Dalla sfida del coronavirus sono nate opportunità per usufruire della cultura online. Come musei, concerti e teatri arrivano direttamente alle persone.
Teatro delivery, il progetto che a Milano consegna il teatro a domicilio
In un momento di grande sofferenza per il teatro, questa iniziativa di resistenza culturale porta gli spettacoli nei cortili, nei parchi e negli spazi all’aperto. L’intervista alle fondatrici di Teatro delivery Milano.
Teatro delivery nasce a Milano come “atto di protesta”, come “forma di disobbedienza civile contro le misure prese dal Governo” sulla chiusura dei teatri, che già tentavano a fatica di risollevarsi dal primo lockdown e che invece sono stati nuovamente colpiti dal dpcm in vigore dal 26 ottobre 2020, che ne decretava la chiusura. Una decisione che ha e avrà delle pesanti conseguenze economiche su lavoratori, artisti, professionisti e sulla sopravvivenza delle attività stesse.
Cos’è Teatro delivery Milano
Ma come abbiamo potuto appurare in questi mesi difficili, piangersi addosso non porta a nulla, ciò che è fondamentale è la capacità di riadattarsi e reinventarsi. Ce l’hanno insegnato i bar e i ristoranti – tra i settori più colpiti da questa pandemia – che hanno esplorato soluzioni di consegne a domicilio. E ce lo dimostrano anche Marica Mastromarino e Roberta Paolini, le fondatrici di Teatro delivery Milano, che proprio all’offerta e alla terminologia dei ristoranti si ispirano.
“Vogliamo contestare questa idea che il teatro sia sacrificabile”, ci raccontano. “Ci siamo sentiti invisibili. Allora ci siamo dette: se un rider può consegnare il cibo a domicilio, perché non possiamo consegnare anche noi un bene che è altrettanto di prima necessità?”.
L’intervista alle fondatrici
Teatro delivery è un nuovo modo di fare teatro, che porta gli spettacoli nei cortili dei condomini, negli atri, nei parchi, negli spazi aperti o in qualsiasi luogo in cui sia possibile la realizzazione della performance in completa sicurezza per attori e loro committenti. C’è un menù variegato, adatto a grandi e piccini, da cui scegliere la “pietanza” più appetibile, per un ordine minimo di 20 euro. A quel punto basta comunicarla agli organizzatori, mettersi d’accordo sulle modalità di fruizione e godersi lo spettacolo.
Oltre a rendere quindi il teatro fruibile anche al di fuori dei suoi spazi tradizionali, questo nuovo format avvicina un pubblico che per ragioni culturali o economiche non era avvezzo a frequentare i teatri. In un certo senso gli restituisce quell’aura di popolarità che è andata via via perdendosi, anche a causa di prezzi sempre più proibitivi. Ma a raccontarci tutto su Teatro delivery, ci sono le fondatrici, Mastromarino e Paolini, che abbiamo intervistato in occasione della loro ultima performance.
Com’è nata l’idea di portare il teatro a domicilio?
Teatro Delivery prende spunto da un’idea di Ippolito Chiarello, che ha dato vita a un progetto che si chiama Barbonaggio teatrale, in cui faceva teatro in strada. Era un po’ una sfida, un atto poetico e politico quello di mettersi in strada con un piccolo palchetto in legno e un menù di pezzi da far scegliere al pubblico di passaggio. Nel periodo di lockdown ha dovuto interrompere anche lui l’attività e si è inventato questa forma di delivery.
Avevo sentito di questa sua iniziativa che ha aperto anche ad altri artisti, ne ho parlato con lui e abbiamo deciso di farla partire anche a Milano. Così ho sentito Marica e l’ho inclusa nel progetto. Al 4 di dicembre eravamo già pronte, la prima consegna ufficiale è stata il 6. Siamo riuscite a fare tutto in poco tempo, perché siamo partite da pezzi già nel nostro repertorio.
Cosa c’è nel menù?
Il menù teatrale è composto dalle nostre pietanze: c’è un menù bianco e uno rosso. Quello bianco sono i pezzi di Marica, che è composto da tre canti dell’Inferno di Dante e altri pezzi di repertorio. Io ho inserito tre dei quattro monologhi che compongono un mio spettacolo che si chiama “Ritratto di donne” e poi altri pezzi di repertorio. Poi abbiamo un menù speciale che è composto dal riadattamento del testo di Dario Fo, “La fame dello Zanni” e un testo che può proporre il committente.
