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The Invisibles, il documentario sulle condizioni dei braccianti immigrati in Italia
“Senza dignità e diritti, il cibo è marcio”. L’ex bracciante e sindacalista Aboubakar Soumahoro mostra cosa c’è dietro la grande distribuzione, il vero datore di lavoro degli invisibili nei nostri campi.
In Italia ci sono più di 200mila immigrati senza documenti provenienti principalmente dall’Africa, che lavorano nei campi. Li chiamiamo braccianti o addirittura “paia di braccia”, come se fossero solo quello, un’espressione dispregiativa che spesso usiamo per prendere in giro amici scansafatiche. Ma non si imparano solo numeri e parole guardando The Invisibles, un breve documentario realizzato da Diana Ferrero e Carola Mamberto, prodotto e distribuito dalla piattaforma globale Doha Debates.
Il documentario The Invisibles
L’idea nasce dall’altra parte dell’oceano, a Washington, dove le due giornaliste vivono. Durante il lockdown che, poche settimane più tardi rispetto a noi, ha raggiunto anche l’America. Carola Mamberto sa che c’è una guida in Italia che fa per loro, a cui potersi appoggiare per raccontare le storie di chi lavora senza documenti in condizioni disumane e il distanziamento sociale non lo ha potuto sperimentare.
Si tratta di Aboubakar Soumahoro, prima bracciante, poi sindacalista italo-ivoriano, sbarcato sulle nostre coste nel 1999, sempre in prima fila per i diritti degli altri come quando il 5 luglio ha organizzato a Piazza San Giovanni a Roma gli Stati popolari per rendere finalmente visibili gli invisibili. A lui, che sa cosa significa spaccarsi la schiena per più di 14 ore al giorno e che da quell’inferno ha trovato la luce laureandosi in sociologia all’Università di Napoli, chiedono il permesso di poterlo seguire durante uno dei suoi viaggi nei campi per consegnare mascherine e cibo ai braccianti, e sarà Soumahoro stesso a girare i video con il suo telefono, come fa già con moltissimo seguito sui suoi social media. Ferrero e Mamberto rimangono a Washington a montare le immagini che lui e Sergio Grillo, videomaker del luogo, inviano loro, e a trovare parallelismi con un’America non molto differente.
Io da questa miseria ci sono nato. Ci sono nato in quanto bracciante e mi ci sono ritrovato nell’angolo dello sfruttamento e per uscire dall’angolo mi sono detto: non se ne viene fuori da solo. Bisogna condividere un sentimento che abbia al centro la riconquista del diritto di essere un essere umano, prima di essere un bracciante. Perché io non sono una merce.
Quando tutto si è fermato in Italia, loro si sono trasformati in lavoratori essenziali, ma l’assenza di documenti e l’isolamento li ha costretti a rimanere bloccati nei gruppi di tende che fanno loro da case, in mezzo allo sporco, ai rifiuti, in cui vengono abbandonati quotidianamente. Loro, gli invisibili, i dannati della terra – come li chiama Soumahoro, hanno dovuto fare i conti con la peggiore delle nemiche, la fame.
I dannati della terra
A Borgo Mezzanone, in Puglia, vivono e lavorano tremila braccianti in condizioni che potrebbero essere definite come schiavitù moderna. Qui Soumahoro arriva con generi alimentari che il governo non prevedere per loro: dal piccolo camion, i lavoratori scaricano casse di passata di pomodoro, mentre scherzano sul fatto che dentro quelle bottiglie di vetro ci siano gli stessi frutti che loro hanno raccolto, spaccandosi la schiena sotto il sole, per quattordici, a volte anche quindici ore. Poi diventano seri, in molti si fanno coraggio e sfogano tutta la loro rabbia davanti alla telecamera del sindacalista.
Raccontano di condizioni meteorologiche che non li possono fermare, di salario per ora che non supera mai i 4 euro, di contratti che non si vedono, di diritti che non esistono. Per il resto basta la voce fuori campo di Soumahoro, mentre le immagini di un mondo che facciamo finta di non vedere scorrono sui nostri schermi.
Il distanziamento sociale è un privilegio.
Qualcuno potrebbe obiettare che nel frattempo una piccola luce è stata accesa in mezzo a tutto quel buio, grazie alla regolarizzazione di alcuni lavoratori inserita nel decreto Rilancio del 13 maggio, quella delle lacrime del ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Teresa Bellanova, quella che ha riportato a galla un odio anti immigrati che non riusciamo a scrollarci di dosso. Ma la verità è che non è cambiato molto.
Il decreto dovrebbe permettere a migliaia di lavoratori senza documenti di avere permessi di lavoro temporanei, ma Soumahoro racconta che gli sportelli hanno già annunciato che il 90 per cento dei braccianti saranno esclusi dalla regolarizzazione e altri attivisti hanno espresso aspre critiche nei confronti di una decisione che vedono solo come una toppa ad una situazione ben più profonda. Se Ferrero e Mamberto potessero tornare in quei luoghi, troverebbero esattamente ciò che hanno raccontato nel loro breve documentario.
Liberate tutti i braccianti, italiani e non, dallo strapotere delle catene della grande distribuzione organizzata, se volete veramente combattere lo sfruttamento e il caporalato. Abbiate l’audacia di regolarizzare le persone, non per utilità di mercato, ma semplicemente perché sono degli esseri umani.
Il vero motore del cambiamento sta nel fare un passo indietro, nel guardare un quadro più ampio e non riempirci la bocca soltanto di parole come “agromafia” o “caporalato”, fenomeni che sì esistono ma, che come dice Soumahoro, non sono altro che singoli alberi all’interno di una foresta del mondo agricolo. Perché quella stessa foresta appartiene alla grande distribuzione organizzata, il vero datore di lavoro delle migliaia di invisibili nei nostri campi, colei che impone prezzi bassissimi ai contadini che a loro volta non possono far altro che schiacciare i braccianti.
Non è solo l’odio, il pregiudizio, che dobbiamo lasciare andare, ma anche la nostra posizione distaccata da un mondo mosso solo dal profitto. Loro lo dicono meglio di chiunque altro, in coro, più volte nel corso del documentario: siamo esseri umani, non braccia.
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