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Il Sudan vieta le mutilazioni genitali femminili. Per dare alle bambine un futuro diverso
Il Sudan ha finalmente vietato le mutilazioni genitali femminili, portando a termine uno sforzo decennale. Al momento quasi tutte le donne del paese sono vittime di questa pratica.
Anche il Sudan è in quarantena per fermare la diffusione del coronavirus. Nonostante l’emergenza, il governo non si è tirato indietro dal compiere un passo importante per salvaguardare i diritti delle donne e delle bambine vietando le mutilazioni genitali femminili (Mgf). Ora, grazie a un emendamento al codice penale, questa pratica sarà punita con fino a tre anni in carcere e penalità economiche. Così il paese dell’Africa nordorientale si aggiunge ad altri come la Somalia e la Nigeria che sono in prima linea per eliminare questa usanza.
La parità di genere in Sudan
Il Sudan è 166esimo su 187 paesi secondo la classifica della Nazioni unite che misura le disparità di genere in termini di accesso alla salute riproduttiva, rappresentazione politica, istruzione e occupazione. La scelta di bandire le Mgf, approvata dal consiglio dei ministri il 22 aprile, è un segnale della volontà delle forze politiche sudanesi di far fronte a questo divario. Ora manca solo il via libera del Consiglio sovrano a capo del governo di transizione che ha il compito di guidare il paese verso le elezioni e quindi la democrazia.
Tradizionalmente in Sudan le ragazze vengono “circoncise” in modo che possano sposarsi e per preservare l’onore di famiglia, una credenza diffusa anche in altri paesi in Africa, Asia e Medio Oriente. Ad avere subito la pratica sono nove donne sudanesi su dieci (l’87 per cento) secondo i dati di un sondaggio governativo del 2010 confermati anche dall’Unicef. A ragazze anche giovanissime, che hanno tra i cinque e i quindici anni, vengono rimossi gli organi genitali esterni e la ferita viene poi cucita attraverso un processo conosciuto come infibulazione: questo è il terzo tipo di Mgf secondo la classificazione dell’Organizzazione mondiale della sanità, che le divide in quattro categorie. Oltre ai gravi rischi per la salute, come infezioni e problemi durante il parto, non è da sottovalutare anche il profondo trauma psicologico che viene causato.
Oltre dieci anni per vietare le mutilazioni genitali femminili
La decisione di vietare questa pratica segue anni di campagne da parte di attivisti e organizzazioni che si battono per i diritti delle donne e delle bambine, tra cui l’Unicef, ed è “un enorme passo avanti per il Sudan e per il nuovo governo”, ha dichiarato Nimco Ali della Five Foundation, ong impegnata a contrastare le Mgf nel mondo. Già a partire dal 2008, sei su diciotto stati del paese avevano bandito l’usanza ma con scarsi risultati, e nel 2016 l’ex presidente Omar al-Bashir (deposto l’anno scorso dopo trent’anni al potere) aveva tentato di estendere questi provvedimenti a tutta la nazione ma senza successo a causa dell’opposizione delle élite religiose e conservatrici.
“C’è ancora molto da fare, ma questo è un buon inizio”, secondo Fatma Naib, responsabile comunicazione Unicef in Sudan, “è fondamentale ora assicurarsi che chi effettua le mutilazioni venga punito”. È probabile, infatti, che non basterà l’adozione della nuova legge per porre fine a questa usanza così radicata. A dimostrarlo è il caso dell’Egitto, uno dei paesi con il più alto tasso di Mgf, dove queste proseguono nonostante siano illegali, in un clima generale di impunità. Per fermarle, bisogna lavorare con le comunità perché “l’intenzione non è quella di criminalizzare i genitori, ma di informare i gruppi coinvolti – le ostetriche, il personale sanitario, le famiglie e i giovani – dell’adozione della legge e assicurarsi che l’accettino”, nelle parole di Abdullah Fadil, rappresentante Unicef in Sudan.
Thrilled that #Sudan has banned female genital mutilation. A hard-won victory in a country where an estimated 9 out of 10 women have been subjected to the harmful practice.
Thanks to all involved in this herculean effort. We will never give up!#EndFGM https://t.co/C2XvhEedm5 — Dr. Natalia Kanem (@Atayeshe) May 1, 2020
Le Mgf nel mondo e i passi avanti
Non bastano le parole, servono i fatti. Soprattutto se consideriamo che, mentre secondo le Nazioni Unite (Onu) sono 200 milioni le donne e le bambine nel mondo vittime di mutilazioni genitali, il numero potrebbe essere molto superiore. La stima infatti è basata sui dati di 31 paesi, di cui 27 africani, ma secondo un rapporto del 2018 sono più di 90 le nazioni in cui si registrano numeri significativi di casi di Mgf: non solo in Africa, Asia e Medio Oriente, ma anche in stati con comunità di migranti provenienti da queste zone in Europa, Nord America e America Latina.
Un altro studio evidenzia però anche risultati positivi come la riduzione del numero di donne soggette a Mgf in Africa orientale da oltre il 70 per cento nel 1995 all’8 per cento vent’anni dopo. C’è ancora molto da fare per eliminare questa pratica entro il 2030, uno dei traguardi dell’Obiettivo di sviluppo sostenibile dell’Onu numero cinque che punta al raggiungimento della parità di genere. È importante celebrare passi avanti come quello compiuto dal Sudan e continuare a fare campagna a livello internazionale attraverso iniziative come la giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili. Inoltre, è fondamentale riconoscere le storie di successo in paesi come il Senegal, l’Etiopia e il Kenya e applicare i loro principi in tutti quei contesti in cui le donne non sono ancora libere di scegliere come proteggere e valorizzare il loro corpo.
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