In pratica chi ci chiama può chiederci di recitare una poesia specifica o di preparare un testo ad hoc, che a seconda dell’impegno e della lunghezza avrà prezzi diversi. “La fame dello Zanni” è un pezzo che nel primo lockdown io e Marica, con altri attori della Brigata Franca Rame, consegnavamo già insieme ai pacchi della spesa. Oltre ai pacchi alimentari volevamo portare queste pillole teatrali a domicilio. Così abbiamo preparato questo pezzo che poi abbiamo inserito anche nel nostro menù speciale.
Com’è stata la risposta del pubblico?
La risposta è stata abbastanza stupefacente. Il teatro come settore è stato – ed è tuttora – molto bistrattato. Non essendoci stata una rivolta popolare da parte di quelli che erano i fruitori principali, abbiamo dato il via a questa iniziativa con l’idea di vedere cosa sarebbe successo. E invece il pubblico è stato subito entusiasta, ci chiamano in molti.
Molti colleghi ci hanno prese ad esempio e stanno nascendo altre iniziative come questa: c’è chi si è unito alle Usca – le Unità speciali di continuità artistica – di Ippolito, come noi, e c’è chi lo ha fatto autonomamente. Le persone ci sono grate e noi siamo grate a loro. Che è anche il motivo per cui facciamo questo mestiere, per questo senso di comunità, perché abbiamo bisogno di parlare alle persone, abbiamo bisogno di comunicare. Molti fanno gli artisti per ricerca d’amore. Toglieteci questo e ci avete tolto la vita.
Com’è composto il pubblico che vi cerca?
Diciamo un 50 per cento più uno è composto dai bimbi. Ma ci sono anche molti adulti: ci sono stati regali di compleanno, regali di Natale, anniversari. Ora cominciano le richieste per San Valentino. Per una coppia Marica aveva fatto il canto quinto dell’Inferno.
Questo modo di fare teatro può avvicinare anche chi era meno avvezzo a frequentare i teatri?
Noi lo stiamo facendo anche per questo. Non è solo per il desiderio di riprendere il nostro lavoro, per la passione, per la poesia del mestiere ma proprio per ricontattare il pubblico e per dare la possibilità anche a chi non era abituato ad andare a teatro, sia per cultura sia per questioni economiche, di poterne usufruire.
Volevamo fare teatro con dei prezzi popolari che fossero accessibili un po’ a tutti, per far scoprire a chi non era abituato ad andarci che può essere bello, che si possono provare delle belle sensazioni, emozioni, e che si possono vedere spettacoli che fanno divertire e pensare; e a chi non ci andava per ragioni economiche che è possibile viversi un momento di magia, indipendentemente da quello che è il contesto in cui lo spettacolo si svolge.
Questo modo di fare teatro è una parentesi del periodo pandemico o potrà perdurare e affiancarsi alle modalità più tradizionali?
Ci stiamo pensando. Le Unità speciali di continuità artistica nascono apposta per dare continuità a questo mestiere dal momento della chiusura dei teatri alla loro riapertura. Però purtroppo non riapriranno tutti i teatri: gli spazi grandi, con sovvenzioni ai fondi Fus, avranno sicuramente subito grandi perdite per la chiusura ma avranno anche percepito tanti fondi. Gli spazi piccoli, quelli sotto i cento posti, invece non hanno preso quasi niente. Sarà difficile che questi riescano a riaprire.
Questo format aiuta anche a creare un senso di comunità, il teatro in cortile è nato prevalentemente questa estate e probabilmente continuerà a prolificare perché dà un senso del vicinato: la casa viene vissuta non solo come luogo per dormire ma anche come luogo di convivenza, di condivisione di momenti che siano anche artistici e di interazione. Non crediamo che il 5 marzo questa esperienza potrà smettere di essere. E poi sono nate Usca in tutta Italia. Questo per noi è un atto di protesta, una forma di disobbedienza civile contro le misure prese dal Governo. Stiamo contestando questa idea che il teatro sia sacrificabile. All’inizio ci siamo sentite invisibili. Allora ci siamo dette: se un rider può consegnare il cibo a domicilio, perché non possiamo consegnare anche noi un bene che è altrettanto di prima necessità?
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