
La mancanza di dati ufficiali è un problema per il controllo del mercato legale di animali, soprattutto per le catture di quelli selvatici.
Attrazioni turistiche, trofei di caccia e scheletri da vendere. Sono visti così i leoni cresciuti in cattività in Sudafrica, che dopo essere maltrattati vengono cacciati verso l’estinzione.
Grida di protesta arrivano da tutto il mondo per denunciare la crudeltà nei confronti dei leoni sudafricani, che si trovano ad affrontare una nuova minaccia: l’aumento del commercio di ossa, denti e artigli. Turisti ignari pagano per scattare selfie con i cuccioli in braccio, o per camminare tra i leoni negli allevamenti. Molti di questi animali vengono poi trasferiti in zone dove cacciatori di trofei praticano canned hunting (letteralmente, caccia in scatola), ovvero la caccia su commissione. Le ossa e altri parti del corpo dei leoni uccisi vengono poi vendute sui mercati locali e internazionali.
Le ossa di questi animali sono utilizzate nella medicina tradizionale e come ciondoli, soprattutto nel Sudest asiatico. Negli ultimi dieci anni, oltre seimila scheletri di leone sono stati esportati nel sudest asiatico dal Sudafrica, dove sono stati allevati in cattività per poi essere uccisi da cacciatori che pagano per farlo. Il maggior importatore di corpi di leone è il Vietnam, che si posiziona anche al secondo posto per l’importazione di scheletri. Il Laos e il più grande importatore di ossa e scheletri di leone, mentre gli Stati Uniti hanno il primato per l’importazione di parti di leone, secondo un rapporto del 2018 pubblicato dalla Cites, la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione.
Un rapporto sulle ossa di leone pubblicato nel 2015 mostra che la domanda della Cina e del Sudest asiatico è aumentata dopo l’introduzione di misure di conservazione più rigorose per la protezione delle tigri e degli altri grandi felini asiatici. Si ipotizza che queste misure abbiano spinto i trafficanti a rivolgersi al mercato africano di leoni, perché le loro ossa appaiono simili a quelle di tigre. Le esportazioni legali in Sudafrica degli scheletri di leone sono passate da 50 nel 2008 a 573 nel 2011.
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In una mossa controversa, l’ex ministra dell’Ambiente sudafricana Edna Molewa nel 2018 ha deciso di raddoppiare la quota di scheletri esportabili, portandola a 1.500 scheletri, senza consultare prima il pubblico o le autorità. Lo scorso luglio ha affermato che la nuova quota sulle esportazioni rispetta le linee guida internazionali sul commercio di animali selvatici, e che le conseguenze sui leoni selvatici saranno analizzate da uno studio triennale con revisioni annue. Tuttavia, gli esperti avvertono che la quota di scheletri di leone è dannosa perché incentiva il bracconaggio e il traffico illegale, gestito da una sofisticata organizzazione criminale che è attiva nel commercio illegale di animali, e che traffica ad esempio anche corna di rinoceronte.
Luke Hunter, direttore della conservazione per l’ong Panthera che si occupa della protezione dei felini selvatici, afferma che il governo sudafricano non ha fornito prove scientifiche che diano legittimità all’idea che il commercio legale di scheletri possa controbilanciare il traffico illegale, e certamente non abbastanza da giustificare un aumento così considerevole. “Sono parecchio sconcertato. Guardate come vivono questi poveri leoni in cattività. È davvero triste che passino la propria vita facendo quasi niente, in attesa della pallottola che li ucciderà”, ribadisce Hunter.
La Cites ha osservato che oltre 8mila leoni vivono in allevamenti e “canned farms” in Sudafrica, mentre le cifre relative ai leoni allo stato brado si aggirano tra i 1.300 e i 1.700 adulti. “Nell’intero continente africano non sopravvivono più di 20mila leoni, un numero che è crollato del 43 per cento tra il 1993 e il 2014“, rivelano i dati Cites. L’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn), che ha l’obiettivo di valutare lo stato di conservazione di molteplici specie animali attraverso la sua Lista rossa, classifica il leone come vulnerabile.
Al contempo, alcune indagini sotto copertura sulle pratiche negli allevamenti hanno rivelato che i cuccioli vengono separati dalle loro madri dopo pochi giorni, o persino qualche ora di vita per essere usati come soggetti per le foto che fanno guadagnare moltissimo ai loro padroni. Le leonesse, invece, sono costrette a gravidanze continue e vengono inseminate poco dopo il parto. Negli allevamenti per il canned hunting, i cuccioli non vengono mai rilasciati in natura (e non sopravviverebbero se ciò dovesse accadere), ma sono cresciuti in gabbia, abituandosi tanto agli umani che iniziano ad associare il loro odore all’ora del pasto. Molti di questi leoni diventano poi trofei di caccia: quest’industria è in espansione in Sudafrica e i cacciatori di trofei stanno cercando di diffondere il termine “captive hunting”, le cui connotazioni sono meno negative rispetto a “canned hunting”.
Aaron White, attivista e ricercatore in materia di fauna selvatica, ha osservato che il traffico di ossa, denti e artigli di leone è aggravato dalla richiesta di questi servizi di caccia e l’apparente legittimità dell’allevamento dei leoni.
Molti turisti e volontari spesso spendono migliaia di dollari per aiutare ad allevare i leoni, convinti di partecipare a progetti di conservazione quando invece, a loro insaputa, stanno contribuendo all’industria dei trofei e delle ossa di leone. Born Free, un’organizzazione animalista benefica britannica, ha invitato il Sudafrica a fermare immediatamente l’industria del “canned hunting” e l’allevamento commerciale dei leoni, e anche molte associazioni venatorie condannano queste pratiche. “È una truffa che mette ancora più a rischio i leoni selvatici e altri felini, incoraggiando i bracconieri che puntano a rivendere le ossa e altre parti”, afferma il presidente dell’ong, Will Travers.
Nel 2016 l’Iucn aveva avvertito che le ossa di leone provenienti dall’Africa meridionale e orientale rischiavano di essere aggiunte all’enorme traffico animale illegale dell’Asia, incentrato sull’avorio proveniente dalle zanne d’elefante. Tuttavia, sebbene l’allevamento di leoni non contribuisca alla conservazione della fauna e sia connesso al traffico internazionale sul mercato nero, le autorità sudafricane continuano a favorirne la crescita.
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