Nella regione del Sahel, sconvolta da conflitti inter comunitari e dai gruppi jihadisti, 29 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria.
Vita di strada, con una pennellata si colorano i pensieri
“Vorrei poter immaginare come vive, cosa pensa al mattino quando si alza, cosa cerca quando vaga per le strade di questa città, perché è qui con noi oggi”. La vita quotidiana di uno dei ragazzi di Carnival! Nairobi, raccontata durante un workshop a Mtindwa.
Il ragazzo si fa chiamare The Sun se c’è il sole, The Rain se sta piovendo.
È seduto a terra e tiene davanti a sé un piccolo modellino di cartone, si sta costruendo una casa in miniatura con una cura che farebbe invidia anche a mia sorella, l’architetto di famiglia.
Mi siedo accanto a lui, vedo il muro che circonda il compound della sua piccola casa e gli chiedo se abbia intenzione di mettere un cancello da qualche parte, lui mi guarda di soppiatto serio e con un pezzo di scotch in bocca mi fa segno con la mano di avere pazienza – si sta concentrando sulla cucina esterna.
Approfitto del silenzio che stranamente ci circonda – tutti gli altri ragazzi sono impegnati a pitturare su due lenzuoli colorati, che presto diventeranno i fianchi di un matatu, che presto diventeranno un carro di carnevale – per cercare di capire questo ragazzo che mi siede accanto, vorrei poter immaginare come vive, cosa pensa al mattino quando si alza, cosa cerca quando vaga per le strade di questa città, perché è qui con noi oggi.
The Sun risponde ad ogni mia domanda con grande gentilezza, continuando a lavorare alla sua piccola casa, mentre apre un cancello nel muro e con lo scotch di carta prova a tenere ogni cosa su dritta come si deve.
Mi racconta che casa sua non è lontana dal luogo in cui ci troviamo, vive solo perché è orfano e i suoi fratelli sono in una casa di accoglienza e lui non li vede praticamente mai. È il primo di quattro tra fratelli e sorelle, gli altri vanno ancora tutti a scuola. Dice di avere circa 24 anni, è molto alto e uno dei più seri del gruppo – anche uno dei meno seriosi, ci accoglie sempre con grandi sorrisi e ci dà sempre una mano a gestire i ragazzi più esuberanti.
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– “E cosa fai al mattino, dopo esserti alzato?”
– “Cerco dei lavoretti in giro in modo da guadagnare qualcosa. Oppure raccolgo plastica e ferro, che poi rivendo in un posto poco lontano da qui. Un chilo di plastica vale 15 scellini, un chilo di ferro ben 30 scellini. Al giorno in media riesco a raccogliere circa 200 scellini (circa 1,50 euro), 100 li metto da parte e con il resto mi compro qualcosa da mangiare. L’affitto a fine mese mi costa 1.800 scellini, per cui me la cavo bene”.
Mentre mi parla continua la costruzione precisa e dettagliata della sua abitazione e di tanto in tanto si porta alla bocca questo panno intriso di benzina – un tipo di droga che usano tantissime persone che vivono nelle strade di Nairobi, ti stordisce e rallenta i tuoi movimenti e a lungo andare diventa difficile seguire i discorsi della gente e restare concentrato su qualcosa.
Gli chiedo perché ne faccia uso, e lui mi risponde tranquillo: “Per diminuire i miei pensieri”.
Mi spiega che senza questa droga la sua testa sarebbe troppo piena: “Non ho genitori, non ho famiglia, vivo come posso, se mi fermassi davvero ad ascoltare la mia mente non so come potrei sopravvivere”.
Alzo lo sguardo, gli altri ora non usano più i pennelli pieni di colore sui lenzuoli ma su loro stessi, per pitturarsi la faccia e il corpo, così attorno a me ora c’è un tipo con la faccia verde, uno con la faccia rosa, un altro color arcobaleno. Altri ragazzi del gruppo stanno utilizzando la pittura per scrivere il proprio nome sulle loro felpe, o per dare un tocco di colore ai loro jeans troppo monotoni.
Poi tutti insieme alzano i due lenzuoli e cominciano a correre nel campo immaginando di essere dentro ad un matatu con la musica alta, cantano e danzano mentre io li osservo incantata.
Dopo tiriamo fuori un pallone, e ci buttiamo tutti a giocare dimenticandoci chi siamo, perché siamo lì, e tutti i pensieri che affollano la nostra mente.
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