Roberta Redaelli, nel suo saggio Italy & Moda, raccoglie le voci del tessile. E invita il consumatore a fare scelte che lo spingano alla sostenibilità.
Tommy Hilfiger punta a proporre solo moda sostenibile entro il 2030
Lo stilista americano Tommy Hilfiger si è prefissato 24 obiettivi da raggiungere in dieci anni per una moda che “non sprechi nulla e accetti tutti”.
Un’analisi condotta dal reparto investigativo del noto settimanale britannico Economist ha rivelato che la sostenibilità è salita al secondo posto nella classifica delle priorità delle aziende di moda, preceduta solo dalla soddisfazione dei clienti. Questo la dice lunga sulla rivoluzione – o forse sul ritorno alle origini? – che il settore sta vivendo, ulteriormente accelerata dalla pandemia di Covid-19 che ha spinto molti stilisti, tra cui Giorgio Armani, a rallentare il ritmo della produzione, svincolandosi dai dettami delle stagioni e puntando piuttosto su abiti che siano destinati a durare nel tempo.
Anche Tommy Hilfiger, il cui brand fa parte del gruppo Pvh, è salito a bordo di quest’avventura con entusiasmo e, soprattutto, grande ambizione. Il designer americano desidera infatti arrivare a proporre soltanto collezioni sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale entro il 2030, realizzando in particolare abiti con materiali riciclati e a loro volta riciclabili.
Make it possible, il progetto di Tommy Hilfiger per la salvaguardia del Pianeta (e delle persone)
“Oggi il mondo sta affrontando grandi sfide, dai cambiamenti climatici alla scarsità di risorse naturali, fino alla disuguaglianza e ai pregiudizi. Sappiamo che un unico marchio non può cambiare tutto questo da solo. Ma siamo certi che, con il duro lavoro e un po’ di ottimismo, possiamo creare una moda che non sprechi nulla e accolga tutti”. È quanto si legge nella descrizione di Make it possible, il nome che è stato dato all’intero progetto.
Quest’ultimo si compone di 24 obiettivi, tra cui, appunto, l’azzeramento degli sprechi e la promozione dell’economia circolare; l’utilizzo di materiali organici o riciclati; l’inclusione e una maggiore rappresentazione delle comunità nere, indigene e di colore, così come il rifiuto di canoni di bellezza prestabiliti e il lancio di una linea studiata per facilitare la vestizione delle persone con disabilità; la limitazione dell’impatto ambientale in ogni fase del processo di produzione e di vendita, con progetti di riduzione delle emissioni, dell’utilizzo di acqua e di energia.
Le parole dello stilista
“Ho aperto il mio primo negozio, People’s place, nel 1969 nella mia città natale di Elmira (nello stato di New York, ndr). Volevo che persone di ogni ceto sociale si unissero e condividessero le loro esperienze nella cultura pop”, spiega Tommy Hilfiger. “Il nostro marchio si è evoluto nel corso degli anni, guidato da questo spirito di integrazione e dal nostro impegno in favore dello sviluppo sostenibile. Con Make it possible ci spingiamo oltre. Stiamo lavorando duramente per realizzare la nostra visione, l’intera azienda è focalizzata su questi obiettivi. Abbiamo ancora molta strada da fare, ma ci arriveremo”.
Lewis Hamilton per Tommy Hilfiger
Nonostante alcune organizzazioni non governative abbiano criticato la mancata tutela dei diritti dei lavoratori da parte dell’azienda, punto su cui cercare di migliorare, questa di fatto ha già raggiunto alcuni risultati degni di nota dal punto di vista della tutela dell’ambiente: nel 2019, il 72 per cento del cotone impiegato nella produzione proveniva da fonti sostenibili. Quasi due milioni di capi in denim, inoltre, sono già stati confezionati utilizzando un metodo a basso impatto ambientale.
Ad aver creduto molto in questo percorso è il pilota Lewis Hamilton, sette volte campione di Formula 1, che oltre ad essere fra i volti del brand ha lavorato al fianco di Hilfiger per creare la collezione TommyXLewis: giunta alla quinta stagione, è ricca di tessuti green e basata sull’idea di creare dei capi per tutti, a prescindere dal genere, dall’età, dalla corporatura o dall’etnia.
Cosa sono Fashion pact e Forward fashion
La strategia del brand americano è condivisa dall’intero gruppo cui appartiene, che non solo ha firmato il Fashion pact – un accordo stipulato da 32 marchi per diminuire l’impatto di una delle industrie più inquinanti al mondo – ma parallelamente ha messo a punto un piano denominato Forward fashion con cui rendere questo “sogno” un po’ più concreto. “In questi tempi di crisi sanitaria, umana, ambientale ed economica, abbiamo la responsabilità di cercare delle soluzioni innovative che incoraggeranno l’inclusione e permetteranno di costruire un futuro più circolare”, conclude Martijn Hagman, amministratore delegato di Tommy Hilfiger global e di Pvh Europe.
La pandemia resterà nella storia per le ferite che avrà lasciato, e per aver mutato radicalmente la nostra società. Le tragedie possono unire o disunire, ma soltanto se saremo capaci di fare fronte comune potremo sopravvivere. Il fatto che i rappresentanti di un settore senza scrupoli, abituato alla competitività, all’usa e getta, al lusso e al consumismo sfrenati, si stiano coalizzando per cambiare sembra proprio un miracolo di Natale. Che di questi tempi scalda il cuore.
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