Sono arrivate lo scorso agosto nel porto di Taranto le prime torri che sosterranno i rotori delle dieci turbine eoliche che sorgeranno al largo delle coste tarantine. E a inizio febbraio sono stati completati i lavori per la messa in opera della prima turbina da 3 megawatt di potenza. Una volta completato l’impianto eolico offshore dovrebbe assicurare una produzione di oltre 58 mila MWh (megawattora), pari al fabbisogno annuo di circa 18mila famiglie residenti a Taranto.
Beleolico è il primo impianto offshore del paese che ha dovuto attendere ben 14 anni per vedere la luce: nato nel 2008 ha avuto l’autorizzazione unica nel 2013, mentre l’avvio del cantiere è di settembre 2021. Oggi secondo le previsioni potrebbe essere allacciato alla rete nazionale non prima dell’estate 2022. “L’operazione appena conclusa rappresenta il primo passo del nostro paese in un articolato percorso di transizione energetica, verso gli sfidanti obiettivi del nuovo Piano nazionale energetico (Pniec) che prevedono per l’Italia 114 GW di energia da fonti rinnovabili al 2030”, scrive la società. “Taranto diviene il centro di partenza dell’energia del futuro, pulita e sostenibile, grazie al vento e al mare”.
Non si vuole l’eolico, ma dobbiamo installare 7,5 GW l’anno di rinnovabili
Tutto bene quindi? Per niente. La stessa Renexia sta lavorando al primo impianto eolico galleggiante del Mediterraneo, il Med Wind, che dovrebbe sorgere a circa 60 chilometri al largo delle coste siciliane, evitandone quindi l’impatto visivo. Inoltre la tecnologia “floating” non comporta trivellazioni del fondale per il posizionamento delle turbine ma un sistema di ancoraggio meno invasivo per l’ecosistema. Se completato il parco conterà 190 pale, per una potenza complessiva di circa 2,8 GW, pari al fabbisogno energetico di 3,4 milioni di famiglie.
#GoodNews arrivate nel porto di Taranto le torri per realizzare il primo parco eolico offshore italiano di fronte al Porto e all'Ilva. A proposito di transizione ecologica, lavoro, industria e della strada da percorrere sempre più in fretta. pic.twitter.com/mr19BOUUbT
Il “se” è però d’obbligo, sopratutto quando si parla di eolico nel nostro paese. È di pochi giorni fa infatti la ferma presa di posizione da parte dell’assessore Alberto Samonà che esprimeva “la ferma contrarietà dell’assessorato regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana alla realizzazione di parchi eolici off shore al largo delle coste siciliane, laddove con l’installazione di questi vi possa essere un rischio, anche potenziale, per il patrimonio culturale e paesaggistico marino”.
Insomma tutti ne parlano ma nessuno lo vuole. Tanto che Terna in uno degli ultimi rapporti sul piano di sviluppo delle rinnovabili in Italia, mostrava che le richieste di connessione per gli impianti eolici offshore hanno avuto, a partire dal secondo semestre 2019, una forte accelerazione soprattutto nelle aree del Sud e delle isole. A fine 2020 risultavano infatti oltre 5.253 MW di richieste di connessione alla rete elettrica in alta tensione di taglia rilevante, alcune da elaborare e altre già accettate, in particolare in Emilia-Romagna, Puglia, Sardegna e Sicilia.
Secondo il Pnrr, per raggiungere gli obiettivi climatici al 2030 dovremmo installare 70 GW di potenza di energia elettrica da rinnovabili, ovvero circa il doppio delle centrali operative oggi, con un tasso di circa 7,5 GW l’anno. Quanto offshore è pienamente operativo ad oggi? Zero.
Reaching 2,000 GW of global installed #offshorewind capacity by 2050 is key to support a sustainable and prosperous future powered by reliable, affordable and indigenous #energy.
Il parco eolico offshore al largo delle coste salentine
Ma se quello al largo di Taranto è in fase di completamento, il parco eolico offshore Odra – che dovrebbe sorgere al largo delle coste pugliesi – è fermo al palo. Anche in questo caso si tratterebbe di impiegare la tecnologia galleggiante con 90 turbine eoliche e un investimento di 4 miliardi di euro, per una capacità massima installata prevista pari a circa 1,3 GW (gigawatt). Una volta entrato in funzione dovrebbe produrre circa 4 TWh (terawattora), pari al consumo di oltre un milione di utenze domestiche ed evitando l’immissione in atmosfera di oltre due milioni di tonnellate di CO2.
Ma il Comitato di tutela della Costa adriatica salentina, che vede almeno 74 sindaci e molti cittadini riuniti contro il progetto, ha levato gli scudi e si dice fermamente contrario. Le proteste hanno portato la società proprietaria del progetto a rivedere il posizionamento del parco, per ridurne l’impatto visivo. Infatti a seguito della prima fase di ascolto e dialogo con il territorio, la società ha deciso di allontanare le pale dalla costa. Queste, posizionate a una distanza che varierà da 12,8 a 24 chilometri, con un aumento del 30 per cento rispetto al progetto iniziale, saranno percepite da terra per un’altezza inferiore a 1,5 centimetri. Inoltre le turbine saranno orientate trasversalmente rispetto alla linea di costa, per permettere sia di intercettare al meglio i venti sia di ridurne ulteriormente la percezione visiva dalla costa. Ma nonostante l’intera riprogettazione il comitato ha confermato la propria posizione contraria.
Non v’è dubbio che la presenza di comitati locali sia fondamentale per garantire un processo democratico e trasparente, sia di accettazione che di realizzazione delle grandi opere. Solo in questo modo infatti si possono superare le divergenze e superare gli ostacoli, magari trovando soluzioni che appaghino entrambe le posizioni. Ma se la posizione rimane sempre e solo il “no” categorico, possiamo tranquillamente dire addio alla tanto agognata transizione energetica al grido di “not in my back yard”.
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