
Una missione scientifica in un atollo della Polinesia francese ha permesso di scoprire l’esistenza di coralli che sopravvivono in acque molto calde.
In 11 aree protette americane, tra cui il Grand canyon e il parco del Joshua tree, i ricercatori hanno rinvenuto grandi quantità di rifiuti plastici.
Nessun luogo è al sicuro dall’inquinamento da plastica, neppure le aree più remote e selvagge, ormai sempre meno incontaminate. In undici aree protette degli Stati Uniti sono infatti state rinvenute grandi quantità di microplastiche e si stima che, in appena un anno, oltre mille tonnellate di piccoli frammenti di plastica, equivalenti a circa 123 milioni di bottiglie d’acqua di plastica, finiscano nei parchi americani.
È quanto emerso dallo studio Plastic rain in protected areas of the United States, pubblicato sulla rivista Science. Secondo gli autori della ricerca, un gruppo di ricercatori dell’università dello Utah, le microplastiche vengono trasportate nelle aree naturali dal vento, dalla pioggia e dai corsi d’acqua.
“I nostri dati mostrano che il ciclo della plastica ricorda il ciclo globale dell’acqua, con fasi atmosferiche, oceaniche e terrestri”, ha spiegato la ricercatrice che ha guidato lo studio, Janice Brahney. Parte dell’inquinamento plastico, quello legato ai corsi d’acqua, deriverebbe dai centri abitati, mentre un’altra parte consistente compierebbe ampi spostamenti legati a modelli atmosferici su larga scala. Secondo gli scienziati questo implica che le microplastiche siano abbastanza piccole da essere trascinate dal vento nell’atmosfera.
Nel 2017, in tutto il mondo, sono state prodotte 348 milioni di tonnellate di plastica e la produzione globale non mostra segni di rallentamento. Negli Stati Uniti la produzione pro capite di rifiuti di plastica è di 340 grammi al giorno e si prevede che, entro il 2025, undici miliardi di tonnellate di plastica si accumuleranno nell’ambiente.
La maggior parte delle particelle di plastica raccolte dai ricercatori è composta da microfibre sintetiche utilizzate per la fabbricazione di indumenti. Erano presenti anche particelle provenienti da vernici e rivestimenti industriali. “I risultati suggeriscono che le fonti di emissione della plastica si sono estese ben oltre i nostri centri abitati e, a causa della loro longevità, si sono propagate a spirale attraverso il sistema terrestre”, si legge nello studio.
In 14 mesi i ricercatori hanno esaminato undici località degli Stati Uniti occidentali, tra cui il Grand canyon, il parco nazionale del Joshua tree, il parco nazionale del Great Basin e il monumento e riserva nazionale Craters of the Moon.
La spropositata quantità di plastica raccolta ha ricordato, ancora una volta, l’urgente necessità di ridurre l’inquinamento da plastica. Gli effetti di questo tipo di inquinamento sul nostro organismo e sugli ecosistemi sono ancora sconosciuti. Gli scienziati sostengono tuttavia che rappresentino una grave minaccia per la salute pubblica. Le particelle di plastica sarebbero infatti in grado di penetrare nel tessuto polmonare, causando lesioni e, in alcuni casi di esposizione costante, asma e cancro.
Gli scienziati hanno anche collegato la presenza delle microplastiche alle fluttuazioni delle proprietà termiche del suolo, provocando la morte delle piante, e ritengono possano influenzare gli ecosistemi insinuandosi nella catena alimentare. “Questa ubiquità delle microplastiche nell’atmosfera e la successiva deposizione in ambienti terrestri e acquatici remoti destano diffuse preoccupazioni ecologiche e sociali – ha affermato Brahney -. L’identificazione dei meccanismi chiave dell’emissione di plastica nell’atmosfera è un primo passo nello sviluppo di soluzioni su scala globale”.
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