Con il voto favorevole alla Camera dei deputati il decreto carceri è legge. Ma la concretezza delle misure per ridurre la pressione sugli istituti penitenziari latita.
C’è un grave allarme suicidi nelle carceri italiane e nei Cpr
Nel 2024 già 16 suicidi nelle carceri, e anche un migrante si è tolto la vita nel Cpr di Ponte Galeria. Numeri che raccontano un’emergenza.
- Nello scorso weekend due detenuti suicidi nelle carceri di Montorio e Carinola: uno era un disabile.
- Nel Centro di permanenza per il rimpatrio di Ponte Galeria si è ucciso un 22enne della Guinea.
- Nel 2024 siamo a un suicidio ogni due giorni, numeri da record: un problema da affrontare con urgenza.
C’è un gravissimo allarme suicidi nelle carceri italiane, cui si somma la situazione dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), dove le condizioni di vita dei migranti “ospiti” sono se possibile ancora peggiori di quelle dei penitenziari. A evidenziare il dramma, quanto accaduto nella giornata di domenica, 4 febbraio, quando è stato necessario aggiornare le statistiche con la morte di un detenuto impiccatosi nella casa circondariale di Montorio, con quella di un detenuto disabile nel carcere di Carinola, a Caserta, e con quella di un ragazzo di appena 22 anni della Guinea, nel Cpr di Ponte Galeria, alle porte di Roma.
Tre casi drammatici che portano a 36 le morti avvenute in carcere dall’inizio del 2024, praticamente una al giorno, di cui 16 proprio a causa di suicidi, quasi uno ogni due giorni, secondo il conteggio aggiornato di Ristretti Orizzonti, la rete di associazioni che si occupa della tutela dei detenuti. Una proiezione da record, se è vero che nel 2022, anno che detiene finora il triste primato, i suicidi erano stati 84 (meno di uno ogni quattro giorni) e nel 2023 erano calati a 69. Comunque sempre tantissimi.
Suicidi anche nei Cpr, carceri per chi non ha fatto nulla
E poi c’è il caso tutto italiano dei Cpr, a tutti gli effetti strutture detentive appaltate a cooperative private, pressoché inaccessibili: possono entravi solo i parlamentari in missione, previo preavviso, e comunque ciò non ha impedito che venissero filmate condizioni di vita umilianti e degradanti. C’è di più: gli ospiti dei Cpr sono persone che non hanno commesso reati, semplicemente vi vengono parcheggiati in attesa di essere rispediti nel proprio paese di origine. Ma l’espulsione avviene in meno della metà dei casi, quelli per la quale esiste un accordo bilaterale tra l’Italia e il paese in questione. Nel caso della Guinea, questo accordo non esiste.
Sono circa 40, secondo la rete No Ai Cpr, i migranti suicidi all’interno di un centro dal 1998, l’anno di istituzione dei Centri di permanenza e rimpatrio per opera della legge Turco-Napolitano sull’immigrazione. Ousmane Sylla, 22 anni, è l’ultimo di loro: era nel Cpr di Ponte Galeria, ma non essendoci accordi di rimpatrio tra Italia e Guinea non poteva essere rimpatriato. E sarebbe potuto uscire già a metà maggio, se il governo con il cosiddetto decreto Cutro non avesse portato da 90 giorni a 18 mesi il tempo massimo di detenzione.
La questione del sovraffollamento
Tra le vittime delle carceri e dei Cpr ci sono persone di ogni età, nazionalità e reato commesso. Alcuni erano in attesa di giudizio, altri avevano già ricevuto una condanna definitiva. Alcuni erano malati psichiatrici, altri tossicodipendenti, altri ancora con depressione accertata clinicamente. Le cause di questa strage silenziosa sono molteplici e complesse. Tra queste, sicuramente, il sovraffollamento delle carceri, che ospitano oltre 60 mila detenuti a fronte di una capienza regolamentare di circa 47 mila posti. Una situazione che rende impossibile garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti, come la salute, l’igiene, l’educazione, il lavoro, il contatto con i familiari.. A questo si aggiunge la carenza di personale, sia tra gli agenti penitenziari che tra gli operatori sanitari e sociali, che non riescono a svolgere adeguatamente il loro ruolo di controllo, prevenzione e sostegno.
Di fronte a questo scenario drammatico, le reazioni da parte della politica e delle associazioni sono state diverse. Da una parte, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha definito i suicidi in carcere “una malattia ineliminabile“: parole gravi, che tra l’altro lasciano intendere una sorta di resa. In realtà, nel suo ultimo intervento alla Camera, Nordio qualcosa ha annunciato: un protocollo d’intesa con gli psicologi per l’osservazione dei detenuti più a rischio.
Le soluzioni però ci sarebbero, almeno a sentire le associazioni umanitarie che si occupano della privazione delle libertà. Per quanto riguarda i Cpr, aumenta sempre di più il coro di chi vorebbe la loro definitiva eliminazione: dal Centro Astalli a No ai Cpr, passando per Antigone e anche parte della politica. Per quanto riguarda le carceri, si scontrano due correnti politiche ben precise: chi punta su una depenalizzazione di alcuni reati minori (ad esempio quelle legate alle droghe leggere), chi sulla costruzione di nuove strutture, come la premier Giorgia Meloni. Nel mezzo, e sicuramente meno impattante, ci sarebbe un uso più massiccio del misure alternative al carcere: affidamento in prova ai servizi sociali, semilibertà, la detenzione domiciliare.
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