La Thailandia traina l’emancipazione delle donne trans nel settore spaziale
L’Istituto nazionale di ricerca astronomica di Chiang Mai, Thailandia. Foto: Lucia Bellinello
A Chiang Mai si è tenuta una conferenza per dare maggior visibilità alla comunità trans e Lgbtq+ nei settori astronomico e spaziale. Ma intanto il governo boccia la proposta di legge sul riconoscimento e la tutela delle persone con identità di genere diverse.
L’Istituto nazionale di ricerca astronomica di Chiang Mai, Thailandia. Foto: Lucia Bellinello
Prima di salire sul palco Rynee si sistema la minigonna, sitiraun ciuffo di capelli dietro le orecchie e accende il microfono. Il silenzio in sala è interrotto solo dal ronzio dei condizionatori e dal fischio di un uccello tropicale proveniente da fuori. Rynee saluta il pubblico e inizia a parlare con la disinvoltura di chi è abituato a stare davanti a una platea piena. E non potrebbe essere diversamente: Rynee Fandora guida importanti progetti legati allo spazio nel suo Paese. È astronoma, Amministratrice delegata e fondatrice di una società che forma nuovi talenti per il settore. Per il ruolo che ricopre, può telefonare a qualsiasi alto funzionario a ogni ora del giorno e della notte. Ma nessuno nel suo paese d’origine sa che Fandora è una donna. Una donna trans. Perché nel suo Paese, le donne come lei finiscono male.
La comunità Lgbtq+ nello spazio
Fandora è tra i relatori di Building an inclusive astronomy community: an Lgbtqia+ meeting, uno dei primi convegni al mondo pensati per emancipare e promuovere le persone transgender e la comunità arcobaleno nel mondo lavorativo legato all’astronomia e allo spazio, che si è tenuta a febbraio 2024 all’Istituto nazionale di ricerca astronomica di Chiang Mai, nel nord della Thailandia.
Secondo alcune stime, più del 40 per cento delle persone gay, lesbiche e transgender che studiano o lavorano nei settori Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) nascondono la propria identità di genere perché le possibilità di fare carriera altrimenti sarebbero molto più limitate.
“Nessuno tra i colleghi e i dipendenti della mia azienda sa che sono qua: sarebbe troppo pericoloso per me, racconta Fandora. Ho capito che qualcosa dentro di me non coincideva all’epoca della scuola secondaria. Ci ho messo un po’ ad accettarlo e ho iniziato a essere realmente me stessa solo nel 2018. Ma sapendo cosa succede alle persone come me nel mio Paese, sono costretta a tenere un profilo basso. Noi donne trans ci sentiamo prigioniere a casa nostra”.
Su richiesta di Rynee Fandora, non nomineremo il suo paese d’origine: i rischi che corre sono troppi. Dove vive lei, chi ha rapporti carnali considerati “contro natura” va incontro a pene estremamente severe. Nonostante ciò, il desiderio di essere se stessa è talmente forte che qualche anno fa ha fatto coming out all’estero con i suoi colleghi stranieri. E adesso quando le capita di varcare la porta dell’Ufficio delle Nazioni unite per gli affari dello spazio extra-atmosferico, o di partecipare a conferenze internazionali, ci va in gonna e tacchi alti.
Nel suo Paese, invece, Fandora continua ad andare al lavoro vestita da uomo. Nessuno conosce la sua reale identità, se non una ristrettissima e fidata cerchia di amici. Quando finalmente arriva la sera e i suoi dipendenti escono dall’ufficio, Fandora si sfila la cravatta, indossa la minigonna e il rossetto. “È molto difficile essere me stessa, soprattutto vista la posizione lavorativa che ricopro, dice. Alcune mie amiche sono finite in grossi guai per essere trans”.
La tolleranza e le contraddizioni della Thailandia
Il fatto che questa conferenza si sia tenuta in Thailandia non è un caso. La Thailandia è considerata uno dei Paesi più “lgbtq+ friendly” al mondo. A tal punto che il dipartimento del Turismo ne ha fatto addirittura un’operazione di marketing, e ha lanciato GoThai.BeFree, un progetto che punta ad “accogliere con orgoglio sulle isole esotiche del sud e sulle lussureggianti colline del nord” proprio i turisti della comunità gay, lesbica, trans e bisex.
