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Sulle tracce dei ghiacciai. L’ultima tappa in Patagonia si chiude in modo “splendido”
L’ultima tappa della quarta spedizione di Sulle tracce dei ghiacciai, in Patagonia, si chiude in modo splendido. Questo l’ultimo racconto del fotografo Fabiano Ventura.
Il 18 marzo partiamo da El Calafate, in Argentina, per raggiungere il team di ingegneri e geologi a Balmaceda in Cile per poi proseguire il giorno seguente con i fuoristrada verso la località da cui abbiamo raggiunto il ghiacciaio Exploradores per poter svolgere le attività scientifiche di monitoraggio. Il viaggio dura più di 36 ore, prima in bus poi in auto poi in nave e di nuovo in auto per proseguire poi con i fuoristrada.
Arrivati il giorno seguente al paese di Porto Rio Tranquillo, dopo aver percorso circa 200 chilometri sulla bellissima Carretera australe, ci mettiamo in contatto con il Consiglio dell’Ordine nazionale dei dottori agronomi e dei dottori forestali (Conaf) per il rilascio dei permessi scientifici.
Le attività previste sono molteplici, i glaciologi del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università statale di Milano vogliono determinare la velocità superficiale e i tassi di fusione del ghiacciaio Exploradores; mentre l’attività fotogrammetrica e geomatica, che abbiamo previsto con gli ingegneri del dipartimento di Ingegneria civile, edile e ambientale dell’Università La Sapienza di Roma, hanno lo scopo di realizzare un modello tridimensionale della fronte del ghiacciaio attraverso molteplici transetti fotografici georeferenziati e una post produzione con software specifici.
Dopo un po’ di burocrazia per la finalizzazione del permesso partiamo per il primo sopralluogo ma non appena iniziamo a lavorare sul campo una guida locale ci ferma per chiederci il permesso. La guida risulta molto simpatica e comprensiva e ci lascia lavorare nonostante non avessimo ancora il permesso ufficiale.
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A prima vista il ghiacciaio sembra molto esteso, le sue morene terminali, da cui avevo previsto la realizzazione della maggior parte dei transetti fotografici risultano a tratti pericolose per la loro instabilità e grande quantità di vegetazione. Il terzo giorno posizioniamo la stazione gps (global positioning system) per effettuare i primi test che risultano complicati per via del segnale non sempre presente. Ogni sera, tornati a casa, scarichiamo le fotografie e facciamo subito dei primi test di processing mettendo a dura prova i nostri computer.
I giorni successivi, forti dei primi risultati positivi, iniziamo a estendere il nostro raggio d’azione e ci avventuriamo con il machete alla mano scavando dei veri e propri tunnel nella fitta vegetazione. Arrivati alla base della morena centrale del ghiacciaio, pieni di tagli e lividi per via delle numerose cadute, decido di salire solo fino a metà pendio, anche se molto pericoloso, per via di possibili cadute di massi instabili. La sommità della morena è invasa da alberi molto alti che potrebbero coprire il gps dalla portata dei satelliti compromettendone la precisione.
Dopo una settimana di lavoro sul campo e di rendering infiniti arriva la prima bozza del modello. La qualità non è altissima, ma l’effetto nel vedere una massa glaciale così grande in versione digitale e 3D è veramente emozionante. La mia prima richiesta da fotografo e divulgatore è quella di poter aumentare la risoluzione e il realismo dei colori. I colleghi mi tranquillizzano subito confermandomi che una volta tornati in Italia è possibile migliorare i poligoni del modello con un effetto molto realistico.
Il mio pensiero, a quel punto, va alla possibilità di utilizzare questo modello 3D per una installazione video grazie alla quale mostrare il ghiacciaio in movimento agli studenti, con effetti interattivi, potendo così spiegare la sua complessa dinamica e l’importanza del loro monitoraggio per lo studio delle variazioni climatiche.
Da un punto di vista quantitativo invece il metodo fotogrammetrico diretto, in cui la maggior parte delle immagini viene georeferenziata con il gps, risulta subito efficace sia in termini di tempi, sia di organizzazione logistica. Il bello di questo nuovo metodo, infatti, oltre a essere molto preciso, è che non rende necessario l’utilizzo dei punti gps di riferimento sul ghiacciaio, permettendo così anche il monitoraggio su ghiacciai inaccessibili.
Durante gli ultimi giorni di attività sul ghiacciaio, oltre a terminare alcuni transetti fotografici, mi dedico a documentare il lavoro dei glaciologi. Queste, in particolare, servono per verificare l’ablazione superficiale del ghiacciaio. Inoltre, attraverso uno strumento specifico, abbiamo misurato il potere riflettente del ghiacciaio in funzione della quantità di detriti superficiali che lo ricoprono.
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Per alcune ore seguo l’interessante lavoro di Andrea Tamburini che con il laser scanner sta realizzando anche lui un modello 3D del ghiacciaio da confrontare con modelli precedenti realizzati nel 2012 e che metteremo a confronto anche con quello realizzato da noi con il metodo fotogrammetrico.
Per terminare la spedizione l’intero team decide di riunirsi per verificare e confrontare i dati presi sul campo e definire il lungo lavoro di analisi che si dovrà svolgere una volta tornati in Italia. Il bilancio risulta più che positivo, il tempo meteorologico, nonostante fossimo in Patagonia, regione conosciuta per le sue instabilità, ci ha regalato giornate splendide.
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