Il clima che cambia sta delineando una nuova geografia del cibo con l’agricoltura chiamata a rispondere alle sfide ambientali e di sicurezza alimentare.
Trappole alimentari, come non cascarci. Ce lo spiega il biologo nutrizionista Stefano Vendrame
La produzione industriale ha portato a diete ricche di grassi, sale e zuccheri aggiunti e povere di micronutrienti. Un libro contro le trappole alimentari aiuta a prenderne consapevolezza.
- Il 23 aprile esce il libro “trappole alimentari” del biologo nutrizionista Stefano Vendrame con l’obiettivo di aiutare le persone a migliorare la propria alimentazione e la propria salute.
- Le diete moderne sono sbilanciate: eccedono in grassi, zuccheri e sali aggiunti e sono carenti di micronutrienti.
- Cibi semplici, biodiversità alimentare, foraging, alghe e fermentati sono alcune delle strategie per mangiare meglio e stare bene.
Se è vero che oggi siamo più longevi che mai, è anche vero che, in media, a causa di obesità, diabete, malattie cardiovascolari e tumori, perdiamo la salute molto prima di una persona vissuta migliaia di anni fa o anche solo prima della rivoluzione agricola/industriale. E questo ha molto a che fare con la dieta. Secondo uno studio pubblicato dalla rivista Lancet nel 2019, una morte prematura su cinque a livello mondiale è da attribuirsi esclusivamente a una cattiva alimentazione.
Da questo assunto si sviluppa il libro “Trappole alimentari – Cosa è andato storto nella nostra dieta e come rimediare”, scritto dal biologo nutrizionista Stefano Vendrame e disponibile in libreria dal 23 aprile, edito da Longanesi.
Un problema (anche) di mismatch evoluzionistico
Secondo il saggio, le ragioni dei principali squilibri nella dieta moderna sono da ricercare sia nella trasformazione industriale di agricoltura e allevamento che ha portato a un impoverimento del cibo e a una perdita di competenze transgenerazionali ed esperienziali da parte dei consumatori, sia nella teoria del mismatch evoluzionistico, cioè il disallineamento tra il nostro stile di vita e le abitudini alimentari degli ultimi decenni e i nostri adattamenti genetici, che sono ancora sostanzialmente gli stessi dell’uomo delle caverne. Il libro individua dieci trappole alimentari che ci hanno portato a diete ricche di grassi, sale e zuccheri aggiunti e, dall’altra parte, a una carenza di micronutrienti fondamentali per l’organismo, ma propone anche 10 obiettivi da raggiungere attraverso strategie concrete per riuscire a migliorare la nostra alimentazione e la nostra salute.
Nell’introduzione del libro Lei sostiene che le persone seguono un’alimentazione mediamente disastrosa, che non se ne rendono conto e che sono poco disponibili a fare quei piccoli cambiamenti che migliorerebbero la loro dieta. Cosa prevale, la non consapevolezza o la pigrizia?
Penso che il problema principale sia la non consapevolezza: la maggior parte delle persone non si pone il problema del rapporto tra alimentazione e salute, ha una vaga idea che si tratti di qualcosa di importante, ma non realizza quanto davvero lo sia. E se si rende conto, ecco che spesso subentra il secondo ostacolo, ovvero la volontà di cambiare tipo di alimentazione. Un altro aspetto da considerare è che c’è un eccesso di comunicazione su questo argomento a tal punto che è difficile riconoscere le informazioni veritiere e importanti e questo crea frustrazione nelle persone.
L’obiettivo del libro è quello di aiutare i lettori a fare una fotografia della propria situazione attuale, in modo che si rendano conto di quali sono gli errori principali che commettono, e poi di aiutarli ad essere più consapevoli attraverso le loro scelte, quindi a uscire dalle trappole alimentari in cui potrebbero essere caduti senza accorgersene. Già attraverso piccoli cambiamenti si ottengono molti benefici per la salute. E l’importante non è mai lasciarsi spaventare dal punto d’arrivo, ma concentrarsi esclusivamente sul primo passo da fare e …partire da lì.
