Tigray. Commessi pulizia etnica e crimini contro l’umanità durante la guerra

Un rapporto di Amnesty International e Human Rights Watch accusa le forze di sicurezza regionali di aver commesso atti brutali contro i civili nel Tigray.

  • Le due organizzazioni non governative hanno raccolto prove di stupri di gruppo, sequestri, riduzione in schiavitù sessuale e molto altro.
  • Il rapporto accusa il governo di Addis Abeba di aver permesso tutto questo, ignorando le denunce sui crimini commessi dai soldati.
  • A fine marzo il presidente etiope Abiy Ahmed Ali e il Tigray people’s liberation front si sono accordati per una tregua dal conflitto.

Pulizia etnica, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Ecco cosa è successo contro la popolazione del Tigray, in Etiopia, secondo un nuovo rapporto redatto congiuntamente dalle organizzazioni non governative Amnesty International e Human Rights Watch.

I responsabili sono le forze di sicurezza regionali e le autorità imposte nella regione dal governo di Addis Abeba, che hanno perpetrato abusi sui civili tigrini per mesi, a partire dalla guerra scoppiata nel novembre 2020. In passato le medesime accuse erano state sollevate anche da stati stranieri, come gli Stati Uniti.

A che punto è la guerra in Tigray

La guerra in Tigray è scoppiata nel novembre 2020 ma si inserisce in lotte di potere tra il governo del presidente (premio Nobel per la pace 2019) Abiy Ahmed Ali e il Tigray people’s liberation front (Tplf).

Quest’ultimo nel 2019 non ha accettato di entrare a far parte del Partito della Prosperità voluto dal presidente, che riuniva la gran parte delle 80 etnie del paese: per il Tplf parteciparvi significava infatti far perdere potere e rappresentanza alla minoranza tigrina. Quando nel 2020 il presidente ha annullato le elezioni nazionali con la motivazione delle restrizioni del Covid-19, il Tplf ha organizzato autonomamente un voto nel Tigray e questo ha fatto precipitare i rapporti con Addis Abeba.

La mappa dell'Etiopia. Il Tigray è la regione nell'estremità settentrionale del paese
La mappa dell’Etiopia. Il Tigray è la regione nell’estremità settentrionale del paese © Wikimedia

Dopo alcune scaramucce il 4 novembre 2020 aerei da combattimento dell’esercito etiope hanno bombardato il Tigray, mentre le truppe sono avanzate nella regione. Ci sono stati violenti scontri e nei giorni successivi le forze del Tplf hanno lanciato razzi contro alcune postazioni della vicina regione Amhara, le cui forze stanno combattendo al fianco dell’esercito centrale, e contro Asmara, la capitale dell’Eritrea, accusata di stare aiutando militarmente l’esercito etiope. Intanto l’esercito di Abiy Ahmed Ali ha proseguito la sua offensiva, con la situazione nella regione che è precipatata anche da un punto di vista umanitario.

Il 24 marzo scorso il presidente Abiy Ahmed Ali ha annunciato una tregua unilaterale immediata, per permettere l’arrivo degli aiuti nel territorio del conflitto. La tregua è stata accolta nel giro di poche ore dal Tigray people’s liberation front, riportando almeno per il momento la pace in una regione martoriata. Una svolta che in parte era nell’aria, visto che già alla fine del 2021 il governo di Addis Abeba aveva ordinato alle sue truppe di bloccare l’avanzata nel Tigray, per quanto poi la revoca dello stato di emergenza sembrava potesse essere il preludio a una nuova offensiva.

La denuncia di crimini contro l’umanità

In 16 mesi la guerra e i suoi effetti più o meno diretti hanno causato circa 500mila morti, 5 milioni di persone oggi soffrono la fame e altri milioni sono sfollati. Le organizzazioni non governative e i civili da tempo denunciano i massacri avvenuti nell’area e nelle scorse ore è uscito il documento più completo al riguardo.

Si chiama “Vi cancelleremo da questa terra” il rapporto sul Tigray a cui hanno lavorato insieme Amnesty International e Human Rights Watch. Dentro c’è il risultato di interviste svolte in oltre 15 mesi a più di 400 persone, tanto testimoni e sopravvissuti dell’area quanto rifugiati tigrini in Sudan. Il quadro che ne esce è terrificante.

“Dalla fine del 2020 le forze di sicurezza regionali amhara, le milizie affiliate e le nuove autorità della Zona occidentale del Tigray hanno avviato una campagna coordinata di persecuzione etnica contro i tigrini”, spiega Amnesty international. Questo è avvenuto attraverso rastrellamenti villaggio per villaggio, con tanto di fogli appesi sui muri in cui si intimava la popolazione ad andarsene e che chiunque fosse rimasto sarebbe stato ucciso. Ci sono poi stati stupri di gruppo, sequestri e riduzione in schiavitù sessuale, mentre chi è stato risparmiato da questa violenza ha subito limitazioni delle libertà di movimento e si è ritrovato dunque bloccato in una sorta di prigione a cielo aperto. Tra i casi citati più brutali, il massacro di Adi Goshu del gennaio 2021, quando circa 60 persone sono state uccise sommariamente lungo il fiume Tekeze.

Il rapporto accusa il governo di Addis Abeba di aver permesso tutto questo, ignorando le denunce sui crimini commessi dai soldati sul campo e anzi impedendo l’accesso agli ispettori internazionali indipendenti perché potessero fare chiarezza sulla situazione. E si parla espressamente di pulizia etnica, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, sottolineando anche come in alcune occasioni le medesime violenze siano state commesse dai tigrini contro le forze occupanti amhara.

Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

L'autenticità di questa notizia è certificata in blockchain. Scopri di più
Articoli correlati
Cosa succede in Georgia, dove la gente è tornata a protestare

Migliaia di persone sono scese in strada contro la decisione del governo di sospendere i negoziati per l’adesione all’Unione europea fino al 2028. Violenta la reazione delle forze dell’ordine. La presidente della Georgia rifiuta di lasciare il mandato finché non verranno indette nuove elezioni.