La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
Si è conclusa il 2 novembre la Cop16 sulla biodiversità, in Colombia. Nonostante le speranze, non arrivano grandi risultati. Ancora una volta.
Lo ha rivelato un nuovo studio internazionale che ha analizzato oltre cento esemplari provenienti da diverse aree trovando, in ognuno di essi, frammenti di plastica.
La plastica e, in particolare, le microplastiche rappresentano ormai tra le principali minacce per gli animali marini che muoiono ingerendo o restando intrappolate nei rifiuti. La plastica è presente in tutta la catena alimentare marina e rappresenta un serio rischio per oltre 800 specie, tra queste ci sono le tartarughe marine. Il problema è grave e, secondo un nuovo studio, riguarda tutte e sette le specie di tartaruga esistenti.
I ricercatori dell’università di Exeter e del Plymouth Marine Laboratory hanno analizzato centodue tartarughe marine provenienti dagli oceani Atlantico e Pacifico e dal mar Mediterraneo, rinvenendo microplastiche nell’intestino di ogni singolo animale. Lo studio ha esaminato tutte e sette le specie di tartaruga, ognuna delle quali è a rischio estinzione, ovvero la tartaruga liuto (Dermochelys coriacea), la tartaruga verde (Chelonia mydas), la tartaruga comune (Caretta caretta), la tartaruga embricata (Eretmochelys imbricata), la tartaruga di Kemp (Lepidochelys kempii), la tartaruga olivacea (Lepidochelys olivacea) e la tartaruga a dorso piatto (Natator depressus), constatando che la piaga della plastica affligge ognuna di loro.
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Lo studio, intitolato Microplastic ingestion ubiquitous in marine turtles e pubblicato sulla rivista Global change biology, ha evidenziato la presenza, in media, di 150 frammenti di plastica lunghi meno di mezzo centimetro in ogni animale (i ricercatori hanno però analizzato solo una parte dell’intestino di ciascun animale, quindi il numero totale di particelle è stimato essere circa 20 volte più alto). Nonostante i numeri usati per il campionamento siano esigui e non sia quindi possibile un accurato confronto fra le aree studiate, è emerso che le tartarughe che nuotano nel mar Mediterraneo sono quelle che contengono più plastica, in un esemplare ne sono stati trovati 500 frammenti.
Se l’ingestione di grandi quantità di plastica è immediatamente, o quasi, letale per le tartarughe marine, non è ancora noto l’effetto delle microplastiche su questi animali. “Grazie alle loro piccole dimensioni possono passare attraverso l’intestino senza causare un blocco, come spesso avviene con frammenti di plastica più grandi – ha spiegato l’autrice principale della ricerca, Emily Duncan del Center for ecology and conservation dell’università di Exeter. – Tuttavia le microplastiche possono contaminare gli animali con batteri o virus, oppure possono interessare la tartaruga a livello cellulare o subcellulare. Ciò richiede ulteriori indagini”.
“Nel corso degli anni abbiamo trovato microplastiche in quasi tutte le specie di animali marini che abbiamo studiato – ha affermato Penelope Lindeque, co-autrice del rapporto – dal minuscolo zooplancton fino ai delfini e ora tocca alle tartarughe. Questo studio fornisce ulteriori prove del fatto che tutti noi dobbiamo contribuire a ridurre la quantità di rifiuti plastici rilasciati nei mari e mantenere gli oceani puliti, sani e produttivi per le generazioni future”. I consumatori ricoprono un ruolo essenziale per arginare il problema della plastica, spetta però alle istituzioni frenare drasticamente la produzione di plastica usa e getta, per la salute di tutte le specie che dipendono da mari e oceani, compresa la nostra.
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