Il termine “trappole alimentari” che dà il titolo al libro fa sottintendere che qualcuno le abbia tese?
Le trappole alimentari non sono necessariamente tese da qualcuno, alcune si sono proprio verificate, quasi inevitabilmente diciamo, soprattutto dal secondo dopoguerra in poi. Il rapporto col cibo è stato sostanzialmente quasi uguale per tutta la storia del genere umano, mentre negli ultimi decenni è stato completamente stravolto perché abbiamo cambiato completamente il nostro modo di vivere e abbiamo perso tutta una serie di conoscenze e di comportamenti istintivi.
Siamo caduti nelle trappole un po’ senza che nessuno l’abbia fatto apposta, poi è anche vero che l’industria alimentare ha obiettivi e interessi che non sempre coincidono con quelli della salute delle persone. Il modo di produrre, di fare agricoltura e allevamento, ha puntato tutto sulla massimizzazione del profitto, su quantità e costi bassi e questo è andato a scapito della qualità alimentare.
Ad esempio, la composizione chimica dei prodotti dolci dell’industria alimentare, attraverso miscele di additivi e aromi, punta all’individuazione del cosiddetto bliss point, ovvero la reazione massima dei nostri centri del piacere che ci induce a fare un uso smodato di questi alimenti. Ancora, il trucco della vanishing caloric density nel cibo – alimenti solidi che spariscono velocemente in bocca senza quasi masticare come le chips di mais al formaggio – induce il cervello a pensare di averne assunto una quantità inferiore a quella effettiva.
Leggendo l’elenco di trappole spiegate nel libro potremmo riassumere che i nostri nemici sono grassi, sale e zucchero?
In realtà grassi, sale e zucchero sono utilissimi al nostro organismo, non sono dei nemici in sé e considerarli tali potrebbe portare a derive alimentari che li escludono dalla dieta. L’importante, invece, è scegliere quelli giusti. Quasi tutto il nostro consumo di zuccheri e carboidrati riguarda zuccheri aggiunti nei prodotti industriali e amidi isolati, quindi cereali raffinati come la pasta e il pane bianchi, pizzette, merendine. Questi zuccheri sono i peggiori perché sono quelli che fanno aumentare la nostra glicemia e ci portano a problemi di salute nel corso del tempo. I carboidrati buoni, invece, sono quelli per esempio dei cereali integrali e gli zuccheri della frutta.
Lo stesso vale per i grassi: i grassi cattivi sono quelli aggiunti, quelli saturi, mentre i grassi buoni sono quelli monoinsaturi, come quelli dell’olio d’oliva extravergine, e i grassi polinsaturi con un giusto rapporto tra omega 3 e omega 6. Anche il sale è fondamentale, ma il problema è che oggi se ne aggiunge veramente troppo per rendere più palatabili molti prodotti industriali che senza sale avrebbero un sapore pessimo per via di come sono formulati.
Al contrario ci sono micronutrienti importanti che non consumiamo abbastanza..
Sì, si tratta principalmente di vitamine e minerali. Mangiamo tanto e assumiamo tante calorie, ma si tratta di cibi impoveriti di micronutrienti a causa dei trattamenti a cui vengono sottoposti per trasformarli o conservarli più a lungo. Anche in agricoltura, l’utilizzo di alcune sostanze che accelerano la crescita delle piante dà poco tempo a frutta e verdura di accumulare i micronutrienti. La carenza di queste sostanze non è clinica ma può contribuire al rischio di sviluppare alcune malattie.
Mi fa un esempio concreto di una trappola alimentare?
Un esempio è quello di scambiare per yogurt quelli che in realtà sono dessert. Gli yogurt aromatizzati alla frutta sono prodotti con quantità enormi di zucchero, parliamo di diverse bustine di zucchero per ogni singolo vasetto e quindi non sono un alimento salutare. Lo yogurt bianco naturale, invece, è un ottimo alimento perché è probiotico e senza zuccheri aggiunti, è nutriente e ci fa bene.
