Typhoon Haishen pic.twitter.com/TbnlJC7taw
— Chris Cassidy (@Astro_SEAL) September 6, 2020
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I tifoni diventeranno più intensi a causa del riscaldamento globale, ma il Giappone deve fare di più per prepararsi a questa tempesta perfetta.
Non ci sono stati cambiamenti significativi nel numero di tifoni nell’oceano Pacifico nordoccidentale negli ultimi settant’anni, cioè da quando sono disponibili dati affidabili.
“Il numero annuale di tifoni, anche di quelli forti, che si sono formati e che si sono mossi verso il Giappone non dimostra una tendenza statisticamente significativa nel periodo tra il 1951 e il 2019.”
Le parole precise, misurate di Atsushi Goto, esperto climatico dell’Agenzia meteorologica giapponese (Jma) potrebbero risultare sorprendenti, soprattutto in luce dei disastri causati recentemente da Maysak e Haishen, due tifoni che si sono verificati a soli pochi giorni di distanza. “Ci aspettiamo però un aumento dell’intensità di questi fenomeni a causa dei cambiamenti climatici”, aggiunge Goto. Se finora la stagione dei tifoni in Giappone, concentrata nei mesi di agosto e settembre, non è cambiata in modo significativo, le nubi nere all’orizzonte sono più minacciose di prima.
Tifoni, uragani e cicloni sono nomi diversi per lo stesso fenomeno meteorologico, chiamato scientificamente ciclone tropicale. Nasce, appunto, ai tropici: l’aria calda sale dagli oceani e risulta nella formazione di nuvole e venti che, alimentati dal calore degli oceani e dall’evaporazione dell’acqua, sfociano nelle tempeste più violente sulla Terra.
Queste vengono considerate cicloni tropicali quando i venti raggiungono 119 chilometri orari e cambiano nome in base alla loro posizione geografica. I tifoni riguardano la regione dell’oceano Pacifico nordoccidentale e si abbattono su Giappone, Corea del Sud e del Nord, Cina, Taiwan, Malesia, Singapore, Filippine, Tailandia, Laos, Cambogia e Vietnam.
Il primo utilizzo della parola inglese “typhoon” risale al 1588, e si pensa che il termine derivi da quello cinese tai fung e quello indostano ṭūfān, che a sua volta viene dalla parola persiana per tempesta. I tifoni sono fenomeni frequenti, con cui storicamente le popolazioni del sudest asiatico e dell’Asia orientale hanno imparato a convivere. Ma le cose stanno cambiando.
Il 3 settembre scorso Maysak si è abbattuto sulla Corea del Sud, dove due persone sono morte, dopo avere causato diversi feriti sull’isola giapponese di Kyushu e, più a sud, il naufragio di una nave cargo con a bordo 43 persone (di cui tre sono state salvate) e quasi 6mila capi di bestiame. Haishen invece ha raggiunto la terraferma, sempre in Corea del Sud, il 7 settembre, lasciando una scia di distruzione in Giappone: due morti, quattro scomparsi, centinaia di feriti e due milioni di persone evacuate. Il fatto che questi cicloni tropicali si siano verificati a soli pochi giorni di distanza “è un caso raro, ma non è la prima volta”, spiega Goto.
I danni causati impallidiscono però di fronte a quelli di Hagibis a ottobre 2019, uno dei tifoni più forti a colpire il Giappone in decenni che ha causato un centinaio di morti, una decina di milioni di euro in danni e l’interruzione dei campionati mondiali di rugby. Ancora oggi le ferite lasciate dalla tempesta sono visibili in molte parti del paese. Il fatto che il ciclone tropicale si sia verificato a ottobre non è anomalo, “statisticamente avviene una volta ogni cinque anni”, contestualizza Goto, ma “ha causato allagamenti molto gravi; non mi sarei mai aspettato che il paese, soprattutto la parte est, potesse subire tali danni. Di solito quando i tifoni si avvicinano al Giappone orientale si stanno già indebolendo. Hagibis, invece, ha mantenuto la sua intensità”.
“La fonte di energia dei cicloni tropicali è il vapore nell’atmosfera”, spiega Goto, che coordina le attività di cooperazione internazionale della divisione dedicata alle previsioni climatiche del Tokyo Climate Center, il braccio internazionale della Jma e uno dei Centri meteorologici regionali dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm). “Quando il vapore diventa nuvole e pioggia, rilascia calore, che a sua volta alimenta il movimento rotatorio dei cicloni. Un’atmosfera più calda può contenere più vapore e questo è uno dei meccanismi per cui prevediamo che i cicloni tropicali si intensificheranno a causa del riscaldamento globale”.
