Nel report del VII Index Future Respect tutte le ombre e le luci dei report di sostenibilità. Ma tra i migliori spicca quello realizzato per Pizzoli.
Cos’è la tassa sulle transazioni finanziarie e perché ci farebbe molto comodo
La tassa sulle transazioni finanziarie consentirebbe di “recuperare” miliardi e miliardi dal mondo della finanza. Nonostante sia microscopica.
Dal 2007 il mondo intero è alle prese con una devastante crisi finanziaria che ha colpito praticamente ovunque. Forse non tutti ricordano che essa è nata dalle manovre spericolate di una lunga lista di banche, fondi d’investimento, compagnie d’assicurazione e altri soggetti del mondo della finanza. Da anni, di conseguenza, si discute sulle regole che occorre imporre al fine di impedire che certe pratiche ad alto rischio possano essere reiterate. Parlamenti e governi, però, spesso hanno dimostrato di faticare a trovare soluzioni: da una parte per le pressioni esercitate dalla lobby, dall’altra perché la finanza speculativa è talmente complessa e ramificata che il compito non è semplice.
Cosa si potrebbe fare, dunque? Una possibile soluzione si chiama tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf). L’idea nacque negli anni Settanta dall’allora premio Nobel James Tobin, che propose di applicare una piccolissima trattenuta su tutte le transazioni valutarie (il mercato dei cambi). A 40 anni di distanza, centinaia di attivisti in tutto il mondo chiedono di rilanciare il progetto, estendendolo a tutte le transazioni effettuate nel sistema finanziario. In quest’ultimo, infatti, gira talmente tanto denaro che anche una tassa microscopica (prossima allo zero per cento) consentirebbe agli stati – e dunque a tutti noi – di recuperare cifra astronomiche. Un piccolo “risarcimento”, dunque, per i danni subiti nell’ultimo decennio. Mikhail Maslennikov – policy advisor su giustizia fiscale e disuguaglianza economica presso Oxfam Italia, e co-coordinatore della campagna ZeroZeroCinque, da anni in prima linea nel chiedere di introdurre la tassa a livello europeo – ci aiuta a comprendere cos’è e come funzionerebbe la Ttf. E perché, per una volta, dovremmo gioire per l’introduzione di una nuova tassa.
Cos’è la tassa sulle transazioni finanziarie?
La Ttf rappresenta un prelievo fiscale ad un’aliquota estremamente ridotta, compresa fra lo 0,01 e lo 0,1 per cento (in funazione del tipo di “asset” finanziario tassato. Essa verrebbe applicata
ad ogni compravendita di titoli finanziari inclusi nella base imponibile della tassa: ad esempio azioni, titoli derivati, ecc. L’imposta rappresenta una variante moderna della Tobin Tax proposta nel 1972. È importante sottolineare che la tassa sarebbe limitata ai mercati finanziari. Il che significa che gli altri trasferimenti, come i pagamenti per beni e servizi, le prestazioni lavorative, le rimesse dei migranti, i prestiti interbancari e anche le operazione delle banche centrali sarebbero esclusi dalla Ttf.
Chi sta appoggiando il progetto in Europa e chi invece rema contro?
Dal 2013, dieci Paesi europei, tra cui l’Italia, sono coinvolti nel negoziato per l’introduzione di una Ttf europea, attraverso una “cooperazione rafforzata”. Si tratta di una procedura prevista dai trattati europei nei casi in cui non si raggiunga un consenso unanime da parte degli Stati membri (è il caso della tassa sulle transazioni, appoggiata appunto solo da dieci dei 28 paesi membri dell’Ue, ndr).
Lo scorso ottobre i dieci governi hanno raggiunto un accordo quadro sugli elementi base dell’architettura della Ttf. I tecnici sono ora al lavoro per trovare la quadra su alcune perplessità sorte all’ultimo minuto, a sospetta connotazione politica, sollevate in particolare dal Belgio.
Le preoccupazioni per un riposizionamento della Francia in seguito all’elezione di Emmanuel Macron sono state sopite dopo l’annuncio della volontà di Parigi di chiudere l’accordo entro l’estate del 2017. A sostenere la Ttf, che è stata definita la “tassa più popolare di sempre”, ci sono poi mille economisti (accademici e non), diversi esponenti del mondo della finanza, ma soprattutto oltre un milione di cittadini da tutto il mondo, firmatari nel 2015 della Robin Hood Tax Petition. Al contrario, tra gli oppositori più strenui della misura ci sono il più longevo e influente gruppo lobbystico europeo, Business Europe, e le federazioni bancarie europee.