In generale cadiamo in trappola ogni volta che scegliamo un equivalente ultra processato di un alimento che potremmo acquistare fresco – per esempio dei bastoncini di merluzzo impanati contro un filetto di pesce fresco comprato nel banco pescheria – perché significa avere meno nutrienti buoni. Un alimento semplice è più denso di nutrienti rispetto a uno che ha subito tanti procedimenti di trasformazione e di conservazione.
Anche il modo in cui cuciniamo gli alimenti è importante come spiega nel libro con l’esempio della soia…
Sì, quello della soia è un esempio di come nel tempo abbiamo perso alcune di quelle conoscenze che si erano accumulate nel corso dei secoli, tramandate da generazione a generazione. In Oriente la soia viene consumata fermentata, noi la cuciniamo come gli altri legumi, facendola bollire, ma in questo modo, senza un’adeguata fermentazione, la soia crea problemi di squilibri ormonali. Il modo corretto di preparare gli alimenti può fare la differenza e, spesso, il modo corretto è quello che si è sviluppato nel passato.
Possiamo continuare a fare riferimento alla dieta mediterranea come modello di alimentazione sana?
Dico sempre due cose sulla dieta mediterranea: primo che è un termine un po’ vago perché non è una dieta che è stata codificata da qualcuno e dunque ci sono diversi modi di intenderla. Potremmo comunque riferirci ad essa come a una dieta equilibrata che suggerisce l’ampio consumo di frutta e verdura fresche, di cereali integrali, di legumi, di pesce azzurro, di salmone selvatico, di poca carne.
In secondo luogo, la dieta mediterranea è spesso associata alla dieta degli italiani, invece oggi la nostra alimentazione è molto più simile a quella degli americani con troppa carne, troppi alimenti trasformati, troppi amidi raffinati, quindi una dieta che certamente sta portando a molti problemi di salute.
Il libro dedica alcune pagine anche all’importanza della biodiversità alimentare…
Purtroppo anche questa è una cosa che stiamo perdendo, perché per via di come produciamo oggi gli alimenti abbiamo selezionato un numero molto ristretto di cultivar che crescono più in fretta e funzionano bene con i fitofarmaci che abbiamo a disposizione. Molti alimenti che una volta consumavano abitualmente, oggi non entrano più nei circuiti della distribuzione commerciale. Questo ha appiattito la diversità della dieta e dal punto di vista nutrizionale è un problema, perché se l’alimentazione è poco varia rischiamo che ci manchi qualche nutriente prezioso oppure che accumuliamo qualcosa di dannoso. E poi questo non è neanche un bene per il pianeta dal punto di vista della sostenibilità, del consumo di risorse, dell’inquinamento, del benessere degli animali e dei vegetali con produzioni intensive forzate in modo innaturale.
In che altri modi potremmo migliorare la nostra dieta?
Tra i temi che mi stanno più a cuore c’è quello del foraging: nella nostra dieta sono sparite le erbe selvatiche come le ortiche o la borragine che sono spesso più ricche di nutrienti dei vegetali coltivati proprio perché non hanno subito selezioni genetiche. La malva ha più vitamina A della carota, le ortiche hanno più calcio degli spinaci. Andare a raccogliere queste erbe è anche un’opportunità per fare una passeggiata in campagna e tenersi attivi. Ovviamente questo presuppone la capacità di saperle riconoscere, un’altra abilità che abbiamo perso rispetto al passato.
Un altro tema che mi sta a cuore sono le alghe, un alimento non più pervenuto nella dieta italiana nonostante siamo un paese con tantissimi chilometri di costa. Le abbiamo sempre consumate in passato, mentre ora sono un cibo dimenticato. Le alghe sono fonte di iodio e di selenio e si possono aggiungere a insalate, brodi e zuppe. Infine, considero molto importante la fermentazione dei cibi, una pratica diffusa in passato e che oggi abbiamo perso. La nostra dieta è povera di microrganismi vivi è questo è un problema perché la salute dei batteri intestinali è davvero molto importante per la prevenzione delle malattie e per la salute dell’organismo. Ripopolare in modo sano il nostro intestino è una piorità e per fare questo bisogna mangiare alimenti probiotici e fermentati.
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