Si stima che in Thailandia ci sia la più alta percentuale di persone transgender al mondo, che secondo dati non ufficiali ma confermati da più fonti si aggirerebbe intorno alle 500-600mila persone. Nella cultura thailandese esiste addirittura una parola per indicare uno spettro molto ampio dell’identità di genere, “ladyboy” (kathoey), che fa riferimento alle donne transgender e agli uomini effeminati, fino alle persone intersex in generale.
Anche il livello di tolleranza, in Thailandia, è molto alto. Secondo un sondaggio condotto nel 2022 dall’Istituto nazionale per lo sviluppo dell’amministrazione (Nida Poll), più del 90 per cento dei thailandesi ha dichiarato di accettare la presenza di persone appartenenti al cosiddetto “terzo genere” nella propria cerchia di amici, sul luogo di lavoro e all’interno del proprio nucleo familiare. Una tolleranza le cui radici affondano in buona parte nella cultura buddista della società, che promuove il rispetto, la compassione e l’accettazione delle diversità.
Essere una persona transgender in Thailandia dunque non è un tabù. Ed essere accolti da una persona trans al ristorante o al supermercato è all’ordine del giorno. Ma come racconta Nikki Phinyapincha, 36 anni di Bangkok, una delle relatrici della conferenza di Chiang Mai, quelli appena indicati sono tra i pochi mestieri ai quali riescono ad accedere le donne trans thailandesi. “La comunità trans è molto mistificata, racconta Nikki. Ad esclusione dei settori del beauty, dello spettacolo e pochi altri, le porte del mondo del lavoro sono sbarrate. Secondo un sondaggio del 2018 realizzato dalla Banca centrale, il 77 per cento delle persone trans thailandesi viene scartato in fase di colloquio di lavoro non per mancanza di competenze, ma per la propria identità di genere: è il tasso di esclusione più alto se paragonato agli altri gruppi Lgbtq+ come i gay e le lesbiche”.
Laureata in lingua italiana con un master all’Università della Svizzera italiana, ex direttrice per la comunicazione strategica, Nikki ha fondato Trans Talent, un’agenzia di consulenza specializzata in diversità, equità e inclusione (Dei): un progetto che ha l’obiettivo di sviluppare la cultura dell’inclusione all’interno delle aziende, insieme a strategie per una crescita mirata e redditizia. “Le persone trans sono limitate non dalle loro capacità, ma dal semplice fatto di essere trans, racconta Nikki. È come se la gente non vedesse il lato professionale e credibile di noi, per non parlare dell’aspetto legislativo, che presenta ancora oggi grosse lacune”.
Bocciato il progetto di legge per la tutela delle persone con identità di genere diverse
In effetti, nonostante la diffusa tolleranza, la Thailandia ha appena perso una grande occasione per dimostrarsi un Paese pioniere sul fronte dei diritti della comunità trans: a fine febbraio 2024 il parlamento thailandese ha respinto un progetto di legge sul riconoscimento e la tutela delle persone con identità di genere diverse, un provvedimento che avrebbe permesso alle persone transgender e non binarie di cambiare il proprio nome e il sesso indicati sui documenti.
— Thailand Digest – News from the Land of Smiles (@thailanddigest) February 23, 2024
“Nonostante io sia ‘rinata’ ormai sei anni fa, sui documenti risulto ancora un uomo e per questo vengo spesso fermata, ad esempio al controllo passaporti in aeroporto, racconta Nikki. Per non parlare di quando prenoto una camera d’albergo, visto che viaggio per lavoro in tutto il mondo: pensano che vada lì a fare il mestiere più antico del mondo. Questo ci dà la misura di quanto la comunità trans sia stigmatizzata ancora oggi”.
Questi sono solo alcuni esempi di come, anche nella tollerante Thailandia, la strada verso la piena parità di diritti per le persone trans sia ancora lunga e in salita. Secondo Human Rights Watch, il fatto che non possano ottenere il riconoscimento legale della loro identità di genere le rende vulnerabili a varie forme di discriminazione.
Come si legge nel report “People can’t be fit into boxes”, le persone transgender in Thailandia godono di poche tutele legali. E quelle poche che ci sono, non sono pienamente applicate. L’assenza di un riconoscimento legale dell’identità di genere limita non solo l’accesso a vari servizi, ma espone queste persone a umiliazioni quotidiane: cercare lavoro e assistenza legale, accedere a servizi educativi e sanitari, acquistare e affittare una casa può diventare estremamente difficile. Oltre che umiliante.
