I dati sulla temperatura media annuale di oltre 100mila comuni europei rivelano che negli ultimi cinquant’anni il Vecchio continente si sta riscaldando velocemente, raggiungendo valori mai registrati prima. Circa un terzo dei comuni tra gli anni Sessanta e oggi ha registrato un aumento medio della temperatura di 2 gradi centigradi (°C), con aree che hanno raggiunto picchi di 5°C, svela un recente studio del think tank europeoObct\European data journalism networke distribuito dall’iniziativa dei cittadini europei stopglobalwarming.eu.
Se da un lato sono soprattutto le capitali e le loro periferie a subire la crescita di calore causata in primo luogo dall’elevata urbanizzazione, dall’altra tale aumento ha colpito anche aree meno densamente antropizzate.
Ogni anno i ghiacciai perdono più neve di quanta ne accumulano
L’analisi dei dati mostra infatti che l’Islanda, termine derivante dal norreno, che significa proprio “terra ghiacciata”, ha registrato il più alto aumento della temperatura media (+3,43°C) dal 1960. Qui è stato monitorato il caso estremo del comune di Reykjanesbær, nel sudovest dell’isola, che ha visto un incremento straordinario di +5,8°C. Tale municipalità, una tra le più popolose dell’Islanda, conta una popolazione di circa 19mila abitanti e la presenza di un grande aeroporto nelle sue vicinanze; fattori che contribuiscono solo in parte al suo primato di comune più surriscaldato d’Europa.
Sulla base delle rilevazione effettuate dall’Icelandic metereological office, il servizio meteorologico nazionale islandese, anche agenzia governativa del Ministero dell’ambiente e delle risorse naturali, il bilancio di massa dei ghiacciai islandesi è negativo dal 1995. Ciò significa che ogni anno i ghiacciai perdono più neve di quanta riescono ad accumulare. A causa del riscaldamento delle temperature, infatti, hanno perso circa 250 km3 di ghiaccio dal 1995, il che corrisponde a circa 7 per cento del loro volume totale.
La temperatura media si alza soprattutto in Europa centrale
Subito dopo l’Islanda, i primi paesi che hanno segnalato un aumento eccezionale della temperatura media annua si trovano principalmente in Europa orientale: sono Lettonia (+2,96°C), Lituania (+2,75°C), Ungheria (+2,73°C), Regno Unito (+2,71°C), Slovacchia (+2,47°C) e Polonia (+2,38°C).
“Esistono dei processi che, innescando feedback positivi, possono amplificare localmente il riscaldamento: uno di questi, per esempio, è determinato dalla diminuita estensione del manto nevoso e, di conseguenza, nella perdita della sua albedo”, spiega Silvio Gualdi, senior scientist presso il Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc). L’albedo è il potere dato dalla bianchezza della neve di riflettere la radiazione solare: meno neve significa meno riflessione dei raggi solari e più calore. “Il suolo e la vegetazione lasciati scoperti assorbono infatti maggiore radiazione portando ad un aumento delle temperature. Meccanismi come questo possono spiegare come, ad esempio in Islanda e in altre aree solitamente interessate da precipitazioni nevose, il riscaldamento possa essere oggi così accentuato”.
Budapest è la città più colpita dal calore
Per quanto riguarda le città, invece, è la capitale ungherese, Budapest, a detenere il primato di centro maggiormente colpito dalle ondate di calore, tanto che, nel suo areale, le temperature medie sono aumentate di circa 4°C nell’ultimo decennio. András Lukács, presidente della ong Levegő Munkacsoport, racconta: “Qui l’asfalto e le auto sono ovunque. In alcuni quartieri c’è meno di un metro quadrato di aree verdi per abitante: a causa della speculazione immobiliare, infatti, molte aree verdi sono state trasformate in parcheggi, centri commerciali e strade più grandi”.
La situazione è la stessa anche per Riga (+4,39°C), Liverpool (+3,81°C) e Roma (+3,68°C), ma l’aumento di calore ha colpito anche centri minori come Oppland (+4,08°C) in Norvegia o la località sciistica di Ischgl (+3,82°C) in Austria o ancora il piccolo comune di Humppila (+3,87°C) in Finlandia. Il riscaldamento globale, in quanto tale quindi, non risparmia nessuno.
