria Gazzola, uno degli autori dello studio -. Dimostra che la motivazione morale che ci impedisce di danneggiare i nostri simili è antica ed evolutiva, profondamente radicata nella biologia del nostro cervello e condivisa con altri animali”.
Empathy can mediate the attribution of negative value to actions harming others, leading to prosocial behavior. In our new study, rats reduce the use of a preferred lever if it causes harm to a conspecific. Deactivating ACC reduces this harm aversion! https://t.co/P0nCruVbpP pic.twitter.com/xswhwXz5oN
— Socialbrainlab (@sbl_nin) March 5, 2020
L’empatia è probabilmente più diffusa nelle specie sociali e, ritengono gli scienziati, costituirebbe un meccanismo evolutivo per mantenere la coesione sociale. Gli animali che vivono in gruppo e su di esso fanno affidamento per la propria sopravvivenza, devono dunque essere più sensibili riguardo ciò che provano coloro che li circondano.
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“Osservando gli animali per tutta la vita, sono sempre stato colpito da quanto siano simili a noi. Sono sempre stato toccato dai loro legami e colpito – a volte spaventato – dalle loro emozioni”, ha detto in un’intervista al National Geographic Carl Safina, biologo statunitense autore di numerosi saggi, tra cui Al di là delle parole, che indaga proprio intelligenze e coscienze animali.
Gli autori della ricerca ritengono che la scoperta potrebbe contribuire a far luce sulle cause neurali di alcuni disturbi psichiatrici caratterizzati da deficit di empatia e rimorso, come la psicopatia, e fornire indicazioni per lo sviluppo di trattamenti farmacologici per tali disturbi. “Condividiamo un meccanismo che previene il comportamento antisociale con i ratti, per me è estremamente eccitante – ha commentato uno degli autori dello studio, Christian Keysers, ricercatore del Netherlands institute for neuroscience (Nin) -. Ora possiamo usare queste nuove conoscenze del cervello per esplorare come aumentare l’avversione al danno nei pazienti antisociali”.
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