La chirurgia di riaffermazione di genere in Thailandia
Eppure, nonostante tutte queste contraddizioni, la Thailandia è riconosciuta a livello internazionale anche per essere un centro all’avanguardia per la chirurgia di riaffermazione di genere e l’assistenza sanitaria transgender. La qualità del servizio sanitario e i costi più contenuti rispetto ad altri Paesi attirano ogni anno più di due milioni di pazienti, che arrivano da tutto il mondo per sottoporsi a interventi di vaginoplastica e falloplastica, solo per citarne alcuni. I prezzi per queste operazioni, secondo varie fonti, possono essere fino al cinquanta-sessanta per cento più bassi che in Occidente.
Anche se non esistono statistiche ufficiali, fonti vicine alla rappresentanza diplomatica stimano che nel 2023 “decine” di italiani siano volati nel “Paese del sorriso” per sottoporsi a questo tipo di operazioni. Solamente il Kamol Cosmetic Hospital di Bangkok ha operato circa quaranta pazienti provenienti dall’Italia. E a Bangkok, di cliniche così, se ne contano a decine.
Inoltre, la strategia del governo per promuovere il turismo medico, un settore che vale più di ottocento milioni di dollari, non fa che incentivare questa tendenza.
Ma una delle operatrici del Mit, Movimento identità trans, ha detto al telefono a Lifegate: “È importante ricordare che in Italia si ha la garanzia di seguire un percorso di accompagnamento alla transizione, cosa che all’estero non sempre avviene. Chi va in Thailandia per questo tipo di interventi, di solito lo fa per evitare i lunghi tempi di attesa che invece ci sono da noi. In Italia le spese per le operazioni di riassegnazione del sesso sono coperte dal Servizio sanitario nazionale ma le liste d’attesa possono durare addirittura due o tre anni”.
Il peso dei social network
In un mondo ancora oggi poco disposto ad accettare e a promuovere la diversità, i social network si rivelano a sorpresa un alleato fondamentale nella battaglia per l’uguaglianza: come hanno spiegato a Lifegate l’astronoma Rynee Fandora e la business woman Nikki Phinyapincha, i social possono fare da megafono e raccontare anche il lato meno conosciuto e stereotipato delle persone trans. LinkedIn, ad esempio, è diventato uno spazio più inclusivo, dove cercare lavoro e fare rete.
“I social network ci danno la possibilità di raccontarci meglio, ha spiegato Nikki Phinyapincha. Ma non è comunque sufficiente: per cambiare davvero le cose ed eliminare la discriminazione, è necessario collaborare con le persone. Bisogna promuovere una cultura dell’inclusione a partire dalle famiglie, dalle scuole, dai posti di lavoro, e avviare collaborazioni su più livelli all’interno e all’esterno della propria comunità, creando nuove alleanze per abbattere queste barriere diventate ormai sistemiche. Ad esempio, la leadership trans in ambito professionale è una nuova forma di narrazione che sto promuovendo, anche attraverso collaborazioni con il settore privato, per ampliare e consolidare la rappresentanza trans sui tavoli decisionali e all’interno delle organizzazioni: un modo per assicurare più sensibilità e inclusione”.
Con la conferenza “Building an inclusive astronomy community” a Chiang Mai si è provato a fare proprio questo, ad abbattere le barriere per un mondo più inclusivo, in tutti i settori. Lo ha detto anche l’astrofisico queer italiano Alfredo Carpineti, intervenuto in collegamento da Londra: “Gli scienziati sono persone, nessuno deve essere escluso, ha affermato. Spero che in futuro non ci sia più nessuno al mondo che abbia paura di essere se stesso”.
Rynee Fandora la paura l’ha sconfitta prendendo in mano il proprio destino e decidendo di essere se stessa. Un esempio di coraggio che può essere d’ispirazione per tante altre donne.
Drogata e stuprata per anni, Gisèle Pelicot ha trasformato il processo sulle violenze che ha subìto in un j’accuse “a una società machista e patriarcale che banalizza lo stupro”.
La scarcerazione di Narges Mohammadi è avvenuta per motivi di salute e durerà tre settimane. Cresce la pressione sul regime dell’Iran per renderla definitiva.
Migliaia di persone sono scese in strada contro la decisione del governo di sospendere i negoziati per l’adesione all’Unione europea fino al 2028. Violenta la reazione delle forze dell’ordine. La presidente della Georgia rifiuta di lasciare il mandato finché non verranno indette nuove elezioni.