Svezia e Finlandia si accingono a formalizzare la loro richiesta di entrare nella Nato. Putin taglia l’erogazione elettrica, ma in gioco c’è molto di più.
Svezia e Finlandia hanno manifestato apertamente la volontà di entrare nella Nato.
Le due nazioni sono storicamente neutrali, anche se l’origine di tale scelta è profondamente diversa per Stoccolma e Helsinki.
L’ingresso nell’Alleanza atlantica rappresenterebbe la fine di un’epoca.
La Russia ha già minacciato rappresaglie.
Al di là della guerra in Ucraina c’è un “non detto”: gli interessi nell’Artico.
La guerra in Ucraina sembra essere sul punto di ridisegnare la diplomazia militare internazionale. Da alcuni giorni, infatti, la Svezia e la Finlandia hanno annunciato la volontà di entrare a far parte della Nato. Una decisione figlia delle crescenti tensioni geopolitiche nell’area ma che non si limiterebbe ad un mero allargamento dell’Alleanza atlantica a Est (fatto che già di per sé costituisce, di fatto un ulteriore passo nell’escalation avviata da Vladimir Putin alla fine di febbraio con la decisione di invadere). L’ingresso di Stoccolma e Helsinki nella Nato rappresenterebbe la fine di un’epoca. E, forse, anche un salto nel buio.
Finlandia e Svezia pronte a chiedere l’ingresso nella Nato
Sabato 14 maggio, in particolare, la Finlandia ha mosso un passo concreto verso l’organizzazione diretta da Jens Stoltenberg. La direzione del partito socialdemocratico della prima ministra Sanna Marin ha formalizzato infatti il proprio sostegno alla proposta, con 53 voti a favore, solo cinque contrari e due astenuti. La Svezia le ha fatto eco il giorno successivo. E, come era lecito attendersi, i paesi del G7 riuniti in Germania hanno riaffermato la volontà di isolare la Russia sulla scena internazionale.
Ufficialmente, la Finlandia ritiene che l’invasione dell’Ucraina rappresenti un precedente pericoloso per la propria sicurezza. Il paese, che condivide con la Russia 1.300 chilometri di frontiera, punta per questo alla tutela dell’articolo 5 del Trattato nordatlantico, secondo il quale se uno degli stati membri viene attaccato, è come se lo fosse l’intera alleanza.
Da parte sua, Mosca ha minacciato rappresaglie “tecnico-militari” di fronte al possibile ingresso di Helsinki nella Nato. E nella notte tra venerdì 13 e sabato 14 ha bloccato l’erogazione di energia elettrica verso la Finlandia (un approvvigionamento che, in ogni caso, rappresenta poco meno del 10 per cento dei consumi della nazione scandinava). Anche in questo caso, la situazione complessiva nello scacchiere dell’Europa orientale non fa altro che diventare più tesa e complessa.
Russian state TV on Finland/Sweden wanting to join Nato:“Their official reason is fear. But they’ll have more fear in Nato. When Nato bases appear in Sweden & Finland, Russia will have no choice but to neutralise the imbalance & new threat by deploying tactical nuclear weapons.” pic.twitter.com/lZ2dz0Q1oC
Il possibile ingresso della Finlandia e della Svezia nella Nato rappresenta dunque un ulteriore tassello nei sempre più incrinati rapporti tra la Russia e l’Occidente. Un passaggio che segnerebbe la fine di decenni di “neutralità” delle due nazioni. Il caso della Finlandia è in particolare emblematico, e necessita di un passo indietro fino alla Seconda guerra mondiale.
Al termine del conflitto, infatti, la posizione geografica del paese l’ha reso di fatto strategico. Un esercizio internazionale di realpolitik ne impose dunque una sorta di “neutralità obbligata”. Ne nacque perfino un neologismo: la “finlandizzazione”, sinonimo di un esercizio di pragmatismo politico figlio, allora, del recente passato e del presente. Alleata della Germania nazista durante la guerra, la Finlandia era stata annessa alla Russia imperiale fino alla rivoluzione bolscevica del 1917. Il 30 novembre 1939, inoltre, l’Unione sovietica tentò di invaderla.
In a remarkable turnaround, two Social Democrat prime ministers are set to lead Sweden and Finland into NATO — a development the parties have blocked for decades.https://t.co/WThtKOiv7b
Nel secondo dopoguerra, dunque, Helsinki poteva – per lo meno in linea teorica – temere un nuovo attacco da parte di Mosca, anche in funzione della galassia di nazioni che gravitavano attorno all’Urss nell’Europa orientale. Non fu il caso della Finlandia, che facendo leva sulla politica della “neutralità attiva” scelse di mantenere la propria autonomia, un sistema democratico e un’economia liberale. Con un governo, però, che escludeva le forze giudicate “anti-sovietica”.
