Quando hanno riconquistato l’Afghanistan il 15 agosto 2021, i talebani hanno promesso di rispettare i diritti delle donne.
Da allora, però, li hanno notevolmente limitati. D’ora in poi le donne afghane potranno viaggiare su strada per più di 72 chilometri solo se accompagnate da un parente maschio.
Sempre più isolato dalla comunità internazionale anche per via di questo atteggiamento di chiusura, l’Afghanistan è sull’orlo di una catastrofe umanitaria.
Quando hanno riconquistato l’Afghanistan il 15 agosto 2021, i talebani hanno assicurato che il loro governo “forte e inclusivo” avrebbe consentito alle donne di studiare e di lavorare. Cercando, in qualche modo, di segnare una cesura rispetto alle pesantissime restrizioni imposte dal precedente regime. A quattro mesi di distanza, tali rassicurazioni appaiono ben poco credibili. L’ennesima prova è arrivata quando, il 26 dicembre, l’esecutivo ha nuovamente privato le donne afghane di alcune loro libertà fondamentali. Come quella di viaggiare da sole.
Le nuove limitazioni imposte alle donne afghane
Il ministero per la Promozione della virtù e la prevenzione del vizio, spiega al Jazeera, ha fatto sapere che le donne afghane potranno viaggiare su strada per più di 72 chilometri solo se accompagnate da un parente maschio. Ciò significa – sottolinea all’agenzia di stampa Afp Heather Barr, co-direttrice per i diritti delle donne presso la ong Human rights watch – che, di fatto, le donne sono prigioniere. Non possono recarsi in un’altra città per lavoro, “né scappare se sono soggette a violenza domestica”.
I conducenti inoltre potranno farle salire a bordo solo se indosseranno il velo islamico. Non è stato precisato se basti lo hijab, un foulard su collo e capelli che lascia scoperto il viso, oppure se siano necessari il niqab, che copre il volto lasciando scoperti gli occhi e solitamente viene indossato sopra un lungo abito coprente (abaya), o il burqa, cioè la veste che copre interamente il corpo, con una rete all’altezza degli occhi. È vietato anche ascoltare musica durante i viaggi in auto. Già qualche settimana fa il ministero aveva chiesto alla televisione di stato di interrompere la trasmissione di telefilm e soap opera in cui comparivano attrici donne, e di imporre alle giornaliste televisive di indossare il velo.
L’Afghanistan sull’orlo di una crisi umanitaria
Quando i talebani hanno ripreso il potere dopo vent’anni, i finanziamenti internazionali sono stati sospesi e i beni depositati all’estero (soprattutto negli Stati Uniti) sono stati congelati. Se i talebani hanno cercato fin da subito di presentarsi sotto una veste più moderata è anche per conquistarsi la fiducia della comunità internazionale. Considerato che una delle condizioni essenziali poste per lo sblocco degli aiuti è proprio il rispetto dei diritti delle donne, tale prospettiva appare improbabile. E l’Afghanistan scivola sempre più verso una catastrofe umanitaria.
Afghanistan: 8.7 million people are on the brink of famine due to on-going conflict, drought and economic uncertainties.
Da un giorno all’altro, racconta il New York Times, le banche si sono trovate paralizzate, le organizzazioni umanitarie sono state costrette a fuggire, milioni di cittadini sono rimasti senza stipendio, il prezzo del cibo e di altri beni di prima necessità è schizzato alle stelle. Come se non bastasse, il paese è in preda alla peggiore ondata di siccità degli ultimi decenni, a tal punto che la produzione di grano di quest’anno sarà inferiore del 25 per cento rispetto alla media.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) e il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Wfp)stimano che già fra settembre e ottobre il 47 per cento della popolazione viva una situazione di insicurezza alimentare grave, una percentuale che potrebbe arrivare al 55 per cento tra novembre 2021 e marzo 2022. Il rischio – molto concreto – è dunque che 22,8 milioni di persone facciano fatica a nutrirsi adeguatamente. 8,7 milioni quelle che potrebbero finire nella morsa della fame.
Le bandiere dei talebani hanno ripreso a sventolare sull’Afghanistan e le donne stanno pagando il prezzo più caro. Il reportage a due anni di distanza.
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Dopo tredici anni di conflitto, la crisi umanitaria in Siria è una delle più gravi. Grazie anche al lavoro di WeWorld insieme alla cooperazione italiana, si cerca di dare strumenti agli studenti con disabilità per professionalizzarsi.
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