Secondo il dossier Stop Pesticidi nel piatto 2025 di Legambiente, su 4.682 campioni di alimenti, il 48 per cento contiene residui di sostanze chimiche.
Utilizzando il tè in bustine di plastica finiamo per assumerne miliardi di particelle. Lo hanno rivelato ricercatori canadesi.
A chi non piace concedersi un tè quando le temperature cominciano a calare? Una tazza bollente che riscalda le mani, l’aroma legnoso, leggermente floreale, della bevanda cinese sono l’accompagnamento perfetto delle giornate autunnali. A rovinare l’idillio, però, arriva una recente scoperta: bevendo il tè in bustine di plastica, finiamo per assumerla.
Lo ha svelato un gruppo di ricercatori dell’università McGill di Montréal, in Canada, il cui studio è stato pubblicato sulla rivista Environmental science and technology. Gli scienziati hanno analizzato quattro tipi di bustine in polietilene o nylon attualmente presenti sul mercato: dopo averle private del contenuto e pulite, le hanno immerse in acqua alla temperatura di 95 gradi. Esaminando successivamente il contenuto di una tazza al microscopio hanno rinvenuto al suo interno 11,6 miliardi di microplastiche e 3,1 miliardi di nanoplastiche (le ultime hanno un diametro inferiore ai 100 nanometri). Non hanno avuto dubbi sul fatto che la plastica provenisse dalle bustine, avendo la loro stessa composizione.
Leggi anche: Cosa sono le microplastiche e perché fanno male alla salute umana e del Pianeta
Si tratta di percentuali elevatissime. “Un grammo di sale da tavola, che ha un’elevata concentrazione di plastica, ne contiene circa 0,005 microgrammi. Una tazza di tè in bustine di nylon, invece, può contenerne 16 microgrammi, una quantità migliaia di volte maggiore”, spiega Nathalie Tufenkji, alla guida del team. Oltre che nel sale da cucina, le microplastiche sono presenti anche nelle cozze, nelle meduse, nei gamberi e negli anemoni di mare, ma persino nella cacca, nei ghiacciai alpini e nel cielo, dove la trasportano gli insetti.
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Le conseguenze dell’assunzione di queste particelle da parte degli esseri umani non sono ancora note, ma s’ipotizza che possano interferire con il nostro sistema endocrino fino a produrre alterazioni genetiche. Gli studiosi della McGill hanno preso in esame la pulce d’acqua, un piccolissimo crostaceo, scoprendo che nel suo caso l’ingestione di plastica provoca ritardi nello sviluppo e squilibri comportamentali. Se vogliamo scansare ogni pericolo, quindi, meglio ricorrere al tè in foglie oppure ai filtri di carta, che peraltro sono riciclabili: anche le creature marine ci ringrazieranno.
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