Intanto, le temperature si stanno già alzando. Questo agosto quelle della superficie degli oceani a sud del Giappone sono state ben al di sopra della media secondo la Jma. Per quanto riguarda le temperature terrestri, la media nazionale è aumentata a un tasso di 1,24 gradi centigradi per secolo, cioè al di sopra di quella globale. Non solo. Dagli anni Settanta a oggi, “c’è stato un incremento significativo nel numero di giorni in un anno con più di 200 millimetri di pioggia, che crediamo continuerà ad aumentare”, spiega Goto. “D’altro canto, il numero totale di giorni di pioggia è diminuito, che implica un rischio maggiore di siccità, frane e allagamenti”.
Il Giappone è particolarmente soggetto a calamità naturali; tifoni, piogge torrenziali, dissesto idrogeologico, ma non solo. Basti pensare che esiste un ministero giapponese per la gestione dei disastri. Resta però da capire se la tenacia e la capacità della sua gente di rialzarsi anche di fronte alle catastrofi, da cui nascono diversi concetti di resilienza caratteristici della sua cultura, si traducono anche in resilienza ai cambiamenti climatici.
Soprattutto a partire dalla metà del secolo scorso, quando un violento tifone uccise più di mille persone nel 1958, il paese ha intrapreso grandi opere per fare fronte alla vulnerabilità del territorio, ad esempio investendo miliardi di euro per controllare il flusso di praticamente tutti i suoi fiumi e quindi ridurre l’impatto degli allagamenti. “Ma la nostra infrastruttura è basata sulle statistiche sulle precipitazioni del passato: questo non ci permette di adattarci ai cambiamenti climatici che verranno”, spiega Goto.
Benché il governo sia impegnato in una ricerca su come costruire nuove infrastrutture basandosi sulle previsioni future, l’ingegneria non può essere la risposta a tutto. Lo dimostra l’inefficacia degli argini artificiali nel contenere lo straripamento dei fiumi causato dalle precipitazioni record del tifone Hagibis (ad esempio, quasi 90 centimetri di pioggia sono caduti in 24 ore nella località di Hakone, a sudovest di Tokyo). L’unica vera soluzione sta nell’affrontare le cause dell’intensificarsi degli eventi meteorologici estremi. “Il Giappone non sta facendo abbastanza per mitigare i cambiamenti climatici”, secondo Goto. Ad esempio, il paese non ha ancora rafforzato i suoi Contributi nazionali volontari (Ndc) per la riduzione delle emissioni, nonostante tutti i paesi siano chiamati a farlo per rispettare gli impegni dell’Accordo di Parigi.
“Le persone in Giappone sono sempre più coscienti dei rischi legati ai cambiamenti climatici, ma questo non si è necessariamente tradotto in un cambio di stile di vita. Attraverso il mio lavoro vorrei fare da ponte tra la consapevolezza e l’azione”, dice Goto. Di fronte alla crisi climatica, lo scienziato non può rimanere neutrale. “Sono preoccupato”, confessa. “Secondo la Jma, la frequenza delle precipitazioni violente nel paese potrebbe raddoppiare entro la fine del secolo. Spero che le nostre previsioni siano sbagliate e che potremo invece riscrivere il futuro. Per questo continuerò a studiare i cambiamenti climatici”. Ma non basta. Sta poi ai cittadini e alle istituzioni agire sulla base delle osservazioni e delle analisi di Goto, e di tutti gli altri scienziati che come lui stanno suonando il campanello d’allarme.
Formazione | Spostamento | Landfall | |
---|---|---|---|
Gennaio | 0,3 | - | - |
Febbraio | 0,1 | - | - |
Marzo | 0,3 | - | - |
Aprile | 0,6 | 0,2 | - |
Maggio | 1,1 | 0,6 | 0,0 |
Giugno | 1,7 | 0,8 | 0,2 |
Luglio | 3,6 | 2,1 | 0,5 |
Agosto | 5,9 | 3,4 | 0,9 |
Settembre | 4,8 | 2,9 | 0,8 |
Ottobre | 3,6 | 1,5 | 0,2 |
Novembre | 2,3 | 0,6 | 0,0 |
Dicembre | 1,2 | 0,1 | - |
Totale annuale | 25,6 | 11,4 | 2,7 |
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