La finlandizzazione e la caduta dell’Unione Sovietica
Anche il sistema dei mezzi d’infornazione era allineato, in questo senso, ed era raro ascoltare voci critiche nei confronti di Mosca. Negli anni Settanta, le copie del celebre saggio “Arcipelago Gulag” dello scrittore conservatore e anti-sovietico Aleksandr Solženicyn furono fatte stampare da un editore di Stoccolma. E faticarono a trovare spazio nelle librerie finlandesi.
All’inizio degli anni Novanta, con il crollo dell’Urss, cadde anche la finlandizzazione. E con essa, di fatto, la neutralità della nazione scandinava. A metà dello stesso decennio, Helsinki entrò inoltre nell’Unione europea, il che implicava l’adesione ad una clausola di difesa solidale tra le nazioni membri (ancorché meno stringente rispetto all’articolo 5 del Trattato nordatlantico). La neutralità “stricto sensu” della Finlandia, insomma, già non esiste più da decenni. Tanto più che, sempre negli anni Novanta, lo stato nordico aveva aderito al Parteneriato per la pace della Nato (Pfp), che puntava proprio ad un avvicinamento nei fatti. Basti pensare che ben quattordici nazioni che vi hanno partecipato sono in seguito entrati nella Nato.
Dal punto di vista della Svezia, invece, la neutralità è stata più figlia di una scelta ideologica, che perdura da quasi due secoli. L’adesione alla Nato rappresenterebbe dunque una svolta, che consentirebbe a Stoccolma di beneficiare dell’ombrello nucleare atlantico.
Il Baltico potrebbe diventare un “mar Nato”
Ciò che occorrerà comprendere è quali azioni concrete seguiranno l’eventuale ingresso delle due nazioni nell’Alleanza: quest’ultima deciderà di posizionare delle truppe sui loro territori (ed in particolare in Finlandia), come già fatto nel caso delle repubbliche baltiche? In tal caso, si concederebbe probabilmente a Vladimir Putin un ulteriore argomento per proclamare l’aggressione occidentale nei confronti della Russia.
Here is one thing #Putin may worry about: With Finland 🇫🇮 & Sweden 🇸🇪 becoming #NATO allies, the collective defense of the Baltic states will be much stronger. Control of the Baltic Sea will be a strategic game changer. pic.twitter.com/xw8SWkFsTj
Il rischio di un’ulteriore escalation non potrebbe in tal caso essere escluso, anche se un attacco alla Finlandia da parte della Russia appare improbabile. La nazione ha infatti un esercito di dimensioni modeste (20mila soldati) ma può contare su ben 900mila riservisti (su una popolazione di 5,5 milioni di abitanti). Il che rappresenta un deterrente. Ma, al contempo, anche una minaccia in più per Mosca, se tali truppe dovessero integrare le forze Nato.
Geograficamente, inoltre, il mar Baltico diventerebbe una sorta di “mar Nato”, con tutte le nazioni che vi affacciano integrate nell’alleanza (ad eccezione, ovviamente, della Russia). Il che assomiglierebbe ad una riedizione della “cortina di ferro” che per decenni divise in due l’Europa.
Il “non detto” dell’allargamento della Nato: il nodo dell’Artico
Ma c’è anche un “non detto” tra le conseguenze di un avvicinamento di Svezia e Finlandia nella Nato, e si chiama Artico. Il mare di Barents, infatti, a Nord della Finlandia e della Russia potrebbe rappresentare la possibile linea di un fronte. Soprattutto con la progressiva fusione dei ghiacci dipesa dai cambiamenti climatici, che di fatto sta facendo sentire più vulnerabili sia Mosca che l’Occidente.
Nell’area, non a caso, la presenza militare non smette di essere rafforzata. La Russia ha creato una marina artica ad hoc e sembra voler schierare alcuni missili ipersonici e testate nucleari nella zona. A fine marzo, la Nato ha organizzato una serie di manovre militari, con nome in codice “Cold response” (previste in ogni caso a prescindere dalla vicenda ucraina).
Gli interessi economici, le risorse naturali e le nuove rotte marittime
Ma non è tutto: a pesare sull’Artico sono anche gli interessi economici. Nell’area si stima sia conservato il 25 per cento delle riserve mondiali di fonti fossili, viste ancora come strategiche da numerose diplomazie, nonostante la crisi climatica in atto. Assieme ad altri minerali come oro, uranio, nickel e metalli rari. Senza dimenticare le risorse ittiche e le rotte marittime, con l’apertura del passaggio a Nordest, cruciale per i trasporti di merci poiché permette di evitare il canale di Suez per collegare Europa e Asia.
Proprio per evitare un’escalation nella zona, nel 1996 fu creato il Consiglio artico, al quale partecipano le diplomazie di otto nazioni: Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Stati Uniti e Svezia. Finora ha dato prova di efficacia e di capacità di protezione dell’area, in nome dell’interesse comune dell’umanità. Oggi, però, tutti i lavori sono sospesi sine die. In attesa di comprendere quale quadro geopolitico sorgerà in Europa al termine della guerra in Ucraina.
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