Non c’è il rischio che, una volta introdotta la tassa, le transazioni verrebbero effettuate altrove e verrebbe dunque facilmente aggirata?
Come ogni imposta, anche la Ttf presenta rischi di evasione.
Per minimizzarne la portata, i dieci paesi del negoziato stanno considerando la possibilità di chiedere ad alcuni soggetti, le cosiddette controparti centrali, di “tenere traccia” dei versamenti dovuti e di agire come sostituti d’imposta. Per arginare invece potenziali abusi sui mercati finanziari fuori dall’area della cooperazione rafforzata (vista la natura extraterritoriale della tassa, ndr), i paesi del negoziato stanno rafforzando gli accordi sullo scambio automatico di informazioni in materia fiscale. In questo modo avrebbero a disposizione dati utili all’accertamento e alla riscossione della Ttf su compravendite soggette a tassazione ma effettuate altrove.
Perché la tassa sulle transazioni finanziarie può arginare anche la speculazione?
L’imposta sarebbe di fatto impercettibile per i risparmiatori che operano con un orizzonte di investimento di medio-lungo termine (su un investimento di diecimila euro potrebbe essere chiesto solo un euro di tassa, ndr). Ma il potenziale anti-speculativo sarebbe altissimo, perché si disincentiverebbe il cosiddetto “high-frequency trading” (le compravendite effettuate attraverso potenti computer, ndr) e le operazioni a brevissimo termine finalizzate a speculare sui margini garantiti dalle fluttuazioni infinitesimali dei prezzi dei titoli. In termini più semplici, ciò significa che chi specula comprando e vendendo titoli nell’arco di poche frazioni di secondo dovrebbe pagare la tassa per ciascuna di quelle transazioni. In questo senso, la tassa, pur senza essere la panacea di tutti i mali, rappresenterebbe uno strumento di straordinaria efficacia nel contrastare il “casinò finanziario” e per riportare la finanza al suo ruolo originario: non un fine in sé stesso per produrre denaro dal denaro nel più breve tempo possibile, ma un mezzo al servizio dell’economia e della società.
Quanto si potrebbe ricavare in Europa e come si potrebbe usare tale introito?
La Ttf presenta un ampio potenziale fiscale. Le stime del giugno 2016 della Commissione europea indicano come la tassa sia in grado di garantire un gettito di 22 miliardi di euro all’anno nei soli dieci paesi che si sono fatti avanti, secondo il disegno dell’imposta che si sta profilando. Per l’Italia, parliamo di una cifra compresa tra tre e sei miliardi di euro: lo ha confermato anche il prestigioso istituto di ricerca economica tedesco Diw, tenuto anche conto del calo dei volumi che la tassa potrebbe registrare.
Serve tassa su finanza, in Italia gettito 3-6 mld https://t.co/95QVWaNFgX via @Agenzia_Ansa pic.twitter.com/NLWq7DESv3
— ZeroZeroCinque (@ZeroZeroCinque) 24 marzo 2017
Si tratta di risorse considerevoli che la Campagna ZeroZeroCinque chiede da tempo di destinare alla lotta alla povertà in Italia, a programmi di solidarietà internazionale (educazione e salute globale) e al contrasto ai cambiamenti climatici.
E se invece fosse applicata in tutto il mondo esistono stime sul gettito?
Il gettito dipenderebbe chiaramente dall’ampiezza della base imponibile della tassa e dalle aliquote adottate. Secondo le stime dell’Istituto di Ricerca Economica (Wifo) di Vienna, prendendo la più ampia base imponibile possibile e un’aliquota uniforme dello 0,05 per cento, la tassa arriverebbe a raccogliere circa 650 miliardi di dollari su base annua.
Quali iniziative stanno portando avanti la campagna Zerozerocinque e quella internazionale per promuovere la tassa?
Siamo impegnati in questo periodo a monitorare da vicino la conclusione dei lavori negoziali, prestando particolare attenzione a eventuali tentativi dell’ultimo minuto finalizzati ad annacquare l’architettura dell’imposta. Insieme a oltre settemila organizzazioni della società civile internazionale, stiamo inoltre chiedendo ai leader del negoziato un pronunciamento pubblico sulla destinazione delle risorse raccolte a fini solidali e per progetti di cui possano beneficiare le fasce più vulnerabili della popolazione in Italia e nei paesi poveri.
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