I fattori che portano all’aumento della temperatura
Come si può notare dai dati sopra riportati, l’aumento della temperatura media causato dai gas a effetto serra, come la CO2 e il metano, che l’umanità produce si estende a tutte le latitudini europee (e non solo), anche se, come spiega Gualdi “non c’è un meccanismo unico che possa spiegare lo straordinario aumento delle temperature per ogni spot considerato dallo studio. Ci sono, invece, una serie di fattori concomitanti, che vanno dal diminuito potere riflettente dell’albedo, al cambiamento nella distribuzione della precipitazione, che a sua volta, regolando l’umidità nel suolo, può influire sul riscaldamento dell’atmosfera sovrastante”.
La carbon tax può ridurre le emissioni di CO2
Per queste ragioni si sta sempre più diffondendo la convinzione che una tassa sull’anidride carbonica e sull’uso di combustibili fossili, la cosiddetta carbon tax, possa essere lo strumento più efficace per ridurre le emissioni. Ad oggi sono quindici gli stati europei che adottano una tassa sulle emissioni di CO2.
La Svezia applica l’aliquota più alta a 108,81 euro per tonnellata di emissioni di CO2, seguita da Svizzera e Liechtenstein (90,53 euro), Polonia e Ucraina si limitano rispettivamente a richiedere 0,09 e 0,37 euro per tonnellata emessa. È inoltre rilevante il fatto che le carbon tax possono essere applicate in modo indipendente a seconda del gas serra (anidride carbonica, metano, protossido di azoto e gas fluorurati).
Ogni singolo paese decide quanto debba essere onerosa la tassa da applicare all’interno dei suoi confini, dato che può scegliere quali gas serra sono oggetto della tassa. Se infatti in Spagna la carbon tax si applica esclusivamente ai gas fluorurati, coprendo il 3 per cento delle emissioni totali di gas serra del paese, in Norvegia, dove sono annoverati tutti i gas serra, tocca oltre il 60 per cento delle emissioni.
Nessuna risorsa è gratis, nemmeno in questa fase di aspettative di grandi fondi dall'UE. Rendere l'economia sostenibile in termini di degrado ambientale e uso delle risorse naturali richiede anzitutto che tutti noi siamo responsabilizzati.#HeyEUTAXCO2#StopGlobalWarmingpic.twitter.com/Qonl2zux2a
Una petizione per stabilire un prezzo minimo per la CO2
Un gruppo di politici, tra cui il radicale Marco Cappato, tramite lo strumento Iniziativa dei cittadini europei, che favorisce la democrazia partecipativa, ha lanciato nel settembre 2020 la petizione “Stop global warming”, che, rivolta alla Commissione europea, propone l’introduzione di un prezzo minimo per la CO2 emessa da tutti gli stati europei.
L’iniziativa punta a istituire un prezzo minimo di 50 euro per tonnellata di CO2 emessa dal 2020, fino ad arrivare a 100 euro nel 2025. A ciò si aggiungerebbero dei meccanismi di adeguamento alle frontiere, per cui il dazio sarebbe applicato ai prodotti importati dal resto del mondo in base al loro contenuto di CO2.
“Questo studio ha un contenuto comunicativo importante,” – conclude Silvio Gualdi – “perché molte persone credono che 1,5/2 gradi in più a scala globale non comportino grandi cambiamenti per il pianeta, mentre questo aumento può far si che in alcune aree piova al posto che nevicare. Può anche significare che i 2 gradi globali in più arrivino ad essere 5/6 in alcune aree circoscritte, alterazione che potrebbe provocare un cambiamento enorme e preoccupante per l’intera umanità”.
Dato quindi lo straordinario aumento di temperature causato dall’elevata concentrazione di CO2 in atmosfera, risulta fondamentale agire subito per frenare questo trend di crescita. È quindi auspicabile inserire una tassa sulle emissioni, proprio per sfavorire i comportamenti non sostenibili votati all’eccessivo consumo di fonti fossili.
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